Una frase pronunciata dal presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, nel corso del suo «storico» discorso del 28 novembre all’università di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, rischia di far uscire il classico genio dalla bottiglia: «il patrimonio africano deve essere valorizzato a Parigi, ma anche a Dakar, a Lagos, a Cotonou. Sarà una delle mie priorità. Voglio che entro cinque anni siano create le condizioni per delle restituzioni temporanee o definitive». Si tratta, comunque, di una dichiarazione piena di ambiguità.
Cosa restituirà la Francia ? Aminata Traoré, ex ministra della Cultura del Mali, sostiene che il 95% del patrimonio culturale africano non è più in Africa. Aminata, sociopsicologa e psicopatologa che insegna all’Istituto di etnosociologia dell’università di Abidjan, è una militante altromondista. Chiede da tempo ai governanti africani di reagire al neo-colonialismo. La sua affermazione dà un’idea del numero di opere “trasferite” dal sud al nord del mondo, in particolare in Francia, ex grande potenza coloniale.
Quali, fra tutte queste opere d’arte, non sono state rubate o non sono frutto di saccheggi è arduo stabilire. Nel 2016, il Benin chiede il ritorno del Tesoro reale dell’Abomey, «prelevato» dalla Francia come bottino di guerra nel 1892. Nel marzo scorso, il governo francese respinge la richiesta. A tutt’oggi, le sole opere restituite, grazie a una legge sui resti umani, sono la Venere ottentotta, al Sudafrica, due teste maori, alla Nuova Zelanda, e il cranio del guerriero kanak Ataï, reso alla sua tribù, in Nuova Caledonia.
Da due secoli la Grecia reclama dalla Gran Bretagna, inutilmente, la restituzione della metà dell’enorme fregio marmoreo del Partenone, sull’Acropoli di Atene, scolpito sotto la direzione di Fidia fra il 442 e il 438 a.C. e di altri capolavori, smontati e trasportati da Lord Elgin a Londra ai primi dell’800 e tuttora al Museo Britannico. Tre frammenti sono al Louvre...
L’Italia, è noto, è il paese del mondo che ha subito e subisce il maggior numero di furti di opere d’arte. Ma ogni regola ha almeno un’eccezione, che la conferma. Emblematica, in proposito, la storia dei quattro cavalli posti sulla terrazza della facciata della Basilica di San Marco, a Venezia. Nel 1797, prima di cedere la Serenissima all’Austria, Napoleone se li porta a Parigi, insieme a molte altre opere d’arte, per collocarli sull’Arco di Trionfo del Carrousel. Nel 1815 i cavalli tornano a Venezia, allora ancora sotto l’Austria.
Non è inutile, tuttavia, ricordare che erano, e sono, frutto del saccheggio di Costantinopoli ad opera dei veneziani, quando, nel 1203, la IV Crociata, invece di raggiungere Gerusalemme, si ferma, per motivi facilmente intuibili, nella splendida capitale bizantina. Il doge Enrico Dandolo fa smontare i cavalli, opera, secondo la leggenda, del grande Lisippo, che si trovavano nell’ippodromo, e li fa trasportare a Venezia...
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