Vedere un fascista ricevere la consegna della Presidenza del Senato da un anziana donna ebrea vittima delle leggi razziali e sopravvissuta ai campi di concentramento, dà la cifra del degrado della politica in Italia.
Indubbiamente occorre sempre storicizzare i contesti, dialettizzare passato e presente, attualizzare categorie e chiavi di lettura, ma a certi segnali è impossibile sottrarsi.
In primo luogo colpiva l’aula del Senato (e della Camera) semivuota a causa dello “sfoltimento” dei parlamentari determinato dalla legge taglia-parlamentari, tra le principali stoltezze volute e ottenute dal M5S.
In secondo luogo non è un caso che il bellissimo discorso della senatrice Liliana Segre abbia visto mancare l’atteso applauso proprio quando ha ricordato la natura della Costituzione. Gli applausi con maggiore o minore trasporto c’erano stati su altri passaggi ma non su quello.
In terzo luogo il personaggio che si è insediato nello scranno della seconda carica della Repubblica è il residuo più ruvido e respingente del partito neofascista in Italia: Ignazio Benito La Russa. Giovane fascista del MSI, avvocato e attivista neofascista milanese per anni, passato in lavatrice con l’acqua di Fiuggi in Alleanza Nazionale, guerrafondaio ministro della Difesa nel governo Berlusconi, fondatore insieme alla Meloni di Fratelli d’Italia.
Se uno dovesse indicare cosa è un fascista anche nel XXI Secolo lo stereotipo che calza meglio è proprio Ignazio La Russa. La sua arroganza nella vita politica e nei dibattiti televisivi portò chi scrive – mi si permetta un ricordo personale – a sfidarlo pubblicamente ad un “duello a cazzotti” su Piazza Montecitorio. La sua violenza verbale contro persone perbene come Gino Strada o Rosi Bindi in una trasmissione televisiva era stata tale che si sentiva forte l’esigenza di fargli sapere che nella sinistra non sono tutti buoni o buonisti.
Dunque se c’era da dare un volto alla continuità tra i fascisti del MSI e i “postfascisti” di Fratelli d’Italia quello era proprio La Russa diventato ora presidente del Senato.
La sua elezione è stata una ulteriore prova del degrado della politica. I senatori di Forza Italia, irritati per la scarsità di poltrone che la Meloni intende assegnargli nel nuovo governo, sono usciti dall’aula per non votare La Russa. Solo Berlusconi e la ex presidente del Senato Casellati rimangono in aula per votare. Si era così palesato il rischio che la maggioranza di governo andasse in crisi ancora prima di insediarsi a Palazzo Chigi.
Ma, ancora una volta, le salmerie sono arrivate in soccorso dalla minoranza (chiamarla opposizione significa dargli una dignità che non hanno). Un gruppo trasversale di senatori vota così per La Russa e questo supera il quorum necessario alla sua elezione a Presidente del Senato. Il voto è segreto ma quei voti in soccorso del governo della destra mostrano che la banda Renzi/Calenda più altri si è detta disponibile a qualsiasi alleanza o avventura che non abbia neanche l’odore della decenza.
Questo ci porta fuori dallo spettacolo visto nell’aula del Senato e dentro il percorso accidentato che attende il governo di Giorgia Meloni.
Scelte economiche dolorose e scelte di guerra costringono il governo della destra a mostrarsi obbediente verso la Commissione europea e la Nato. E se ci sarà da ingoiare e far ingoiare amaro il paese reale, meglio avere a disposizione un po’ di ascari esterni ad una maggioranza con parecchie sollecitazioni interne.
Se in materia economico/sociale, militare e internazionale a causa del “vincolo esterno” per il governo non ci sono spazi di manovra autonoma, l’identità nazionale evocata dai “postfascisti” si darà dunque sul terreno propriamente ideologico: memorialistica reazionaria, conservatorismo in materia di diritti civili (emblematica l’indicazione di Fontana come presidente della Camera, ndr), incrudelimento nel rapporto con gli immigrati, ma anche criminalizzazione dei lavoratori, degli scioperi e dei conflitti sociali come elemento di “anti-italianità” e “disfattismo”.
Con il governo della Meloni in Italia non tornerà il fascismo del ventennio. Lì c’era da contrastare i comunisti per conto dei padroni e modernizzare un paese arretrato, qui c’è solo da accompagnarne il declino. Agirà piuttosto la “democratura” costruita dal combinato disposto tra tecnocrazia e politica in questi trenta anni.
Prepariamoci dunque all’opposizione frontale al governo della destra e dentro le contraddizioni con cui dovrà misurarsi. Ma teniamoci alla larga dall’opposizione della corona e da quella a mezzo servizio. Il PD è ancora un problema, non la soluzione.
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