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14/06/2020

Gli “invisibili” lavoratori del turismo e dello sport alzano la voce

Lunedì mattina alle 10 sotto al Campidoglio faranno di tutto per farsi sentire le lavoratrici e i lavoratori del turismo, uno dei più colpiti dalle conseguenze della pandemia di Covid-19, che in città come Roma, o nelle altre condannate alla maledizione della “vocazione turistica”, vivono pesantemente il blocco delle attività.

L’emergenza Covid-19 ha congelato da subito il settore del turismo e tutto il suo indotto, una filiera che rappresenta il 13% del PIL e vede impiegati su scala nazionale 4,2 milioni di lavoratori.

Il Decreto Legge Rilancio Italia non registra la grave specificità del settore e si dimostra l’ennesimo regalo per le grandi aziende a cui vengono destinate gran parte delle risorse pubbliche.

Per le lavoratrici e i lavoratori, le piccole imprese e le famiglie solo le briciole delle risorse messe a disposizione dal Governo per l’emergenza Covid-19.

Il nuovo Patto Sociale siglato dal Governo Conte e dai suoi più fedeli alleati, Confindustria da una parte e CGIL, CISL e UIL dall’altra, ancora una volta abbandona il turismo all’assenza di politiche per la crescita, mentre tutela e garantisce gli interessi delle grandi imprese.

Per le lavoratrici e i lavoratori del settore resta solo la prospettiva di veder svanire da qui a poco la miseria erogata dagli ammortizzatori sociali senza alcuna prospettiva per il futuro.

In un comunicato USB fa sapere che “Le lavoratrici e i lavoratori del turismo non saranno né complici né vittime della macelleria sociale orchestrata dal Governo Conte e i suoi compari” e avanza una serie di obiettivi rivendicativi:

- reddito garantito e divieto di licenziamento fino alla totale ripresa del settore;

- applicazione delle norme in materia di sicurezza nei posti di lavoro;

- sospensione immediata del pagamenti di tutti i tributi e contributi fino a fine crisi e rimborso degli anticipi già versati per le partite IVA;

- rimodulazione delle addizionali comunali e regionale per i lavoratori dipendenti;

- riallocazione dei proventi delle tasse di soggiorno e permessi ZTL Bus per la creazione di un fondo di mutuo soccorso per i lavoratori e le lavoratrici del turismo e potenziamento dei servizi sul territorio.


Giovedì 18 giugno, invece, scenderanno in piazza davanti al Coni, i lavoratori e le lavoratrici dello sport, un’altra categoria di “invisibili”, che il perdurante blocco delle attività sportive ha lasciato senza lavoro e senza reddito.

Un terzo della popolazione italiana pratica sport (20 milioni di persone di cui il 40% donne), molti lo svolgono all’interno di strutture organizzate e la parte più rilevante dello sport non è professionistica ma dilettantistica.

I lavoratori dello sport sono per lo più inquadrati come “collaboratori sportivi” pur essendo di fatto dei lavoratori subordinati: una vera e propria rimozione nazionale, un voluto “equivoco” alimentato da interessi economici a cui ammiccano leggi ingiuste. In particolare, l’art. 67 coma 1 lett. m) del TUIR (testo unico sulle imposte e redditi DPR 22 dicembre 1985 n° 917) qualifica come redditi “diversi” (cioè non riconducibili al rapporto di lavoro) quelli erogati nel limite di 10mila euro nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche e per le società sportive dilettantistiche e ciò anche per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo e gestionale di natura non professionale.

Questi rapporti quindi non hanno alcuna tutela retributiva (minimi contrattuali, tredicesima, TFR) e non godono di alcuna copertura contributiva e assicurativa. Si tratta quindi di lavoratori che non avranno mai una pensione, che non ricevono alcuna tutela in caso di infortunio sul lavoro, in caso di malattia, di maternità e di ferie retribuite. Questo è frutto anzitutto di una vecchia concezione che accompagna il nostro ordinamento che contiene una rigida divaricazione tra attività sportiva professionistica e attività c.d. “dilettantistica”, considerando vere prestazioni lavorative solo quelle svolte in ambito professionistico, mentre quelle prestate nell’ambito dilettantistico vengono equiparate a prestazioni volontarie o comunque rese al di fuori di un rapporto obbligatorio. Ma ciò è falso: il settore che la normativa definisce “dilettantistico” è animato da migliaia di persone che svolgono la propria attività non per diletto. Sono lavoratori e lavoratrici che operano con professionalità e passione ma anche con la necessità di mantenere famiglie e pagare mutui e che svolgono una funzione sociale molto importante. Tutto ciò emerge anche dall’articolo 96 comma 3 del Decreto Cura Italia (D.L. 18/2020) che non può negare la natura lavoristica delle prestazioni sportive dilettantistiche e che ha stanziato 50mln di euro complessivi per tutti i lavoratori dello sport, prevedendo un’indennità di 600€.

Nel jobs act nel 2015 si vollero escludere proprio i lavoratori-collaboratori sportivi dalla tutele del lavoro subordinato che in quell’occasione vennero estese a tutti i collaboratori coordinati e continuativi (art.2 c.2 lett. d della legge n.81 del 2015).

Vogliamo inoltre ricordare che delle agevolazioni fiscali ai danni dei “collaboratori sportivi” ne usufruiscono non solo tutte le ASD (Associazioni Sportive Dilettantistiche) e le SSD (Società Sportive Dilettantistiche) ma allo stesso modo anche i grandi centri sportivi e di fitness con esose tariffe di iscrizione e di abbonamento mensile.

Nell’annunciare la mobilitazione di giovedì 18 giugno davanti al Coni, USB ha reso note le rivendicazioni che avanzerà in quella sede.

“Il giusto intento di voler promuovere e valorizzare lo sport dilettantistico è a carico dei lavoratori ed a favore delle aziende, in un settore dove sono possibili anche grandi profitti; crediamo sia il momento di andare oltre questo “equivoco” e dare ai lavoratori sportivi i loro diritti:

- riconoscere la natura subordinata del rapporto di lavoro con le dovute tutele retributive, contributive, previdenziali e assistenziali;

- istituire un Tavolo interministeriale con il Ministero del Lavoro e Ministero Sport e Salute, aperto alle parti sociali, per regolamentare le condizioni di lavoro nello sport, con la piena tutela retributiva, assicurativa e previdenziale per chi svolge queste attività;

- favorire il rilancio dello sport come bene comune, promuovendo la municipalizzazione dei centri sportivi comunali che nel corso degli anni sono stati dati in mano alla gestione privatistica, con personale dipendente del Comune e sostenere tutte le ASD che perseguono lo stesso fine applicando tariffe calmierate”.

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