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02/06/2020

Sanità e territorio. Quo vadis?

Niente dovrà essere come prima. La pandemia ha messo a nudo in maniera marcata l’inefficienza e l’inefficacia del Servizio Sanitario Nazionale. La precisazione è d’obbligo.

La Medicina Preventiva non esiste più o quanto meno è stata “piegata” agli interessi economico-industriali (esempio eclatante Taranto).

La medicina assistenziale è stata cancellata dalla sussidiarietà che si traduce come intervento del privato con l’intento di trarre profitto con conseguente speculazione sui bisogni degli assistiti: si deve pagare una retta sia nel pubblico sia nel privato, perché la logica è prettamente economica e pervade egualmente pubblico e privato. In buona sostanza si va a colpire lo strato di popolazione che lavorando una vita, attraverso la contribuzione fiscale, sperava di avere una vecchiaia dignitosa e serena.

La pandemia ha dimostrato quanto sia stata demenziale la scelta di politica sanitaria generale e le leggi che la codificano.

In particolare mi riferisco al trasferimento, in Lombardia, secondo una circolare della Regione dell’8 marzo, di malati Covid nelle case di riposo in nome di un aumento di quota giornaliera, oltre che all’insipienza medica di un atto del genere.

La stessa questione riguarda la medicina curativa che naturalmente ha dei distinguo fondamentali fra quella territoriale e ospedaliera ma che ha mostrato un alto livello critico nell’affrontare la pandemia.

L’accreditamento del pubblico e del privato, quindi la parità di trattamento economico, ha deliberatamente messo in crisi la componente pubblica.

In pratica tutta l’urgenza è stata a carico delle terapie intensive pubbliche in quanto numericamente preponderanti sulle strutture private ma che celano una scelta economica: costano troppo e il ritorno economico non conviene.

A tale proposito va ricordato che le terapie intensive pubbliche devono tenere dei letti disponibili per eventuali emergenze provenienti dal privato. Altro punto dolente è stato l’affollamento degli ospedali in quasi totale assenza di presidi territoriali sanitari pubblici e di medicina convenzionata (leggi mutua).

Naturalmente tutte le forze politiche si sono scatenate nel denunciare la mancanza di centri di ricezione territoriali. Ma già si fanno dei distinguo. Le ricerche anticorpali mediante prelievo venoso vengono eseguite solo da strutture private al costo medio di 50€, mentre le strutture pubbliche, compresi gli ospedali, non sono “accreditate” per tale compito e le rilevazioni con il pungidito ripetibile a volontà, con risposta quasi immediata, dal costo di5€ non vengono effettuate in alcun luogo, privato o pubblico che sia.

Gli stessi datori di lavoro devono pagare di tasca loro l’eventuale test sierologico il che apre una serie di problematiche facili da immaginare. A questo proposito si apre un’altra questione importante relativa ai ticket sanitari.

Il ticket rappresenta un esborso ulteriore per i contribuenti e il continuo aumento ha prodotto un boom di laboratori privati sul territorio che offrono un servizio a un costo poco superiore al ticket con una risposta molto più breve e con attese minori.

Alla fine sarebbe giusto chiedersi se, visto che il Servizio Sanitario Nazionale è retto dalla fiscalità generale perché non si divide il pubblico dal privato? Questo concetto è in linea con la legge 833/78 che parla di sanità pubblica, gratuita, universale. Peccato che è stata superata dalla legge De Lorenzo nel 1992 e Bindi nel 1999 che prevedono l’aziendalizzazione della sanità e il tutto viene rafforzato da D’Alema con la modifica del titolo V della Costituzione, foriera della regionalizzazione differenziata che ci ha portato allo stato pietoso in cui oggi siamo.

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