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01/05/2017

Gabriele, il giornalismo e l’improvvido Alfano

Due fulminanti articoli messi insieme da un duo di inviati di guerra di lungo corso. Che smontano con disarmante semplicità l'operazione di santificazione di Gabriele Del Grande. Articoli molto istruttivi per capire cos'è il giornalismo – mestiere onorabilissimo se esercitato con spirito critico e autonomia di giudizio, miserabile se ridotto al servizio del potente di turno –, ma anche come funzione il ministro degli esteri in carica e la figura del "personaggio" di cui siamo stati costretti ad occuparci.

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Adesso che la vicenda di Gabriele Del Grande è finita bene, assorbiti gli applausi troppo facili della prima ora, e i giramenti di scatole educatamente nascosti per la montatura mediatica che abbiamo visto in scena, al terzo giorno un piccolo tentativo di ragionamento.

Qualche osservazione dovuta al giovanotto Del Grande sulle regole elementari del mestiere che vorrebbe praticare, visto che con i turchi si è dichiarato giornalista. All’improvvido ministro Alfano la colpa dell’infelice sceneggiata messa in piedi all’aeroporto di Bologna.

Datato reporter, frequentatore abituale di zone di guerra, allergico agli improvvisatori con la mancia sul loro eroismo. Può valere come autobiografia dello scrivente, può valere per l’amico e collega Amedeo Ricucci, inviato speciale del Tg1 che ho beccato a Beirut dove sta seguendo qualche pista mediorientale. Oggi, sul sito fecebook di Amedeo, una rilettura eccellente su quanto accaduto a Gabriele Del Grande in Turchia. «Ad avventura finita – scrive Amedeo – vorrei provare a levarmi qualche sassolino dalla scarpa e offrirlo a tutti come spunto per la riflessione».

Troppo gentile il collega, ma è per questo che ho scelto di cedergli la parola, nel timore di un mio eccesso di severità. Che lascerò alla fine, tutta riservata al ministro.

Amedeo Ricucci
«1) Come sempre in Italia, ha prevalso una rappresentazione deformata di quanto stava realmente succedendo, sia sui media che sui social network. Da un lato c’era chi vedeva in Gabriele un EROE che si stava immolando sull’altare della libertà di stampa e dall’altra chi lo additava come un MOSTRO, capace delle peggiori nefandezze.

Non c’è bisogno al proposito di scomodare Bertold Brecht per ricordarci che così proprio non va: un Paese infatti che ha bisogno di eroi – o di mostri, è lo stesso – non è un Paese messo bene.

2) E allora cominciamo col dire che Gabriele Del Grande – di cui mi ritengo un amico e che stimo – recandosi nelle zone di confine fra Turchia e Siria ha fatto una stupidaggine colossale.

Perché chiunque va da quelle parti per un lavoro giornalistico non può non sapere che serve un "accredito stampa" senza il quale lavorare è assai arduo, soprattutto a partire dall’ultimo anno.

Perché Gabriele non l’ha chiesto? Non mi risulta che ne abbia parlato in conferenza stampa e però, se si decide di contravvenire alle regole, bisogna accettarne le conseguenze senza fare i martiri.

Per anni, quando si entrava in Siria illegalmente dal confine turco, noi giornalisti abbiamo rischiato di farci espellere dal Paese – oltre a pagare una multa salatissima, di 3000 o 5000 dollari, se non ricordo male.

Ebbene, nessuno di quelli che si sono fatti beccare – e sono colleghi validissimi, solo sfortunati – si è mai sognato di protestare e di ergersi a paladino dei diritti umani.

3) A chi mi ribatte che Gabriele non poteva chiedere l’accredito stampa, non essendo iscritto all’Ordine dei Giornalisti, rispondo che occorreva comunque “metterci una pezza”, in un qualche modo, magari chiedendo l’accredito attraverso un qualsiasi sito on line. Perché il lavoro che lui andava a fare in quella zona di confine – un lavoro sull’ISIS – avrebbe di sicuro scatenato l’attenzione dei servizi segreti turchi.

Faccio un esempio per chiarire meglio: se un giornalista vuole andare a Gaza deve e non può non sapere che serve l’accredito stampa israeliano, che si ottiene (fra l’altro) esibendo una lettera di assignement di una testata.

E’ così, punto e basta. E chi vuole andarci si arrampica sugli specchi e si inventa qualsiasi cosa pur di avere le carte in regola. Nessuno si lamenta.

4) Com’è ovvio, visti i tempi, la Turchia non poteva non approfittare di un’occasione così ghiotta. Il fermo di Gabriele si è protratto perciò fino ai limiti del consentito – 14 giorni, come previsto dalla legislazione d’emergenza, se non erro – e bene hanno fatto sia le autorità italiane sia la società civile a mobilitarsi per vigilare sulla situazione.

