Non si tratta di una opposizione “ideologica” tra una lettura critica e una entusiastica della Ue, ma della trascrizione filmica dell’esperienza fatta da Yanis Varoufakis nei suoi sei mesi da ministro delle finanze greco, nel primo governo Tsipras.
Il valore aggiunto di realtà, quello che distingue una fiction dai fatti reali, è nelle registrazioni fatte dallo stesso Varoufakis durante le riunioni dell’Eurogruppo (allora guidato dall’olandese Jeroen Dijsselbloem, poi dal portoghese Centeno e ora dall’irlandese di destra Paschal Donohoe).
Le battute dette dagli attori che rappresentano i vari Wolfgang Schaeuble, Pier Carlo Padoan, Pierre Moscovici, Christine Lagarde, ecc. non sono voli di fantasia di uno sceneggiatore a caccia dell'”effetto”, ma quel che effettivamente è stato detto – e si dice – ai piani alti di Bruxelles.
Nessuna “solidarietà europea”, nessun “destino comune”, nessuna “comunità di popoli che ha eliminato la guerra nel Vecchio Continente”. Solo potere puro per ricondurre un intero continente ad alcune linee di governance che assicurano la predominanza di un grumo di interessi multinazionali (“di” imprese multinazionali, industriali e finanziarie).
Lo scarto tra marketing europeista e realtà istituzionale è abissale. La “riformabilità” di questo assetto è meno di zero. Nonostante proprio Varoufakis sia poi diventato il più noto sostenitore della necessità di “riformare” la Ue – un mito che ha bruciato molti neuroni “a sinistra” – appare evidente come gli interessi siano straordinariamente più forti degli “ideali”. E come la contrattazione tra interessi segua la logica dei rapporti di forza, non quelli della “giustizia”, della “solidarietà” e neanche quelli della più sobria razionalità.
È intuitivo, infatti, che un insieme regolato soltanto dalla dinamica dei rapporti di forza sia costitutivamente esposto a smottamenti corrispondenti al modificarsi dei pesi specifici individuali dei diversi membri. E che dunque proprio i ripetuti “successi” (soprattutto tedeschi) nel risolvere ogni momento critico a proprio vantaggio – fin qui – sono in realtà il fondamento di fenomeni critici più consistenti.
L’elemento che certifica l’indicibilità di questa banale verità sta proprio nel trattamento subito da questo film, circolato ben poco nelle sale e ancor meno nella critica mainstream, nonostante la “chiara fama” sia dell’ex ministro-testimone sia del regista due volte premio Oscar.
Ne avevamo del resto già parlato citando il tentativo di Klaus Regling, uno degli architetti dell’euro, ma soprattutto – allora come adesso – direttore del Mes, di convincere Costa-Gavras a non girare il film.
Non insistiamo qui neppure sul “velleterismo” del gruppo dirigente di Syriza, e dello stesso Varoufakis, rispetto alla possibilità di ottenere modifiche sostanziali nella gestione del debito pubblico, ricontrattandolo e ristrutturandolo. Su questo il film, pur apertamente simpatizzante, è definitivo.
Al punto che si potrebbe ben dire che il miglior contributo dato da Varoufakis alla conoscenza collettiva dei meandri della Ue è consistito proprio nel registrare le discussioni interne all’Eurogruppo e nel renderle poi pubbliche. Cosa che Alexis Tsipras si è ben guardato dal fare...
Potrebbe stupire il profano vedere che gli obiettivi perseguiti da quel primo governo di “sinistra radicale” in Grecia erano in fondo assai poco “radicali” e molto “ragionevoli”, anche dal punto di vista della tenuta complessiva dell’architettura europea. Ma la “ragionevolezza”, a quel livello di interessi consolidati, è un’illusione da ingenui che non ci si può permettere...
In questo senso le recensioni che vi proponiamo restituiscono, da diversi punti di osservazione, il disorientamento dello spettatore medio (anche colto) davanti a quello che abbiamo chiamato lo “scarto abissale” tra narrazione europeista e realtà istituzionale. Alla fine, finiscono spesso per parlare del film come se fosse un normale film di fiction, non qualcosa di orrendamente vero.
Possiamo naturalmente discutere liberamente di cos’è e come funziona l’Unione Europea, se sia “riformabile” o meno, e quanto potrebbe esserlo nei sogni di ognuno... èerò, se non avete la pazienza di leggervi i trattati e le “deliberazioni” di queste istituzioni, almeno vedetevi questo film. E poi ne parliamo. Poi.
