di Michele Giorgio – Il Manifesto
«Abu Dhabi ignora i suoi
doveri nazionali, religiosi e umanitari nei confronti della causa
palestinese». È forte la rabbia dell’Autorità nazionale palestinese per
l’accordo che normalizza i rapporti tra Israele ed Emirati arabi,
concluso giovedì dal premier Netanyahu e dall’erede al trono di Abu
Dhabi, Mohammed bin Zayed, con la mediazione di Donald Trump.
L’INTESA GIRAVA nell’aria da tempo, la monarchia
del Golfo e Israele intrattenevano stretti rapporti, prima dietro le
quinte poi alla luce del sole, ormai da alcuni anni. Ma l’annuncio
comunque ha rappresentato una doccia gelata per l’Anp del presidente Abu Mazen,
che ingenuamente credeva di aver compattato il mondo arabo dietro la
richiesta di condanna senza esitazioni del piano di annessione a Israele
di larghe porzioni di Cisgiordania occupata.
E invece Abu Mazen si è reso conto, una volta di più, che la sua
leadership non ha alcun sincero sostegno tra i “fratelli arabi”. E che
lo Stato palestinese indipendente e sovrano e la soluzione a sue Stati
sono ormai in fondo alle priorità di re, principi e presidenti arabi. Le
eccezioni confermano soltanto la regola.
Il traguardo, soprattutto delle monarchie sunnite del Golfo, è
stringere i rapporti con Tel Aviv, creare un nuovo ordine regionale
arabo-israeliano che isoli e tenga ai margini il nemico comune, l’Iran
sciita. L’ansia con cui Abu Dhabi sottolineava che l’accordo con Israele
prevede lo stop al piano di annessione della Cisgiordania è solo fumo.
Chi deciderà sul terreno, Netanyahu, ripete che l’annessione è solo
«sospesa». In ogni caso Abu Dhabi non farà retromarcia per i
palestinesi.
Gli Emirati sono la monarchia del Golfo più dinamica da tempo,
lanciata verso traguardi non più solo economici e finanziari. Ha
largamente superato anche l’Arabia saudita. Appena qualche settimana fa,
solo per citare gli esempi più recenti, ha lanciato una sonda (Hope) verso Marte e ha cominciato, prima fra tutti gli Stati arabi, la produzione di energia atomica. Il principe ereditario, di fatto reggente, Mohammed bin Zayed, punta alla leadership araba in Medio oriente.
PER SUPERARE I CUGINI sauditi ha capito che doveva
andare subito, prima di ogni altro regnante arabo, all’accordo con
Israele: non c’è strada più scorrevole di questa per conquistare i cuori
della Casa bianca e del Congresso Usa. Si è guadagnato così la piena
approvazione di Washington anche per le sue manovre occulte in Libia a
sostegno del generale Haftar, dopo essersi garantito da un bel po’ la
benedizione Usa ai bombardamenti in Yemen.
Si è lasciato alle spalle il suo (presunto) amico Mohammed bin Salman.
Il rampollo reale saudita è troppo occupato a eliminare gli oppositori
interni ed esterni del suo regime e della lotta all’Iran, alla Siria e a
Hezbollah ha fatto la sua ragione di vita. Anche Mohammed bin Zayed è
avversario di Teheran ma non ha l’ossessione anti-iraniana e anti-sciita
degli wahhabiti sauditi. Ha pure ripreso le relazioni con il presidente
siriano Bashar Assad. Bada al sodo ed è pronto a tutto.
Benyamin Netanyahu ha trovato nel reggente degli
Emirati un partner ideale, determinato e privo di scrupoli, diverso dai
leader di Bahrain, Oman e Arabia Saudita che ogni tanto appaiono sul
punto di passare il Rubicone e di allearsi con Israele alla luce del
sole, e poi frenano.
«Israele ed Emirati sono molto simili, compresa la loro attenzione
all’innovazione tecnologica», ha spiegato il premier israeliano,
sottolineando gli enormi vantaggi che Israele ricaverà dall’accordo:
politici, diplomatici ed economici. Anche di sicurezza aggiungiamo noi.
Non è un mistero che a negoziare i termini dell’intesa sia stato Yossi Cohen, capo del Mossad, che si è recato numerose volte negli Emirati in questi ultimi mesi.
Ora le delegazioni dei due paesi si incontreranno per firmare accordi
bilaterali in materia di investimenti, turismo, voli diretti,
sicurezza, telecomunicazioni, tecnologia, energia, sanità, cultura,
ambiente e l’istituzione di rappresentanze diplomatiche.
A luglio, mascherata da un’intesa nella lotta contro il Covid-19, Tel
Aviv e Abu Dhabi hanno firmato una intesa tra il Gruppo 42 (G42),
società di intelligenza artificiale e cloud computing con base ad Abu
Dhabi e la Rafael, la principale azienda israeliana nel campo della
tecnologia militare. Israele si è ufficialmente stabilito nel Golfo, di
fronte all’Iran, sulle acque più tormentate del mondo dove transita un
terzo del petrolio mondiale.
APPLAUDE ALL’ACCORDO il presidente egiziano Abdel Fattah el Sisi,
altro «campione» dei diritti dei palestinesi, stretto alleato di
Emirati e Israele. Spera di inserirsi nei progetti di «prosperità e
stabilità» che Tel Aviv e Abu Dhabi dicono di voler realizzare in Medio
Oriente.
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