Ma per favore, non confondiamo fischi per fiaschi: la stretta alle libertà civili in Turchia, così come il fatto che ci siano 150 giornalisti nelle galere turche, hanno poco a che vedere con il fermo di Gabriele, che è del tutto legittimo, ripeto – nei tempi e nelle modalità. E se si vuole protestare contro il regime di Erdogan, per come maltratta i diritti umani, che non si scelga per favore questo caso, perché con la questione ha una parentela molto, molto alla lontana».
Amedeo Ricucci, dovrete riconoscerlo tutti, è stato decisamente buono, e conclude concedendo il beneficio del dubbio sui presunti finanziamenti al giovanotto italiano da parte della Open Society Foundation di Georges Soros, rimproverandogli, alla fine soltanto «che poteva e doveva essere più accorto (e magari evitare qualche parola di troppo, al suo ritorno, sulla libertà di stampa che sarebbe stata violata)».

Troppo buono Amedeo Ricucci, ma lui è persona buona.

Io che sono cattivo, tutta la mia cattiveria la riservo alla vergognosa sceneggiata di un ministro degli esteri che va ad esibirsi di fronte alle telecamere vantando meriti inesistenti. Il rilascio dell’avventuroso italiano è avvenuto nei termini fissati dalle severe leggi turche del dopo golpe, e non per merito di una qualsiasi azione diplomatica o di servizi segreti o di trattativa occulta e rischiosa, comunque dovuta per qualsiasi cittadino italiano e senza strombazzamenti.

A perderci, in questo caso, è stata soltanto la dignità del ruolo di ministro degli esteri di questo nostro piccolo ma dignitoso Paese.

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Gabriele, il giornalismo e l’improvvido Alfano

La scelta di aprire un confronto su un tema di attualità su cui, alcuni di noi, giornalisti di antico mestiere, avevamo maturato dubbi. Ne ha scritto Remocontro rilanciando anche quanto espresso su Facebook da Amedeo Ricucci, inviato di punta del Tg1, e si è scatenato il mondo del web. Molti a condividere, molti a dissentire, molti ad attribuirci cosa mai dette. Al punto da spingere Ricucci, poco fa, a rilanciare: «DUE O TRE COSE SU GABRIELE (II Parte e fine, spero)». Essendo stati parte in causa nel confronto, anche Remocontro fa il bis, non per avere ragione parlando per ultimi, ma per chiarire quelli che a noi sono apparsi gli equivoci più grossi. Contro la malafede e posizioni preconcette, ovviamente c’è solo la resa.

Partiamo ancora una volta da Amedeo Ricucci, ma ‘alla rovescia’, dalla conclusione del suo accorato ‘bis’ su Gabriele, come lo chiama affettuosamente avendone confidenza. «Il mio post era partito da una riflessione non tanto su quello che Gabriele aveva fatto o detto, quanto sulla rappresentazione mediatica che era stata data dalla sua vicenda: quella cioè che ne aveva fatto un eroe oppure un mostro. In pochi se ne sono ricordati e questo mi fa tristezza. È l’ennesima conferma che su Facebook i ragionamenti un po’ più complessi del solito BIANCO/NERO hanno poco spazio. E non conta quello che dici ma quello che gli altri vogliono farti dire».

Anche Remocontro si era trovato a replicare a molto osservazioni che ci erano apparse fuorvianti. Chiarimento utile che fa il paio con quanto ha detto sopra Amedeo. «Una sola considerazione ancora da parte mia. Migliaia di giornalisti seri e valorosi scrivono con coraggio e senza remore da Paesi governati da despoti e dittatori senza farsi arrestate o farsi ammazzare. Nomi indiscussi nella storia del giornalismo e non nelle leggende. Ciò va detto a difesa dei colleghi ancora operativi in zone decisamente pericolose del mondo che bene ci informano senza diventare loro la notizia, che è l’errore assoluto del mestiere. Che la Turchia sia uno stato autoritario con derive dispotiche è noto e fuori discussione. Che il fermo di due settimane di Gabriele De Grande sia un intervento di polizia consentito da leggi emergenziali assurde, altrettanto scontato. Che la Farnesina dovesse intervenire, faceva solo parte dei suoi doveri e lo ha fatto bene. Che il ministro Alfano abbia scelto di sbandierare il rilascio di Gabriele Del Grande come un successo personale è solo meschinità sua».

Ancora Amedeo Ricucci, puntiglioso.

