Uno degli avvenimenti più importanti all’interno del capitalismo
italiano, nella sua fase più recente, è l’acquisizione di UBI, la terza
banca italiana per capitalizzazione di borsa, da parte della prima
banca, Intesa Sanpaolo. Questa aggregazione rafforzerà
ulteriormente il carattere oligopolista del credito, concentrando
ulteriormente il potere bancario in poche mani. Nasce, in questo modo, uno dei più grandi colossi bancari europei,
con un obiettivo di utile non inferiore a 5 miliardi nel 2022 e con
quote di mercato in Italia di circa il 20% in tutti i settori di
attività.
Come abbiamo avuto modo di osservare, riprendendo Lenin, in un precedente articolo sull’imperialismo italiano, la centralizzazione del capitale,
sotto forma della fusione o della acquisizione tra imprese diverse, che
arriva fino alla costituzione di monopoli e oligopoli, è una tendenza
tipica che si manifesta di nuovo in modo marcato nel capitalismo
contemporaneo. Ciò vale, a maggior ragione, per il credito, in quanto la
banca è un elemento fondamentale dell’accumulazione del capitale in
generale, e, in particolare, nella sua fase imperialistica, nella quale
si realizza l’integrazione tra impresa industriale e banca.
L’accumulazione di capitale da prestito viene segnalata già da Marx come
una forma di accumulazione, strettamente legata (una “filiazione”), ma
distinta dall’accumulazione reale: “Lo sviluppo del sistema creditizio e l’enorme concentrazione degli affari riguardanti i prestiti monetari nelle mani di grandi banche, deve dunque affrettare per sé stessa l’accumulazione di capitale da prestito,
come una forma distinta dall’accumulazione reale. Questo rapido
sviluppo del capitale da prestito è quindi un risultato
dell’accumulazione reale, essendo questa una conseguenza dello sviluppo
del processo della riproduzione (…). Una
accumulazione di questo capitale monetario, distinto dall’accumulazione
reale, sebbene ne sia una filiazione, si verifica, se noi consideriamo
soltanto i capitalisti monetari, i banchieri, ecc., per se stessi, come
accumulazione di questa classe particolare di capitalisti. Ed
essa si deve accrescere a misura che si estende il sistema creditizio
che accompagna lo sviluppo reale del processo di riproduzione.[1]”
Dunque, l’estensione del sistema creditizio è strettamente e
dialetticamente collegata ai processi dell’economia reale. Per questo
quello tra UBI e Banca Intesa non sarà l’unico caso di aggregazione
bancaria. Del resto UBI stessa era il prodotto di precedenti
aggregazioni svoltesi negli ultimi anni e all’interno del suo
azionariato sono presenti numerose famiglie e imprese importanti delle
aree del bresciano e del bergamasco, zone ad alta densità industriale,
ma anche di altre realtà fuori dalla Lombardia, come le Marche e la
Calabria.
Prossimamente, quindi, assisteremo a un incremento delle
aggregazioni. Questo per due ragioni. In primo luogo, perché il
mercato delle merci e di capitali è sempre più ampio e concorrenziale, e
c’è necessità di banche che agiscano a un livello più internazionale,
per lo meno europeo, facilitando i processi di esportazione di merci e
soprattutto di capitale e finanziando le fusioni e acquisizioni
transfrontaliere, tra imprese e banche di stati diversi, in direzione
della costruzione di campioni europei. A questo proposito sono
significative le parole di Giuseppe Lucchini, importante imprenditore
bergamasco, socio di UBI Banca e tra i primi ad aderire all'operazione
di acquisizione da parte di Intesa: “Non possiamo rimanere
legati al concetto di territorio al quale eravamo abituati trent’anni
fa, quando le aziende producevano per vendere in Lombardia o in Piemonte
o in Veneto, oggi per avere competitività è necessario pensare almeno a
una dimensione di mercato europea, bisogna avere una visione più ampia,
più aperta”.[2]
In secondo luogo, le aggregazioni aumenteranno, perché la crisi ha
come conseguenza proprio l’aumento dei processi di centralizzazione.
Secondo un recente studio della società di consulenza Oliver Wyman, le banche europee nel triennio 2020-2022 dovranno far fronte, a seguito della crisi, a 400 miliardi di perdite sui crediti.