Altrimenti, il saggio consiglia un dignitoso silenzio...
Il film.
*****
Tratto dalle memorie di Yanis Varoufakis, il film racconta i mesi della crisi europea, quando il transatlantico Europa affondò la barchetta Grecia. Era un caso minore, per un valore quantitativamente piccolo rispetto al bilancio dell’Unione Europea, ma doveva servire d’esempio per gli altri (i PIGS, per esempio).
Fu una partita a scacchi, in cui la Grecia era un pedone, e si sa che un pedone da solo non vincerà mai.
Varoufakis e Tsipras ci hanno provato, e le poche vittorie sono state solo quelle del coraggio e della simpatia, ma le regole del gioco e i potenti volevano il sacrificio della vittima rituale, e così fu.
La grandezza del film sta nel mostrare uno dei motori dei rapporti fra Stati, e persone, i rapporti di forza, nudi e crudi, e il contorno di piccole e grandi inganni e vigliaccherie.
Beate le nazioni che non hanno bisogno di vittime sacrificali.
Ci sono almeno due motivi per non perdere il film, il primo che è di Costa-Gavras, che non delude mai, il secondo è che una visione dei meccanismi del potere così chiara e forte è difficile vederla al cinema.
Se è cinema politico lo capirete da soli.
Ismaele
Fonte
*****
Gli adulti nella stanza dovrebbero essere i capi di stato dell’Unione Europea e le sue autorità economiche e politiche, che si riuniscono per affrontare il caso della crisi greca. Ma adulti non sembrano proprio, sembrano piuttosto bambini capricciosi che rifiutano qualsiasi dialogo anche di fronte ad un collasso sociale.
Il regista Costa-Gravas assume il punto di vista di Yanis Varoufakis dal cui diario costruisce l’intreccio. Ne esalta la fermezza, ma anche le capacità retoriche, la tenacia con cui cerca di rispettare il proprio mandato, mentre gli altri sembrano a tratti macchiette chiuse a ogni confronto.
Al di là di ogni considerazione politica, il film appare come la lotta di un uomo per la civiltà contro le sovrastrutture politiche che paiono indifferenti alle sue istanze.
È già il tema chiave di questo Festival, che certamente deve fare riflettere: che sia la politica francese dell’Ottocento, che sia l’FBI, che sia il governo di Putin, questo Festival continua a proporre quasi ossessivamente l’immagine di un potere che appare lontano e indifferente e contro cui è vano combattere.
Adults in the Room è certamente un’opera politica, ma non più di quanto lo sia un film storico: deve essere visto come un film d’invenzione e non come un documentario, dove la realtà di fatti così recenti è secondaria rispetto all’immagine dell’eroe buono contro i cattivi, e quindi al suo valore di esempio, di parabola significativa per il presente.
Del resto si potrebbe dire che le scene migliori, emotivamente più disturbanti, sono quelle più surreali, in cui l’invenzione è più evidente e più forte il coinvolgimento dello spettatore. È grazie a questo che il film raggiunge il suo scopo, lascia il segno.
ADULTS IN THE ROOM
di Costa-Gavras
Durata: 124’
Francia, Grecia, 2019
Interpreti: Christos Loulis, Alexandros Bourdoumis, Ulrich Tukur, Daan Schuurmans, Christos Stergioglou, Dimitris Tarlow, Alexandros Logothetis, Josiane Pinson, Cornelius Obonya, Aurélien Recoing, Vincent Nemeth, Francesco Acquaroli, Thanos Tokakis, George Lenz, Themis Panou, Maria Protopappa, Valeria Golino
*****
Nell’anno in cui si formalizza la sconfitta degli ideali comunitari, con l’uscita del Regno Unito dall’Europa, mi auguro di assistere ad un’ulteriore è più utile uscita, quella del nuovo film della vecchia volpe Costa-Gavras, nelle sale italiane.
Il regista 87enne ha scelto di trattare, proprio, la débâcle dell’unità europea che nel paese di nascita, la Grecia, assunse i risvolti di un complicato e drammatico tira e molla sulla questione del credito di rifinanziamento dello stato ellenico.
La faccenda tenne banco per lungo tempo in seno alla Comunità Europea e con il suo ultimo “Adults in the room” Gavras ha esaminato, partendo dal libro autobiografico dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis, il periodo in cui il partito del primo ministro Alexis Tsipras ereditò, per effetto di elezioni anticipate, la guida di un paese allo sbando, con pil in discesa, debito pubblico monstre, conti taroccati e totale sfiducia degli investitori istituzionali e retail.