1. […] Sono finiti i tempi della “casta” giornalistica che decideva quali fossero le notizie, quali le modalità per confezionarle e diffonderle, quale la gerarchia da imporre all’opinione pubblica. Proprio per questo, da cittadino prima che da giornalista, mi sento in diritto di criticare il lavoro dei colleghi – quando, secondo me beninteso, violano le regole della professione (perché questo nuoce a noi tutti) – oppure perché informano male e in maniera non corretta (e questo nuoce all’opinione pubblica) [...].

2. [...] Quel post [su Gabriele] l’ho scritto, non a caso, dopo la sua liberazione, per la quale anch’io mi sono mobilitato, come chiunque può verificare, perché ritenevo che innanzitutto bisognasse riportare Gabriele a casa. Poi, solo poi, ho voluto chiare “due o tre cose” che mi sembravano importanti. Ed ho voluto metterci la faccia perché conosco Gabriele e lo stimo, il che (speravo) mi avrebbe messo al riparo dalle accuse scontate di avere un pregiudizio nei suoi confronti [...].

E qui Amedeo si offende per alcune delle accuse che gli sono state rivolte. Quella di aver tradito una amicizia, ad esempio, o addirittura di ‘attacco vile’. Eppure il rispetto nei confronti di Gabriele permeava tutto il suo post. «Hanno un’idea diversa dell’amicizia: pensano cioè che debba essere cieca, stupidamente cieca, da esibire cioè anche a dispetto dell’evidenza e rinunciando all’esercizio dell’intelligenza critica, in nome di chissà quale militanza. Io invece penso che le critiche servano, sempre, e se vengono fatte in buona fede, senza pregiudizi di sorta, aiutano a far meglio questo lavoro [...]»

Sul giornalismo variamente inteso e poco praticato. La trasgressione delle regole per scoprire pezzi di verità. «Mi limito ad invitare questi signori a leggersi un po’ più in dettaglio la storia del Watergate, una delle pagine più nobili del giornalismo (non solo americano), magari per scoprire quanta fatica ebbero a fare Bernstein & Woodward – i due autori di quello scoop che portò alle dimissioni di Nixon – pur di portare avanti la loro inchiesta nel rispetto delle regole imposte dalle leggi vigenti». La differenza tra un po’ di polemichetta politica che dura un giorno e costringere alle dimissioni un presidente.

3. Accredito stampa e dintorni. «I più avveduti fra i miei critici mi hanno spiegato che avere o meno l’accredito stampa in Turchia fa poca differenza. Ma non è vero: come dimostra il caso del giornalista inglese fermato negli stessi giorni di Gabriele – è stato rilasciato dopo qualche ora – e come posso testimoniare anch’io, fermato a Killis meno di un anno fa, con tanto di accredito: mi hanno bloccato per tre ore, ho dovuto cambiare il mio programma di lavoro ma quel pezzo di carta mi ha comunque salvaguardato. Certo, dopo il tentato golpe dell’estate scorsa la libertà di stampa in Turchia è molto più a rischio. Ma proprio per questo mi chiedo: non era forse il caso di non rischiare troppo e di volare più bassi, soprattutto in considerazione del lavoro assai delicato che Gabriele stava portando avanti (un’inchiesta su ISIS)?»

Infine una accusa che in parte ha colpito anche Remocontro. L’aver dato la stura alla ‘macchina del fango che si è messa in moto contro Gabriele’. Macchina del fango o montatura sul caso Gabriele? Ricucci, che è buono, si limita ad assumersi la responsabilità delle sue opinioni, «Io non mi nascondo dietro una foglia di fico e non ho paura delle mie idee quando sono scomode e fuori dal coro». Lo aveva fatto ai tempi delle due irresponsabili ragazze sequestrate in Siria. «Così come dissi che Greta & Vanessa, due mie amiche, avevano sbagliato ad andare in Siria – e lo dissi anche quella volta ben dopo la liberazione – allo stesso modo non mi sento vincolato da una stupida omertà sulla vicenda di Gabriele».

Remocontro, che è il cattivo, non solo è stato molto più severo allora, nel giudizio nei confronti di Greta e Vanessa, ma sul caso Gabriele Del Grande cambia bersaglio. A porre al centro dell’attenzione e di tante critiche il giovane Gabriele Del Grande è stata sopratutto la irresponsabile gestione stampa dal ministro degli esteri Alfano e del suo apparato di pubbliche relazioni platealmente elettorali a spese della Farnesina. Col giovane protagonista trascinato ad assumersi ruoli forzati e non propri. E con ciò, salvo una spazio che volesse chiedere lo stesso Gabriele Del Grande (o il ministro Alfano), per Remocontro il caso è chiuso. Ora libero web in libero stato, e non lapidateci.

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