Le banche dovrebbero assorbire meglio queste perdite rispetto al
periodo 2012-2014, grazie a una loro maggiore patrimonializzazione: il
70% delle banche europee censite dall’EBA (European Banking Autority)
dovrebbe arrivare a fine 2022 a un CET1 ratio (rapporto tra il capitale
ordinario versato e le attività ponderate per il rischio) superiore al
12%. Più preoccupante, sempre secondo il rapporto di Oliver
Wyman, sono le prospettive di profitto: solo il 17% delle banche
arriverà al 2022 con un ritorno sul capitale (ROE) superiore all’8%,
mentre delle altre banche circa la metà resterà in un limbo di
sopravvivenza (capitale sufficiente ma redditività al minimo) e l’altra
metà si troverà in difficoltà.
La scarsa profittabilità riguarderà tutto il settore bancario europeo e anche l’Italia. Qui lo smaltimento dei crediti inesigibili (NPL) aveva fatto grandi passi avanti, ma non come negli altri paesi. La previsione è che in Italia ai 135 milairdi di euro di NPL del 2019 nel triennio 2020-2022 si aggiungeranno altri 45-55 miliardi.
I ricavi aggregati del settore bancario in Europa, invece, caleranno da
566 miliardi del 2019 a 385 miliardi del 2020 per poi risalire a 450
miliardi nel 2021 e a 535 nel 2022, rimanendo comunque a un livello inferiore a quello precedente allo scoppio della crisi.
Quali sono le soluzioni a questo calo della redditività? Oliver Wymen
ne indica tre: il taglio dei costi, la rivisitazione dell’attività in
chiave digitale (ripensando il ruolo delle filiali e integrando lo smart
working a detrimento dei lavoratori e dei loro diritti) e soprattutto l’aggregazione tra banche. La
divaricazione di risultati, tra banche in condizioni peggiori e banche
in condizioni migliori, faciliterà i processi di aggregazione da parte
dei più forti nei confronti dei più deboli. In prima battuta ci sarà un
consolidamento nazionale, dove saranno inevitabili nuove aggregazioni
dopo quella tra Banca Intesa e UBI. Ma al contempo i processi che
viaggiano a livello europeo, in particolare la costruzione dell’Unione
bancaria e del mercato unico dei capitali, favoriranno le aggregazioni a
livello transforntaliero, tra banche di paesi diversi.
Il processo di centralizzazione e di concentrazione in poche mani del
potere bancario, da una parte, rende più forte il capitale, ma,
dall’altra parte, costituisce una delle basi materiali per la socializzazione dei mezzi di produzione come evidenziava già Marx: “Abbiamo
visto che il profitto medio del capitalista singolo, di ogni capitale
individuale, non è determinato dal plusvalore che questo capitale si
appropria di prima mano, ma dalla quantità di plusvalore complessivo che
il capitale complessivo si appropria e da cui ogni capitale
individuale, unicamente come parte proporzionale del capitale
complessivo trae i suoi dividendi. Questo carattere sociale del
capitale è reso possibile e attuato integralmente dal pieno sviluppo del
sistema creditizio e bancario. Dall’altro lato questo sistema
va oltre e mette a disposizione dei capitalisti commerciali e
industriali tutto il capitale disponibile e anche potenziale della
società (…) così che né chi dà a prestito né chi impiega questo capitale
ne è proprietario o produttore. Esso elimina con ciò il carattere privato del capitale e contiene in sè, ma solamente in sé, la soppressione del capitale stesso. Con il sistema bancario la ripartizione del capitale è sottratta alle mani dei privati e degli usurai, come una funzione sociale. Ma
la banca e il credito in pari tempo divengono il mezzo più potente per
spingere la produzione capitalistica al di là dei suoi limiti, e uno dei
veicoli più efficaci della crisi e della speculazione”[3]
L’acquisizione di UBI, banca radicata e legata a specifici territori e
a una realtà di piccole e medie imprese, da parte di una banca di
livello europeo come Banca Intesa rappresenta, in definitiva, anche uno
spostamento di quote di potere economico e una subordinazione del
capitale nazionale al grande capitale multinazionale a base italiana,
che si sta attrezzando al confronto/scontro europeo che si accentuerà
con la realizzazione dell’Unione bancaria e del mercato unico europeo.
Note:
[1] K. Marx, Il capitale, Libro III, Editori Riuniti, Roma 1980, pp.590-591.
[2] M. Meneghello, “Intervista a Giuseppe Lucchini. Esito di buon senso, serve una visione più larga”, Il Sole 24 ore, 29 luglio 2020.
[3] K. Marx, op. cit., pp.704-705.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento