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04/01/2017

Avviso di reato per la narrazione a 5 Stelle

I fatti hanno la testa dura, recita un notissimo proverbio inglese. Alla fine anche Beppe Grillo ha scoperto che contro quel granito si stava sfracellando il pensiero fondamentale del “Movimento 5 Stelle” – onestà, trasparenza e legalità – con la verifica affidata alla magistratura.

Un pensierino astratto, ma molto utile sul piano della pura propaganda. Un pensierino senza pensiero che suona bene quando sei lontano da qualsiasi responsabilità amministrativa pubblica (che non coincide quasi per nulla, ormai, con le “poltrone del potere”), ma che ti fa inciampare ad ogni passo quando devi passare dalla propaganda – internettara o piazzaiola – e mettere le mani su nomine, delibere, atti pubblici regolati dal più gigantesco castello di norme incasinate che si sia mai visto nel mondo.

Un pensierino che ha mostrato tutta la sua ingenuità inconsistente non appena qualche amministrazione di rilievo è stata conquistata. La lista è nota: Parma, Quarto, Livorno, Roma sono solo i casi più strombazzati dai media di regime, che spingono dichiaratamente per l'agognato ritorno dei giovani/vecchi marpioni targati Pd o Forza Italia, ma anche quelli di Lega e fascisteria varia vanno bene lo stesso perchè appartengono a “chi si conosce”.

Avvisi di garanzia spediti e annullati, difformità di comportamento tra gli amministratori “colpiti”, arresti o dimissioni di collaboratori scelti a dispetto dell'elettorato e dello stesso movimento (il caso di Roma è un romanzo a sé, ormai), hanno imposto un'articolazione in chiave difensiva di quel pensierino così schematico da risultare irrealizzabile nella pratica effettiva.

Ora Grillo sta chiamando alla consultazione gli iscritti – o come li si vuole chiamare – su un nuovissimo “Codice di comportamento del MoVimento 5 Stelle in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie”, che rompe la semplicità astratta del primo comandamento: “dimissioni automatiche”. Lo fa alzando il livello dell'incompatibilità assoluta dall'”avviso di garanzia” alla “condanna di primo grado”.

Per tutte le ipotesi intermedie (gravità del reato contestato, gravità degli indizi riportati dalle carte, ecc) la decisione resta in mano al livello politico, concentrato però nelle mani del “garante”. Ossia lo stesso Grillo e la struttura della Casaleggio Associati (chiamando in causa anche il Collegio dei Probiviri e il Comitato d'appello).

La “presunzione di gravità” consente infatti al “garante” un potere discrezionale pressoché illimitato, esteso anche ai casi che normalmente non verrebbero presi in considerazione da nessun “comitato centrale” di partito, come la valutazione della gravità di fatti che configurano i c.d. reati d’opinione, ipotesi di reato concernenti l'espressione del proprio pensiero e delle proprie opinioni, ovvero di fatti commessi pubblicamente per motivi di particolare valore politico, morale o sociale.

Comunque la si rigiri, si tratta per un verso di una “stretta” sulla libertà d'azione degli eletti e di una ammissione dell'impossibilità – foss'anche del più onesto – di restare al riparo da un'incriminazione, sia pure temporanea.

La stretta ha una sua logica, in un movimento contrario al principio costituzionale della libertà dal vincolo di mandato per gli eletti. Un principio pensato in tempi di profonde convinzioni politiche e morali (un democristiano non passava facilmente con i comunisti o viceversa), ma sfruttato nel corso dei decenni per “cambi di casacca” motivati solo dall'ambizione o dalla voracità (Scilipoti, Razzi e Gennaro Migliore sono solo i più sbeffeggiati, tra le centinaia di parlamentari “fuori posto” rispetto al giorno del voto).

Ma è fin troppo chiaro che la questione di principio qui c'entra pochino, mentre molto più pressanti sono state le vicende parmensi e romane – pur molto diverse tra loro. Il nuovo “codice”, insomma, avrebbe impedito alla Raggi di nominare Raffaele Marra (e suo fratello!), fors'anche la Muraro e diversi altri. Comunque, problemi interni dei 5 Stelle...

A noi interessa molto di più la presa d'atto dell'impossibilità di misurare l'onestà politica e amministrativa col termometro della legalità formale, ossia le norme esistenti, per folli o discriminatorie che siano. Sappiamo infatti per certo che si può essere assolutamente liberi da ogni interesse personale in politica o nel sindacato e pagare la propria libertà d'azione con decine di denunce, condanne, anni di galera. Non solo per reati d'opinione, certo, ma anche per quelli. Il conflitto sociale, specie in questo paese, non si è del resto mai giocato in guanti bianchi...

I “5 Stelle”, a dispetto della loro dichiarata estraneità alla politica politicante, non sono però degli antagonisti al sistema dominante. Dalla loro letteratura, detto in estrema sintesi, emerge che il modo di produzione attuale – fondato sull'accumulazione capitalistica del profitto privato – sarebbe il migliore dei mondi possibile, se non ci fossero così tanti “ladri” nel sistema politico. Sappiamo bene che non la pensano tutti così, anche tra i parlamentari, ma Casaleggio e Grillo non ne hanno mai fatto mistero.

Il “nuovo codice” di comportamento rompe una diga, se non altro concettuale: ci sono “reati” di cui non si deve tener conto nel decidere se un amministratore locale o un parlamentare va tenuto al suo posto o no. Ma a quel punto anche per decidere se una persona è candidabile o meno. Non avrebbe infatti senso – anzi, sarebbe un insulto proprio ai “cittadini” – escludere dalle liste gente che si è guadagnata l'attenzione poco benevola della magistratura o della polizia solo per aver preteso il rispetto dei diritti sociali, ambientali, politici della popolazione.

Il Movimento 5 Stelle sta prendendo faticosamente atto che il mondo reale è un po' più complesso degli slogan. Specie in una paese che ha almeno due caratteristiche letali. Un sistema di norme, come detto, confuso e stratificato, tale che qualsiasi atto amministrativo può essere facilmente impugnato e segnalato all'autorità giudiziaria. E una magistratura reale – non certo quella prevista dalla tripartizione di Montesquieu – che è politicizzata quanto basta da rendere facilissimo trovare un pm prodigo in avvisi di garanzia mirati. Nell'area dei movimenti antagonisti se ne sa qualcosa, sulla propria pelle.

Sbagliare è facilissimo, essere presi di mira quasi una certezza.

La reazione affidata al “codice” è però decisamente monca. Sposta cioè la linea del Piave della legalità dalla totale “immacolatezza” alla condanna di primo grado; e affida il destino dei “portavoce” eletti nelle cariche pubbliche all'imperscrutabile valutazione del “garante” per tutta la fase tra l'apertura dell'indagine e la conclusione del processo. Con fondato sospetto che sarà il clamore mediatico e il calcolo politico dei danni a far pendere, nel processo interno, la bilancia verso l'”assoluzione” oppure verso la condanna.

Ma è inutile chiedere un sobbalzo di pensiero critico (e autocritico) a chi non vede altro che indistinti “cittadini” là dove si scontrano classi, figure, ceti e interessi sociali in conflitto tra loro.

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