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12/04/2022

Presidenziali francesi, qualche giorno all’ultimo respiro

Il ballottaggio Macron-Le Pen del 24 aprile nei sondaggi vede in vantaggio l’attuale presidente della repubblica francese. Ci sono sondaggi che lo danno in vantaggio di poco (51 a 49, con margini di errore che significano sostanziale parità) e altri che danno Macron con un vantaggio più sostanziale (55-45). In generale la sensazione, che filtra anche dalle borse, è che anche stavolta, seppur in maniera meno schiacciante che nel passato, Marine Le Pen finirà sconfitta. Il punto però, e non è di quelli piccoli, è se la Le Pen azzecca l’ultima parte di campagna elettorale, o Macron sbaglia la sua, o se avvengono fatti di politica nazionale e internazionale tali da far cambiare orientamento nell’elettorato. Basta infatti poco, uno spostamento di una parte periferica dell’elettorato, per cambiare un risultato elettorale e per passare dall’ordinaria amministrazione, la rielezione di un presidente, al risultato storico, per quanto velenoso.

Certo, il voto francese cancella molto della politica tradizionale, quella che per decenni ha fatto la storia dell’esagono, tanto che il partito socialista è sotto il due per cento, i repubblicani (eredi del partito di De Gaulle prima e di Chirac poi) sotto il cinque, il partito comunista francese sotto il tre. Tutte formazioni che, evitate dagli elettori ed escluse dai rimborsi elettorali (che in Francia si ottengono con almeno 5 punti percentuali nella prima tornata), sono vicine all’estinzione. Allo stesso tempo dal primo voto di aprile ne esce una Francia sostanzialmente tripartitica che deve adattare i propri rapporti di forza a un sistema elettorale che è bipolare.

A occhio nudo invece si nota la nuova geografia politica della Francia, quella che evidenza i primi partiti di ogni regione: una parte gialla (Macron) e una grigia (Le Pen), che rileva schieramenti, che si contendono il paese con una macchia rossa al centro (metà Parigi e regioni limitrofe) e al sud (Ariége). Solo che questa macchia rossa, l’elettorato di Melenchon pesa, in numero di voti, quasi quanto quella grigia visto che lo scarto finale tra il candidato di sinistra e la Le Pen è di poco superiore all’un per cento.


Se scomponiamo la geografia politica per criteri di ricchezza, stando alle ricerche sul campo, i percettori di reddito sotto i 1250 euro, il grande mare precario, se li sono contesi Le Pen e Melenchon, quasi alla pari, con una netta prevalenza, invece, della Le Pen, rispetto a Melenchon, nei settori operai e impiegati e una di Melenchon nelle professioni intellettuali e nei quadri professionisti. I voti per Macron sono arrivati, prevalentemente, da ultrasettantenni, pensionati e quadri professionisti (dove Macron è primo davanti a Melenchon e Le Pen): una specie di riedizione della Francia di Napoleone III nella quale con i grandi interessi bancari e professionali si saldava il consenso di parte delle classi popolari. Significativo il successo di Melenchon per la fascia di elettori 18-24 anni, segno che la sinistra può ben parlare ai settori giovanili.

L’appello di Melenchon a “non dare un voto alla Le Pen”, ripreso anche dai maggiori giornali italiani risulta importante, speriamo decisivo, nello scenario che si è creato. E si tratta di uno scenario con due sbocchi: il primo di una vittoria di Macron con una forte opposizione sociale che può anche crescere; il secondo con una vittoria della Le Pen che, secondo alcuni osservatori di destra (come Marco Tarchi su Domani), non sarà così antisistemico ma che, con una guerra in Europa in corso, può generare futti inediti e pericolosi.

Nel frattempo, la Francia vive qualche giorno all’ultimo respiro.

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