A una settimana dalle elezioni francesi i media padronali italiani si sono accorti che Jean-Luc Mélenchon – ex troskista, ex socialista, alla guida di un composito movimento di sinistra – “rischia” di andare al ballottaggio contro la “fascista ripulita” Marine Le Pen. Se ciò accadesse avremmo uno scontro – elettorale, certo, ma non per questo meno significativo sul piano simbolico – tra le due opzioni più radicalmente opposte del panorama politico transalpino, entrambe fin qui tenute lontanissime dalla gestione del potere (i “comunisti” perché ridotti nel tempo ai minimi termini, i fascisti per un’efficace conventio ad excludendum da parte di tutto l’arco costituzionale; per capirci, non sono mai stati davvero “sdoganati” da qualcuno).
Tutto quello che c’è di convergente al centro (gollisti di Francois Fillon, “socialisti” di Benoit Hamon e “centristi di Emmanuel Macron) verrebbe spazzato via, decretando la fine del sistema politico francese e mettendo seriamente in crisi l’assetto dell’Unione Europea.
Tra i cinque candidati principali, infatti, sono pochi i temi davvero distintivi su cui conducono la loro campagna elettorale. E il rapporto con l’Unione Europea è quello assolutamente principale, insieme alla “questione migranti”. Non appena i sondaggi ufficiali hanno segnalato il possibile sorpasso di Mélenchon sugli altri è partito il solito fuoco di sbarramento fatto di accuse scontate (“populismo”, “antieuropeismo”, “l’altra faccia di Le Pen”, ecc) e evocazione di scenari economici catastrofici (“sale lo spread”, “i capitali potrebbero fuggire”, ecc) altrettanto scontati e ormai inefficaci. Non hanno infatti impedito né la vittoria dell’Oxi nel referendum greco, né la Brexit e neanche l’elezione dell’ormai “rivalutato” Trump.
Vediamo allora cosa propongono i cinque, in modo da valutare le reali differenze, ovviamente sapendo benissimo che tra quel che si promette in campagna elettorale e quel che si farà c’è di mezzo un oceano.
In materia di difesa e spesa militare, centristi e fascisti la pensano allo stesso modo: aumentare la spesa fino a raggiungere il 2% del Pil (come chiede Trump a tutti i membri della Nato). Tutti e quattro vogliono restare nell’alleanza militare con gli Usa, distinguendosi soltanto tra chi vuol lasciare nelle mani degli yankee ogni decisione strategica (Fillon) e chi si oppone a nuovi ingressi (Hamon). Tutti e quattro vogliono un maggiore protagonismo francese sui teatri di guerra più vicini, chi proponendo di aumentare gli effettivi dell’esercito e della marina (Le Pen, Fillon, Macron), che ripristinando una forma limitata di leva obbligatoria (Hamon, un mese di servizio e addestramento). Mélenchon propone di “ridare la difesa in mano alla nazione”, di conseguenza prevede la nazionalizzazione delle industrie pesanti e la leva obbligatoria; non ha mai accennato all’uscita dalla Nato, ma calca la mano sul “sentimento nazionale” (come faceva ai suoi tempi De Gaulle).
Ma è sull’Unione Europea che si registra la differenza più chiara. Fillon è fautore di un’integrazione più forte, con una governance anche politica oltre che economica e militare (esercito europeo forte, con un comando condiviso, e un maggiore controllo di agenzie europee sui confini dell’Unione; insomma, quel che stanno già facendo). Unico limite: basta nuovi ingressi, specie della Turchia e di altri paesi dell’Est.
Marine Le Pen è stata finora indicata come il massimo dell’euro-scetticismo in Francia, ma ha una posizione decisamente morbida: propone un ritiro "temporaneo" dai trattati europei e nel frattempo l’organizzazione di un referendum sull’Euro. Ma non vuole affatto uscire dalla moneta unica. Al massimo, vedrebbe di buon occhio una “doppia moneta”, una interna e l’euro per le operazioni fuori dai confini.
Hamon e Macron sono “europeisti” tutti d’un pezzo, al pari di Fillon, con Hamon che propone una “riforma” dei trattati in senso più socialdemocratico, nonché una maggiore attenzione ai temi ambientali.
Mélenchon condiziona invece la permanenza della Francia all’interno della Ue a una “riforma radicale” dell’intera politica economica seguita finora sotto la direzione Schaeuble-Dijsselbloem-Moscovici-Draghi, reintroducendo dazi doganali e muovendosi in modo molto più indipendente rispetto ai partner. Nel caso non fosse possibile rinegoziare i trattati in questa direzione (e siamo certi che non lo sarebbe), proporrebbe un referendum per uscire dall’euro e dai relativi trattati istitutivi.
Coerentemente con queste posizioni, anche in materia di politica estera le differenze sono profonde, almeno tra i quattro di centro-destra e Mélenchon. Le Pen, infatti, ha un’impostazione nazionalista classica, di “difesa degli interessi francesi”, rinforzando il legame dominante sulle ex colonie di Parigi; per il resto, pragmatismo e mani libere. Fillon si distingue per l’intenzione di recuperare rapporti tranquilli con la Russia, Hamon idem (con in più il riconoscimento della Palestna come stato indipendente); Macron neanche quello. Mélenchon invece vorrebbe disconoscere il Fondo Monetario Internazionale, la NATO e la Banca Mondiale, rilanciando la figura delle Nazioni Unite (con nuovo statuto e organismi). E’ favorevole ad un accordo con la Russia per quanto riguarda Siria e Ucraina. E’ a favore soprattutto di una cooperazione termondista allo sviluppo, puntando su temi ambientali e di sviluppo sostenibile. Naturalmente è per il riconoscimento dello Stato Palestinese e per la difesa del Diritto Internazionale in tutti gli scenari (Israele inclusa, dunque).
E arriviamo alle diverse linee politiche per gestire l’immigrazione. Fillon è per il sistema delle “quote europee”, introducendo un fantasioso “calcolo” tra le possibilità francesi di ospitare e la “capacità” dei migranti di integrarsi. Introdurrebbe il reato di “immigrazione clandestina”, sul modello infame dell’Italia; ridurrebbe l’accesso alla cittadinanza e alle forme di sostegno al reddito, a partire dall’esclusione assoluta dell’accesso al sistema sanitario nazionale (trasformando i medici in poliziotti e delatori). Le Pen, naturalmente, cerca di superarlo a destra, immaginando l’abolizione dello ius soli (chi nasce in Francia è cittadino francese di diritto), un tetto di 10.000 ingressi annui, negazione della cittadinanza per effetto del matrimonio ed anche dei “ricongiungimenti familiari”.
Hamon è più liberale e si accontenterebbe di programmi da fissare con i paesi africani per limitare le partenze verso l’Europa, sviluppando capacità produttive in loco. Macron, quando era ministro, ha scritto le leggi sull’immigrazione attualmente in vigore e dunque non indica grandi cambiamenti.
Mélenchon invece annuncia la smilitarizzazione degli interventi in materia di migrazione e accetta un maggiore flusso di migranti verso la Francia. Propone di mantenere tutte le attuali misure per l’immigrazione (accesso al welfare e alla sanità), facilitando la richiesta di asilo. Perchè considera che, se affrontata con politiche forti di integrazione e benessere sociale, l’immigrazione sia un aiuto per lo sviluppo della Francia e non “un problema”.
Come si vede, l’Unione Europea è il baricentro di ogni discussione politica e la destra para-fascista fa solo finta di metterla in discussione. La “sinistra radicale” di Mélenchon non critica Bruxelles fino al punto da chiedere la rottura della Ue, ma spinge con decisione in una direzione che potrebbe anche diventare apertamente conflittuale.
Ma per distinguere con chiarezza il “populismo di sinistra” da ogni rossobrunismo parafascista il tema dei migranti è quello che funziona immediatamente da cartina tornasole. Perché quando si parla di persone in carne e ossa, e non solo di frasi scritte nell’aria, le prese di posizione diventano davvero radicali e senza ambiguità.
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