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05/08/2020

Il tempo degli sciacalli sulle stragi di Stato

Come Pollicino, ma al contrario, andiamo raccogliendo indizi e prove della “riscrittura della Storia” in atto. Sulle stragi di Stato, per ora, e a partire ovviamente da quella più tremenda, alla stazione di Bologna nel 1980.

Un processo lungo, perché non si può fare tutto d’un colpo (non ci sono possibilità di “grandi rivelazioni”). Con protagonisti alcune volte scontati e altre meno (fascisti, carabinieri, a volte carabinieri che sono anche fascisti, giornalisti che passavano per progressisti, gli immancabili servizi segreti nazionali e di qualche impresentabile “Stato alleato”, ecc).

In parte sembra la riedizione in grande stile di una “dietrologia di destra”, che sfrutta abilmente le mille cazzate dette, scritte, rimescolate e ribollite dalla dietrologia sedicente “di sinistra” (di ascendenza Pci-Pds-Ds-Pd o come si chiamerà tra qualche tempo); quella, per intenderci, secondo cui le stragi erano “solo fasciste” e non anche “di Stato”.

In parte molto più grande è una “narrazione” del potere dominante che, coerentemente, vuole stabilire il suo segno anche sul terreno della “ricostruzione storica”.

I personaggi, ripetiamo, sono quelli che sono: ominicchi e quaquaraqua mossi da basse motivazioni individuali (una poltrona da recuperare, un supplemento di stipendio da spendere, qualche visibilità o relazione promettente per il futuro...).

L’operazione è invece molto seria, pericolosa, “strategica”. Perché arriva direttamente da quel potere che le stragi le ha prima ordinate, poi coperte depistando le indagini, in barba alla retorica dal palco delle commemorazioni.

A voi questa nuova puntata.

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Enzo Raisi, lo sciacallo che si nutre della memoria di Mauro Di Vittorio, vittima della strage di Bologna

Enzo Raisi è un ex: ex carabiniere, ex missino, ex parlamentare di fede finiana poi spazzato via dalla dura legge dello scrutinio.

L’ex Raisi, avvinto da insanabile nostalgia per gli anni ruggenti passati sul cadreghino, è tornato alla ribalta durante un convegno tenuto da alcuni parlamentari della destra in occasione del 40esimo anniversario della Strage di Bologna.

Senza vergogna è tornato ad accusare Mauro Di Vittorio di essere il trasportatore della bomba esplosa nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione, il 2 agosto 1980. 
Non è vero, ovviamente. E non serve qui nemmeno citare l’archiviazione della indagine bis sulla strage che ha definito Di Vittorio «vittima oggettiva» della esplosione (leggi qui).

Per diversi anni Raisi ha vilipeso il suo cadavere: ha invertito l’onere della prova e preteso che il morto dimostrasse la propria innocenza; gli ha attribuito una identità politica di comodo, quella di «Autonomo», membro del collettivo del Policlinico, per dimostrare i suoi legami con Saleh e la vicenda dei missili di Ortona; ha diffuso notizie false sulle condizioni del suo corpo al momento del ritrovamento, affermando che fosse completamente carbonizzato, lasciando intendere che fosse vicinissimo alla bomba, per meglio dire che la tenesse con sé, così insinuando che la perizia giurata di ricognizione del cadavere presente negli atti giudiziari fosse falsa; ha sostenuto che non avesse documenti d’identità ma che viaggiasse in incognito (leggi qui) e che la carta ritrovata fosse giunta intonsa all’obitorio dalle mani dell’anziana madre (leggi qui); così dicendo ha dato del falso ideologico al verbale di riconsegna dei suoi effetti personali redatto dalla Polfer ed ha calunniato la povera madre; ha giurato che il suo diario di viaggio era un clamoroso falso e che il biglietto della metropolitana parigina che aveva in tasca ai pantaloni (leggi qui) fosse la prova provata che egli non si sarebbe mai diretto a Londra ma avrebbe fatto tappa a Parigi per prendere in consegna da Carlos la valigia con l’esplosivo.

Affermazioni reiterate in un lunghissimo elenco di interviste, conferenze stampa, interventi sui social, interpellanze parlamentari, in un libro, Bomba o non bomba. Alla ricerca ossessiva delle verità, Minerva edizioni 2012.

All’epoca erano in molti a dargli man forte: Valerio Fioravanti, che gli correggeva le bozze e manovrava dalle retrovie. Sempre Fioravanti, senza il minimo scrupolo, tempo prima, aveva sollecitato una lettera di buona condotta alla sorella di Mauro Di Vittorio, Anna.

Lettera che venne poi girata al tribunale di sorveglianza facilitando l’uscita in liberazione condizionale di Francesca Mambro (leggi qui).

Girava persino voce che quel “perdono” celasse, in realtà, un sentimento di colpa dei familiari per una verità indicibile: la responsabilità di Mauro.

Giornalisti come Andrea Colombo, che scriveva dell’«Autonomo romano» senza porsi il problema di fare la benché minima verifica.


Poi, col tempo, davanti alle evidenze, anzi sarebbe meglio dire scivolosamente, in diversi (non quelli che ho citato) presero le distanze: chi prima, chi tardi, chi in modo netto, chi in maniera subdola, ma nessuno osò più evocare il nome di Di Vittorio.

Raisi sembrava rimasto solo a ribadire le sue convinzioni come Hiroo Onoda, il soldato giapponese ritrovato dopo 30 anni in un’isola delle Filippine dove si era nascosto per continuare da solo la seconda guerra mondiale. 


Non era così, le calunnie di Raisi hanno trovato di nuovo ascolto e sono state raccolte tra le dieci domande poste da un intergruppo di parlamentari, ‘La verità oltre il segreto’, alla vigilia del 2 agosto scorso (si tratta del quesito numero 9: «Perché sulla vittima Mauro Di Vittorio, legato ad ambienti dell’estrema sinistra romana che per tutti quel giorno doveva essere in Inghilterra, rimasto a lungo non identificato perché senza documenti e stranamente riconosciuto da madre e sorella che in teoria non sapevano della sua presenza a Bologna, non sono mai state fatte ricerche approfondite ma ci si è accontentati di una semplice dichiarazione della sorella che per altro ha dato diverse versioni su come sia arrivata a sapere della notizia della morte del fratello nella strage di Bologna?»).

Mauro Di Vittorio è stato ucciso molte volte, la prima il 2 agosto e poi ripetutamente dal 2012. Oltre al corpo lacerato e ustionato, al cranio perforato, hanno voluto rubargli l’anima assassinando anche la sua memoria.

Raisi, insieme ad una pattuglia di parlamentari della destra, è tornato a farlo ancora una volta alla vigilia di questo quarantennale.

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