Fra il 1973 e il 1974 Al Kooper fu a capo di una piccola divisione della
Mca Records, chiamata Sounds Of The South: il suo scopo era quello di
scovare artisti che potessero sfruttare l'onda della Allman Brothers Band, che stava esplodendo commercialmente in quel periodo.
Kooper aveva ventinove anni quando gli fu assegnato l'incarico, ma era già un
personaggio di grande esperienza, con un curriculum impressionante:
tastierista e polistrumentista di livello, turnista per nomi del calibro
di Bob Dylan e Rolling Stones, fondatore di rock band di culto degli anni Sessanta statunitensi quali Blues Project e Blood Sweat & Tears, compagno di jam
del chitarrista blues Mike Bloomfield, e produttore per il jazzista Don
Ellis. La varietà dei territori toccati spiega bene la sua attitudine
al mélange culturale e la visionarietà delle proposte: basti
ricordare che nei Blues Project, come intuibile dal nome dediti al blues
rock, fece uso di strumenti del tutto insoliti per l'ambito, come il
flauto e l'Ondioline (una rudimentale, quanto mai caratteristica
tastiera elettronica); mentre il complesso rock fiatistico che mise in
piedi con i Blood Sweat & Tears rappresentò di fatto la prima
commistione fra jazz-rock e forma canzone tradizionale.
Una mente fuori dagli schemi che apportò un fondamentale contributo anche
all'album di debutto dei Lynyrd Skynyrd. Nata a Jacksonville, città
della Florida simbolo del segregazionismo, la band era composta da teste
calde dotate di grande energia e irruenza, sicuramente abili
strumentisti, ma a cui serviva qualcuno capace di incanalarne il flusso
creativo. L'incontro con Kooper non avrebbe potuto essere più azzeccato.
I membri dei Lynyrd Skynyrd – sul nome e sui dettagli antecedenti la nascita della band, si rimanda alla monografia
già presente su OndaRock – andavano avanti ormai da un pezzo, cambiando
spesso formazione e nome del proprio progetto. Giunti alla
registrazione di questo album di debutto, dopo che Kooper li aveva
scovati mentre suonavano in un locale, non si erano ancora stabilizzati:
c'erano Ronnie Van Zandt (voce), Gary Rossington (chitarre), Allen
Collins (chitarre) e Bob Burns (batteria), ma mancavano ancora il
chitarrista/bassista Ed King e il pianista Billy Powell.
King era stato chitarrista nei californiani Strawberry Alarm Clock, band che ebbe un'annata di grande successo durante la stagione psichedelica,
ma che si era sciolta nel 1971 ormai dimenticata dall'industria
discografica. Conosciuta una versione embrionale dei Lynyrd Skynyrd
durante un tour in Florida, era rimasto in contatto con Van Zandt.
Accettò quindi di buon grado la richiesta di entrare in formazione come
bassista, per sostituire il dimissionario Leon Wilkeson, che a un futuro
di rockstar incerto sembrò lì per lì preferire uno stipendio sicuro
come gelataio.
Terminate le sessioni del disco, Van Zandt riuscì a
ogni modo a far rientrare il bassista originario nei ranghi, in modo da
posizionare King come terzo chitarrista. Al momento di scattare la foto
che finirà in copertina, Wilkeson era dunque nuovamente nella band: per
questo motivo venne deciso vi potesse comparire, nonostante la sua
fattiva assenza nei solchi del disco.
Prima di proseguire, è importante smontare un equivoco piuttosto diffuso: i Lynyrd Skynyrd non
furono, come spesso sostenuto, fra gli iniziatori del southern rock. A
ben vedere, se si considerano gli esponenti più noti del genere, revival
a parte, furono addirittura gli ultimi: Charlie Daniels, Marshall
Tucker Band, Little Feat, ZZ Top e Black Oak Arkansas debuttarono tutti
prima di loro. Eppure, anche arrivando con quattro anni di ritardo sulla
sua nascita, convenzionalmente fatta risalire al debutto degli Allman
Brothers nel 1969, i Lynyrd Skynyrd sono riusciti a segnare la storia
del genere. Perché in fin dei conti, non conta solo quando si arriva, ma
anche come si arriva.
Le differenze coi loro predecessori erano
evidenti: negli Allman Brothers c'erano influenze jazz e gospel (non
solo, ma erano gli elementi che maggiormente li distinguevano dal resto
del carrozzone), Charlie Daniels dava spazio al bluegrass e al violino,
la Marshall Tucker Band aveva un afflato poetico vago parente del rock progressivo
europeo, mentre gli ZZ Top suonavano un boogie rock dagli arrangiamenti
stringati. Uno scenario sorprendentemente variegato, che mostra una
scena creativa e lontana dallo stereotipo di un Sud chiuso e
provinciale.
In questo collage di diverse interpretazioni della
materia, l'approccio dei Lynyrd Skynyrd ebbe un impatto deflagrante:
nessuna delle band sopraccitate poteva infatti vantare un sound tanto violento, perlomeno non prima che loro spostassero le coordinate del genere al confine con l'hard rock.
La loro commistione stilistica consisteva sostanzialmente in due generi:
country rock e blues. Se il primo lo avevano pescato dal proprio
continente (non solo gli Allman Brothers, Van Zandt era infatti un
ammiratore dello stesso Neil Young – anche a dispetto degli scontri a distanza che sarebbero giunti in
seguito col suddetto), il secondo era giunto loro filtrato dalle band
britanniche. Nello strano gioco dei giovani americani che imparano il
blues dai britannici anziché dai vecchi americani, i Lynyrd Skynyrd
seguirono le orme di Rolling Stones, Yardbirds e Led Zeppelin. Per questo motivo, il southern rock divenne all'improvviso molto più duro di quanto fosse stato fino a quel momento.
Due elementi fecero sì che la loro musica non subisse tuttavia uno
sbilanciamento fra muscoli e cervello: la presenza di Al Kooper in
cabina di regia e l'aggiunta, all'ultimo momento, di un nuovo membro.
Billy Powell era un loro tecnico, che ispirato dalle prove di "Free Bird",
senza ancora immaginare l'inno che sarebbe diventato, propose di poterci
suonare un'introduzione per pianoforte. L'idea piacque talmente agli
altri da prenderlo immediatamente a bordo. Il suo stile completo, capace
di eleganza neoclassica così come di rustici passaggi dixieland, aggiunse profondità alla tavolozza.
Ben quattro brani del disco sono diventati classici del rock, non solo southern: niente male per un album di debutto.
Due sono imponenti ballate, che mettono in mostra la duplice anima della
band, una – "Tuesday's Gone" – intrisa di country, l'altra – "Simple
Man" – un intenso blues rock. L'intermezzo di "Tuesday's Gone" spiega
bene il livello di rifinitura messo in atto in studio, con le delicate
scale pianistiche di Powell contornate dalla chitarra effettata di King,
che esclusivamente in questo brano non è al basso, lasciato allo stesso
Kooper. Il produttore suona anche il Mellotron, imitandoci il suono di
una sezione d'archi, mentre alla batteria compare l'amico Robert Nix,
dalla Atlanta Rhythm Section, la cui registrazione venne preferita a
quella del membro effettivo Bob Burns, che pure era stata effettuata
(rimane comunque l'unico pezzo del disco senza il suo apporto).
"Gimme Three Steps" è un sanguigno hard rock, non privo di prelibatezze
percussive: Burns suona il campanaccio, mentre alle conga lo affianca la
celebre turnista Bobbye Hall.
Il capolavoro è però "Free Bird",
brano che inizialmente venne concepito per dare respiro a Van Zandt
durante i concerti: cantante dall'impeto passionale e romantico, con una
voce dalle tinte blues, pulita ma lievemente nasale (quel tanto che
basta a dare colore senza stuccare), era infatti solito concedersi ai
fan con generosità durante i concerti. Così, da quello che sembrava un
semplice espediente, è nato uno dei brani più amati della storia del
rock.
La prima metà è una ballata, anche questa nel segno di country e blues, grazie alla chitarra slide
di Gary Rossington, mentre a brillare nella seconda parte è Allen
Collins, autore del brano, che guida una corsa forsennata, con i suoi
assoli reiterati e incollati in studio uno sull'altro con precisione
chirurgica. Il tappeto su cui atterra la sua pioggia di note è composto
da organo Hammond (Kooper), chitarre elettriche (questa volta in
funzione ritmica, suonate da Rossington), acustiche (lo stesso Collins) e
pianoforte (Powell). Verso il finale la base si produce in una serie di
memorabili stop e ripartenze, mentre la batteria di Burns sfoggia un
terzinato che somiglia alla marcia di un treno.
L'altra metà della scaletta non può vantare il potere iconografico di simili classici, ma
ciò non significa che non sia musicalmente all'altezza, come dimostrano
la sincopata "I Ain't The One" (i Black Crowes con vent'anni di anticipo) e "Mississippi Kid", delta blues con chitarra bottleneck,
in cui Kooper si diletta fra mandolino e grancassa, mentre il suo amico
Steve Katz (già al suo fianco in Blues Project e Blood Sweat & Tears) suona l'armonica.
Uscito nell'agosto del 1973, "(Pronounced 'Lĕh-'nérd 'Skin-'nérd)" arriverà in pochi mesi al numero
67 della classifica di Billboard, attirando il pubblico delle radio
indipendenti, ma faticando a scavalcarne i confini. L'anno successivo,
tuttavia, "Second Helping" avrebbe spalancato loro le porte del mainstream
grazie all'iconica "Sweet Home Alabama". Sull'onda di quel successo la
casa discografica ripropose "Free Bird" come singolo, contribuendo a far
risalire l'album fino al numero 27, che verrà toccato nel febbraio del
1975, a un anno e mezzo di distanza dall'uscita. Una dimostrazione di
grande longevità, che spiega bene come alla fine metà della scaletta
sarebbe rimasta nell'immaginario americano.
Fu solo il primo passo verso una carriera lunghissima, densa di tragedie (il celebre incidente
aereo del 20 ottobre 1977), scintille politiche (la difesa dei valori
del Sud, la bandiera dell'Armata Confederata della Virginia
Settentrionale sfoggiata durante i concerti), contraddizioni (la stima
per personaggi segregazionisti come George Wallace e l'utilizzo di
turnisti neri nei propri album) e grande successo di pubblico, che
continua ancora oggi (al momento in cui questa recensione viene
pubblicata, vantano oltre undici milioni di ascoltatori mensili sul solo
Spotify). Tutti elementi di grande interesse, su cui si potrebbe
proporre un approfondimento a parte, ma che non cambiano un fatto:
nessun altro loro album, neanche "Second Helping", avrebbe bissato la
ricchezza espressiva e l'innovazione di questo folgorante debutto.
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