Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

15/08/2020

L'ombrellone (1965) di Dino Risi

C’è il ferragosto, c’è Dino Risi, ma non è il ferragosto del più celebre «Il sorpasso». È invece «L’ombrellone», ritratto ormai archeologico di un Italia datata 1965. Meno conosciuto ma altrettanto graffiante: una galleria di piccoli borghesi assatanati di banalità mediocre e conformismo. I progenitori della maggioranza silenziosa, anche se nel film il volume è volutamente alto e i discorsi fastidiosi e futili si mischiano disturbando volutamente l’orecchio dello spettatore... E una “maggioranza” che si chiamò “silenziosa” permetterà alle forze reazionarie di dominare politicamente un Paese che credeva di potersi sviluppare nel boom economico con trucchi e furti più o meno legalizzati. La satira di Risi – quella de «Il sorpasso», de «I mostri» e appunto del meno celebrato «L’ombrellone» – oggi andrebbe incontro a censure e indignazioni di gruppi sociali che lui trattò per quello che sono: meschini, superficiali, egoisti.

In questa metà di agosto viviamo fra mascherine anti Covid e innalzamento delle temperature da devastazione ambientale. Fa impressione rivedere una società gaudente, sprecona e con una fiducia illimitata nel futuro. Ma è come porre due linee di confine tra ieri e oggi e contemplare nel mezzo l’involuzione sociale che si è sviluppata. Anche per questo «L’ombrellone» non viene riproposto molto spesso in televisione: il sarcasmo di Dino Risi non contiene nulla di politico ma “affonda il coltello” sulla società che sta per autodistruggersi risultando quindi molto più efficace e corrosivo. Le spiagge dove non c’è un metro quadrato di spazio libero, gli ammassi di carne umana nell’immensità acquatica di una riviera adriatica in cui spicca il “moscone”, quell’imbarcazione a remi che viene usata dai bagnini per controllare il mare. Con le coppie clandestine che allontanandosi dalla riva trovano un minimo di privacy, subito sconfessata dal loro ritorno a riva in coppia, dando così adito a pettegolezzi. Le pensioni a prezzi incredibilmente bassi che permettevano all’operaio come al piccolo borghese di sfoggiare al ritorno quell’abbronzatura che testimoniava «la settimana di vacanza per tutti» offerta dal mondo produttivo in crescita degli anni '60.

Il colpo d’occhio di Risi è impietoso e diventa addirittura cattivo quando dai paesaggi si passa ai personaggi e alle loro relazioni. Se ne «Il sorpasso», di tre anni prima, è la morte di uno dei protagonisti a suggellare una predizione sul destino, ne «L'ombrellone» non c’è bisogno di mettere in scena il lutto: la carne umana che l’ingegnere Enrico Marletti (Enrico Maria Salerno) incontra durante il soggiorno ferragostano si sta già decomponendo da sola, senza necessità di un intervento nella sceneggiatura per puntualizzarlo.

I volti utilizzati da Risi si prestano perfettamente all’insieme. Sandra Milo, moglie di Salerno; Jean Sorel, che interpreta l’icona del latin lover romagnolo da spiaggia; Lelio Luttazzi, conte decaduto che sopravvive di espedienti e poesia, autore anche della colonna sonora, altrimenti ricca di motivetti delle estati anni '60; Raffaele Pisu, che interpreta il personaggio del barzellettiere milanese che ogni romano avrebbe strozzato con grande godimento; Leopoldo Trieste, alle prese con il personaggio di un professore che non si sottrae alla perdita di dignità imposta dalla deriva balneare. Molti altri caratteristi intorno, volti che abbiamo visto mille volti nei film dell’epoca ma a cui non sappiamo dare un nome senza sfogliare la deprecata Wikipedia. Volti che producono nostalgia, almeno in chi scrive, per un mondo in cui ho vissuto e delle cui nefandezze e saccheggi ho partecipato appieno con la mia famiglia in quegli stessi luoghi della costa romagnola.

Un film di satira sociale non è naturalmente un attacco contro il sistema produttivo, ma l’effetto di rigetto è analogo a un trattato di sociologia sugli effetti degradanti del capitalismo familistico italiano sulla società. Ve ne consiglio la visione oggi, quale che sia la vostra età, in primo luogo per respirare un’aria di libertà creativa nella scrittura del film che non si trova più. Oggi l’Associazione Gigolò romagnoli o il Comitato Vecchie Carampane milanesi o l’Ordine degli Ingegneri mondiale presenterebbero istanza di sequestro per questa pellicola impietosa verso tutti e politicamente “scorretta”. Comunque il motivo principale per vedere «L’ombrellone» è molto semplice: è un gran bel film che fa ridere e riflettere anche con 40 gradi all’ombra perchè scritto con leggerezza. E non è poco.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento