Mentre da una parte il governo americano impone sanzioni economiche
pesantissime alla popolazione siriana, dall’altra continua a muoversi
per rubare letteralmente le risorse energetiche del paese mediorientale.
L’amministrazione Trump ha conservato un contingente militare nel
nord-est della Siria, con l’obiettivo principale, secondo quanto ammesso
dallo stesso presidente, di mettere le mani sui pozzi petroliferi
appartenenti a Damasco. Nei giorni scorsi, perciò, sono stati in pochi a
sorprendersi della notizia di un accordo palesemente illegale che ha
ratificato il furto di petrolio, col rischio oltretutto di far
precipitare di nuovo i rapporti tra Stati Uniti e Turchia.
Il Dipartimento di Stato USA e la Casa Bianca hanno di fatto
orchestrato un’operazione che, ufficialmente, ha visto i leader delle
cosiddette Forze Democratiche Siriane (SDF), a maggioranza curda,
stipulare un accordo con la compagnia petrolifera americana Delta
Crescent Energy per estrarre greggio, raffinarlo e, per la quota
eccedente i bisogni locali, esportarlo sul mercato internazionale.
Circa il 70% dei giacimenti petroliferi siriani è situato nel
territorio controllato dalle milizie curde conosciute col nome di Unità
di Protezione Popolare (YPG) e che dominano le SDF. I curdi nel nord-est
della Siria sono appoggiati dagli Stati Uniti e sono anzi la forza su
cui Washington punta per promuovere i propri interessi nel paese, cioè,
in definitiva, per cercare di rimuovere il governo di Assad. Prima dello
scoppio del conflitto, alimentato dagli Stati Uniti e dai loro alleati
in Europa e in Medio Oriente, la Siria produceva circa 380 mila barili
di petrolio al giorno.
Sull’accordo per lo sfruttamento petrolifero, il governo USA
aveva mantenuto un comprensibile riserbo, vista l’illegalità di esso e
gli imbarazzi che ha poi effettivamente creato sul fronte diplomatico.
Giovedì scorso la notizia aveva però iniziato a trapelare dopo che era
emersa nel corso di un’audizione al Senato del segretario di Stato, Mike
Pompeo.
In quella circostanza, il senatore repubblicano Lindsey Graham
aveva rivelato che il comandante delle SDF, Mazloum Abdi, lo aveva
informato di un accordo petrolifero con una compagnia americana non
meglio identificata per “modernizzare i pozzi nel nord-est della Siria”.
Graham aveva allora chiesto a Pompeo se l’amministrazione Trump
appoggiava l’intesa e l’ex direttore della CIA aveva subito risposto
affermativamente. A conferma del ruolo determinante svolto dalla Casa
Bianca, Pompeo aveva poi aggiunto che il raggiungimento di un accordo
aveva richiesto più tempo del previsto e che il governo USA si sta ora
adoperando per la sua implementazione.
A livello ufficiale, Washington sostiene che il controllo della
produzione e dell’esportazione di greggio nella Siria nord-orientale
serve a garantire ai curdi i mezzi per il sostentamento della
popolazione locale e per combattere su tre fronti, contro ciò che resta
dello Stato Islamico (ISIS), le forze di Damasco e quelle turche. In
realtà, si tratta di un puro e semplice furto di risorse che
appartengono al governo legittimo della Siria. L’autonomia delle forze
curde non è in alcun modo riconosciuta da Damasco, tantomeno per quanto
riguarda la gestione del petrolio, e il contingente militare americano
continua a occupare in modo del tutto illegittimo e illegale questa
porzione di territorio siriano.
La
reazione del governo di Assad alla notizia dell’accordo tra i curdi e
Delta Crescent Energy è stata comprensibilmente molto dura. “L’accordo è
nullo e non ha alcun fondamento legale” ha affermato correttamente il
comunicato emesso da Damasco. Ciò che è accaduto nei giorni scorsi è
secondo Assad un “accordo tra le SDF e una compagnia petrolifera
americana per rubare il petrolio siriano con il sostegno
dell’amministrazione USA”. Le milizie curde siriane avevano sottratto
all’ISIS i pozzi petroliferi alcuni anni fa e, con il contributo
militare americano, hanno in seguito respinto svariati tentativi delle
forze governative di riconquistarne il legittimo controllo.
