Ormai tutti gli opinionisti dotati di un minimo di onestà intellettuale riconoscono che le cosiddette fake news sono, nella migliore delle ipotesi, un termine di moda privo di contenuto reale (più o meno come il termine populismo, usato indiscriminatamente per screditare gli avversari politici), nella peggiore, un’arma propagandistica da usare contro quei media alternativi che, dall’elezione di Trump alla Brexit, senza dimenticare il referendum del 4 dicembre 2016, si sono rivelati efficaci nell’azione di contrasto alle campagne terroristiche orchestrate da giornali e tv per “sconsigliare” comportamenti elettorali incompatibili con gli interessi delle élite al potere.
Il ricorso alla diffusione di falsità è arma politica antica. Si tratta di falsità "divenute luoghi comuni, acriticamente assunti come veri. Sono, almeno in parte, frutto di automatismi mentali, di cortocircuiti cognitivi. Per lo più, le asserzioni false circolano per una combinazione di interessi (qualcuno ha interesse che il falso venga creduto vero) di chi le ribadisce e della pigrizia intellettuale di chi le ascolta". Sottoscrivo anche le virgole, peccato che l’autore di questa azzeccatissima definizione sia Angelo Panebianco, il quale, nel resto dell’articolo citato (l’editoriale del "Corriere della Sera" del 5 dicembre scorso), sciorina una sontuosa serie di falsità che corrispondono perfettamente alla definizione che lui stesso ne ha appena dato.
Prima bufala. Panebianco si scaglia contro il "luogo comune" secondo cui l’Italia avrebbe troppi pochi laureati, per poi affermare che la verità è che abbiamo troppi laureati in scienze umanistiche mentre ne abbiamo troppo pochi nelle discipline tecnico scientifiche (sottinteso: i primi aspiranti parassiti destinati a vivacchiare in nicchie improduttive a spese del contribuente i secondi preziosa quanto scarsa linfa vitale per l’economia).
Qui le falsità sono tre in colpo solo:
1) che in Italia i laureati scarseggino è un dato di fatto attestato dal confronto con altri Paesi europei;
2) il luogo comune secondo cui ci sono troppi umanisti è dettato dalla preoccupazione che in generale chi compie questo tipo di studi è più portato a sviluppare capacità critiche nei confronti del sistema e quindi a rompere le scatole;
3) il continuo calo degli iscritti all'università (tanto umanistiche che scientifiche) è causato dal ruolo marginale che la divisione del lavoro imposta dal vertice della Ue a trazione tedesca attribuisce al nostro Paese, sempre più deindustrializzato e votato alle attività del terziario arretrato. In questo contesto le famiglie meno abbienti non hanno interesse a investire nella formazione di figli che finiranno a lavorare nei call center o a consegnare pizze a domicilio. Mentre i laureati in discipline scientifiche per trovare lavoro devono emigrare (quindi anche loro sono "troppi" rispetto alla domanda) per cui non favoriscono la crescita, ma anzi sottraggono capitale umano al nostro Paese che li ha formati.
Seconda bufala. Basta con le richieste di lavoro, tuona Panebianco, chi avanza questa pretesa evidentemente aspira al lavoro improduttivo ("scavare buche e poi riempirle", scrive evocando il più becero dei luoghi comuni sulle politiche economiche keynesiane, delle quali sia lui che la stragrande maggioranza degli apologeti del liberismo conoscono poco e capiscono meno). Invece di chiedere lavoro bisognerebbe chiedere crescita. Ma come si cresce? Meno tasse, meno spesa pubblica (licenziare ancora un bel po’ di dipendenti pubblici), liberalizzazioni, ecc. (ma prima occorre ridurre drasticamente il debito altrimenti non si possono abbassare le tasse).
Insomma le ricette dell’austerity che hanno messo definitivamente in ginocchio la Grecia invece di risanarla. Sembra incredibile che ci sia ancora chi crede davvero in queste bugie (dopo una crisi disastrosa che gli economisti liberisti non hanno saputo prevedere né tanto meno fronteggiare) e dopo che lo stesso Fondo monetario internazionale ha messo in discussione i dogmi su cui si fondava il Washington consensus. Ma forse il nostro non ci crede, forse, per citare le sue stesse parole, "qualcuno ha interesse che il falso venga creduto vero" e scommette sulla pigrizia mentale di chi lo sta ad ascoltare.
Ultima bufala (ce ne sarebbero altre ma credo bastino queste tre). Si continua ad attaccare la casta dei politici, scrive Panebianco, ma non si indica mai qual è la loro vera colpa: non rubare, servire gli interessi delle lobby finanziarie, ecc. ma fare da "cavalier serventi" di gruppi annidati nelle pubbliche amministrazioni e nella magistratura che, "sfruttando varie circostanze hanno tolto il bastone del comando alla politica e si sono impadroniti del potere decisionale che un tempo apparteneva al regime rappresentativo e ai suoi esponenti". E qui siamo alle comiche: se la casta ci opprime non è perché toglie i soldi dalle nostre tasche per regalarli alle banche, secondo il vecchio principio "socializzare le perdite privatizzare i profitti", ma perché gratta la pancia ai dipendenti pubblici (notoriamente ricoperti d’oro, anche sono sette anni che non ne vengono rinnovati i contratti), alle "corporazioni" (il vero nemico del popolo sono i tassisti, non Goldman Sachs e soci) e ai giudici. Visto che mi illudo che esistano ancora professori dotati di un minimo di coscienza civile e politica, li invito caldamente a leggere in classe questo articolo per spiegare ai ragazzi quali sono le vere fake news.
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