Viviamo una pandemia e quindi contagiarsi, purtroppo, è abbastanza normale. Facciamocene una ragione.
C’è un prezzo da pagare e se proprio vogliamo trovare un obiettivo su cui scaricare la rabbia, questo andrebbe individuato in quel modello sociale che ha permesso la devastazione degli ecosistemi e distrutto le garanzie collettive con le privatizzazioni.
La colpevolizzazione di chi contrae il Covid-19 è invece un fenomeno vigliacco che serve soprattutto a nascondere le contraddizioni e le ipocrisie del governo in questa situazione. Aspetto particolarmente odioso nei confronti delle giovani generazioni, che questo mondo tossico e discriminatorio l’hanno ereditato da chi non ha saputo o voluto cambiarlo.
Peraltro se vivessimo in una struttura sociale che consente maggiore autonomia esistenziale e abitativa ai giovani, maggiore possibilità di distanziamento fisico dai genitori, paradossalmente potrebbe essere una buona notizia contagiarsi in un periodo di scarsa aggressività della malattia e non rischiare di ammalarsi o di contagiare i più anziani in autunno.
Lo dico provocatoriamente per sottolineare che siamo di fronte a una situazione complessa.
Assunto questo, il quadro dei contagi fino a poche settimane fa indicava una chiara flessione nei numeri e ancora oggi nella letalità e nella gravità in cui mediamente si sviluppa la malattia.
Forse differenziare un minimo su scala regionale le riaperture e la circolazione e soprattutto fare i test dall’inizio su tutti quelli che arrivavano dall’estero (che per me non significa automaticamente l’obbligo di quarantena) avrebbe permesso di vivere con più serenità questo periodo.
Invece sono stati determinanti gli interessi prima delle aree economicamente più forti e poi dell’industria turistica, perché chiaramente molti non si sarebbero spostati a queste condizioni e gli affari ne avrebbero risentito.
Attualmente la malattia in Italia è poco aggressiva, scarsa è la carica virale dei tamponi e l’allarmismo abbastanza forzato. Ma questo può dipendere da molte cose diverse: fattori climatici, aspetti genetici nella composizione delle popolazioni, mutazioni benevole del virus non ancora però individuate e codificate, una filiera di trasmissione del contagio a bassa carica virale nel nostro paese come prodotto del distanziamento fisico e del lockdown, migliori conoscenze terapeutiche e tempestività diagnostica per la moltiplicazione dei test.
Potrebbe essere uno di questi fattori o più probabilmente un insieme di concause, alcune definitive e altre invece reversibili per cui la situazione può ragionevolmente peggiorare. Nessuno a oggi può dirlo con certezza, essendo di fronte a un fenomeno e a un patogeno nuovo, e anche gli scienziati non ci fanno bella figura quando estremizzano le loro posizioni e spacciano certezze a buon mercato per amore di visibilità e notorietà o per sudditanza a interessi politici o di gruppi industriali.
Quello che però mi sembra evidente è che noi dovremmo accentuare gli elementi di critica sistemica alle contraddizioni di questo modello di sviluppo e anche in questa fase spingere per ridurre l’asimmetria tra il potere decisionale delle lobby industriali e finanziarie, tra la loro struttura di priorità e di interessi a favore invece degli interessi sociali e collettivi. Non siamo sulla stessa barca e se c’è un prezzo (anche economico) da pagare che se lo accollino soprattutto i padroni del vapore.
Cosi fino a oggi non è stato. Mentre già su scala internazionale soffiano venti di guerra commerciale, sociale, militare per scaricare i costi della crisi e coglierne le opportunità in termini egemonici.
A noi serve invece una patrimoniale vera per garantire gli interventi di una necessaria riorganizzazione sociale e il margine di gestione degli effetti sociali e sanitari della pandemia senza che la crisi travolga la vita di milioni di persone. Servirebbe un altro mondo possibile, ma non vorrei turbare troppo il dibattito sulle mascherine o sulle discoteche.
Però quando un mondo è in crisi o si cambia paradigma o si finisce per diventare più realisti del re ed accettare le peggio cose...
Lo scontro tra allarmisti e negazionisti è falsato, noioso e fuorviante, ma soprattutto dannoso, di fronte a un’esperienza fatta d’incertezza, su cui le conoscenze ancora scarseggiano, in cui il vissuto di ognuno condiziona pesantemente la percezione del pericolo e la capacità di riconoscersi in un discorso comune.
La serietà della pandemia non è in contraddizione con la strumentalizzazione politica dello Stato d’Emergenza. Anche qui servono processi collettivi per difendere gli spazi di autogoverno consapevole delle relazioni di cura dalla strumentalizzazione delle paure sociali.
In una società complessa la libertà è un percorso e una lotta collettiva. Oppure una sega mentale usata per camuffare i propri residui privilegi.
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