In una dichiarazione rilasciata alla testata on-line Politico,
uno degli amministratori di Delta Crescent Energy, James Cain, ha
confermato la regia dell’amministrazione Trump e abbozzato i contorni di
un’operazione condotta come se il territorio siriano fosse poco più di
un protettorato di Washington. Cain ha spiegato come la sua compagnia si
sia impegnata a “tenere informato il dipartimento di Stato” circa
l’andamento delle trattative con i curdi e, pur “non cercandone
l’approvazione”, lo scrupolo è stato quello di agire “secondo gli
interessi americani”.
L’idea che il petrolio siriano appartenga al popolo di questo
paese e debba essere controllato dal governo di Damasco non ha dunque
sfiorato i vertici di Delta Crescent Energy. Che la Casa Bianca e il
dipartimento di Stato abbiano scelto questa compagnia poco conosciuta e
di importanza decisamente minore rispetto ai colossi petroliferi USA non
è un caso. L’operazione risponde d’altra parte a interessi diplomatici e
strategici ancora prima che commerciali e Delta Crescent Energy era il
candidato ideale per portarla a termine.
La compagnia è stata creata nel paradiso fiscale del Delaware nel
febbraio 2019 e ha tra i suoi “partner” alcuni ex esponenti
dell’apparato militare e diplomatico americano, come il già citato James
Cain, ex ambasciatore USA in Danimarca, e James Reese, ex ufficiale dei
corpi speciali Delta Force dell’esercito americano. Agendo con ogni
probabilità su indicazione del dipartimento di Stato, i vertici della
compagnia hanno negoziato per oltre un anno con i curdi, per poi
ottenere una “licenza” dal Tesoro americano lo scorso mese di aprile.
L’atteggiamento degli Stati Uniti in Siria continua dunque a
essere tutt’altro che all’insegna del disimpegno, come sostengono alcuni
ambienti di potere a Washington critici dell’amministrazione Trump. Lo
scorso mese di luglio era entrato ad esempio in vigore anche il
cosiddetto “Caesar Act”, una legge che impone sanzioni estremamente dure
contro le compagnie siriane e quelle di altri paesi che intendono
intrattenere rapporti commerciali e finanziari con Damasco.
L’iniziativa,
volta a strangolare l’economia della Siria, è in sostanza una nuova
punizione per la resistenza del governo di Assad contro la guerra
condotta senza successo sotto la regia americana nell’ultimo decennio.
Oltre a impedire virtualmente le transazioni commerciali, con
l’obiettivo di affamare la popolazione siriana e fomentare una rivolta
contro il governo, gli Stati Uniti hanno così ratificato anche il furto
sistematico di una delle principali fonti di entrate del paese, come
appunto il petrolio.
L’accordo
tra i curdi siriani e la compagnia Delta Crescent Energy rischia in
ogni caso di incrinare nuovamente i rapporti tra Stati Uniti e Turchia,
dopo che negli ultimi mesi si era registrata una certa distensione in
conseguenza soprattutto delle frizioni tra Ankara e Mosca sul fronte
libico. Com’è noto, la Turchia considera i curdi dell’YPG
un’organizzazione terroristica legata al PKK e praticamente tutta la
politica siriana del presidente Erdogan è rivolta a impedire la
formazione di un’entità curda autonoma nel nord della Siria. Dall’agosto
del 2016, la Turchia ha condotto tre operazioni militari oltre il
confine siriano, tutte dirette contro la minaccia del “terrorismo”
curdo.
Il ministero degli Esteri turco ha condannato senza mezzi termini
l’accordo petrolifero dei giorni scorsi. Con esso, secondo Ankara, gli
Stati Uniti sono complici nel “finanziamento del terrorismo” e, essendo
illegale dal punto di vista del diritto internazionale, costituisce una
minaccia all’integrità territoriale, all’unità e alla sovranità della
Siria. Il possibile riaccendersi dello scontro tra USA e Turchia sul
nodo curdo-siriano introduce così una nuova complicazione in una
relazione tra alleati già più volte sull’orlo del baratro negli ultimi
anni, fornendo a Mosca e Damasco un potenziale appoggio strategico per
provare a riconquistare finalmente il territorio siriano che ancora
sfugge al completo e legittimo controllo del governo di Assad.
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