Una situazione che si riflesse sul paese con indicazioni di investimento drammatiche da parte delle agenzie di rating ed il fuggi fuggi dei capitali da Atene. Il paese insomma era vicino al default ed il primo ministro aveva promosso un referendum popolare per stabilire, tramite il suffragio del popolo, se continuare con la politica di austerity imposta da Bruxelles e Fondo Monetario, che si manifestava in un forte clima di risentimento nazionale e proteste di piazza, a causa dei forti tagli alla spesa pubblica e ai salari, oppure se intraprendere altre strade al di fuori dell’euro ed eventualmente dell’Unione.
Il film inizia dalla fine e, procedendo con un lungo flashback, narra dei pellegrinaggi di Varoufakis tra Bruxelles e Atene, dei rapporti di costui col proprio primo ministro e con le alte cariche europee e del tentativo, fallito, di mediare le istanze del proprio paese con le richieste di ridefinizione del debito greco da parte della Troika.
Nell’arco di sei mesi, tanto durò il ministero, Yanis Varoufakis cercò di raggiungere obiettivi che non innescassero una spirale negativa sul PIL greco e garantissero la restituzione dei prestiti senza stritolare l’economia già in forte empasse.
Costa-Gavras ha realizzato un film molto interessante e fortemente aperto al dibattito partendo dal pensiero economico del ministro greco per enunciare il fallimento dell’Europa tecnocrate e arroccata sulle richieste, sovente irrealizzabili, dei paesi più forti. Risulta palese, in particolare, l’ostilità dimostrata nei confronti del ministro tedesco Wolfgang Schäuble incapace di smuoversi dalle più intransigenti posizioni filo germaniche.
Dal punto di vista ideologico il film si mantiene sulle posizioni dell’ex ministro delle finanze a dimostrare la mancanza di apertura della Troika verso le necessità della Grecia. A contrario non si fa parola delle ampie responsabilità politiche dei governi greci che portarono il paese al crack finanziario non curandosi dell’endemica evasione fiscale e adoperandosi, piuttosto, a falsificare i bilanci per nascondere le proprie inadempienze ed entrare comunque nell’area Euro.
Simpatizzare con la popolazione ridotta ad un fascio di nervi è doveroso quanto recitare un profondo mea culpa per anni di scellerato mal governo.
La questione del debito sovrano ha occupato le pagine dei giornali per anni mentre la faccenda, tutt’altro che risolta, sembra non interessare più al giorni d’oggi. Forse per questo motivo Gavras, al suo primo film girato in Grecia, ha recuperato questo periodo storico per ricordare che gli accordi firmati da Tsipras e l’Unione hanno pesato fortemente sulle spalle del cittadino, colpendo in particolar modo le classi meno abbienti ed il lavoratori statali che si sono visti dimezzare gli stipendi.
Gavras, tuttavia, ha scelto la rappresentazione dei fatti secondo il punto di vista privilegiato ed interno della politica anziché quello del cittadino con ciò perdendo quel carattere rivoluzionario, benché slegato dalle ideologie partitiche, tipico del cinema sulle masse.
Il film si segue molto bene nonostante la finanza e l’economia non siano il pane quotidiano delle moltitudini e alla fine l’esercizio mentale di ripescaggio di luoghi, nomi e situazioni è appagato da una narrazione fluida e chiara e da un ritmo vivace.
Nel cast spicca la presenza di Valeria Golino che recita in greco mentre “Adults in the room” deriva da una frase di Christine Lagarde, all’epoca presidente del I.M.F., ora presidente B.C.E., che in un momento di sconforto apostrofò i collerici ministri europei, adunati in commissione per sentire le ragioni greche, affermando “ci vorrebbero degli adulti in questa stanza“.
Nella sequenza del balletto c’è tutta la potenza del cinema che fonde una pizzicante ironia alle immagini allegoriche di un paese, nella figura del primo ministro, portato ora qua ora là sulla pista, costretto a seguire i passi, ora vorticosi, ora improbi, di altre autorità politiche, di altri primi ministri, ben più potenti e importanti, abituati a condurre le danze con destrezza, tramutando il proprio inesperto partner in un malleabile ed innocuo burattino di legno.
Obyone
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento