di Marco Santopadre
Alcune migliaia di persone sono scese in piazza domenica a Rabat per protestare contro «l’alto costo della vita e la repressione» politica, partecipando ad una manifestazione promossa dal Fronte Sociale Marocchino (FSM). La sigla riunisce diversi partiti politici di sinistra, organizzazioni per i diritti umani e sindacati come la Confederazione Democratica del Lavoro.
Alla marcia, la più partecipata degli ultimi mesi, hanno partecipato alcune migliaia di persone – un risultato notevole in un paese che reprime sistematicamente le libertà politiche – anche se la Direzione Generale della Sicurezza Nazionale (DGSN) ha parlato di soli 1500 manifestanti. La manifestazione ha sfilato per quasi due ore nel centro della capitale marocchina, dalla porta della Medina fino a Piazza degli Alawiti, passando accanto alla sede del parlamento.
L’inflazione erode i salari, la povertà aumenta
«Il popolo vuole prezzi più bassi (...). Il popolo vuole abbattere il dispotismo e la corruzione» hanno gridato i partecipanti arrivati anche dal resto del Marocco. «Siamo venuti per protestare contro un governo che incarna il matrimonio tra denaro e potere e che sostiene il capitalismo monopolistico» ha spiegato il coordinatore nazionale dell’FSM, Younès Ferachine.
Secondo un recente rapporto dell’Alto commissariato per la pianificazione (Hcp), il Marocco è tornato «al livello di povertà e di vulnerabilità del 2014» in seguito alla pandemia di Covid-19 e all’inflazione. L’impennata dei prezzi (ad ottobre è stato rilevato un +7,1% su base annua) e in particolare l’aumento del costo dei carburanti, dei generi alimentari e dei servizi, uniti a un’eccezionale siccità, hanno inoltre frenato la crescita economia, che alla fine dell’anno dovrebbe essere pari soltanto ad un +0,8%.
Le forze sociali e politiche che hanno partecipato alla marcia hanno chiesto le dimissioni del governo denunciando che a risentire della situazione non è più solo il potere d’acquisto dei settori più poveri della popolazione, ma ormai anche quello della classe media. Il Paese soffre di disparità sociali e territoriali crescenti che costringono sempre più cittadini, soprattutto giovani, all’emigrazione.
La disparità di reddito, stimata secondo il coefficiente di Gini, è del 46,4%, ovvero al di sopra della soglia socialmente tollerabile (42%). Secondo gli stessi dati forniti dal governo di Rabat, il 20% della popolazione è in stato di povertà assoluta (con un reddito inferiore a 1,8 euro al giorno), il 40% in povertà relativa (con un reddito inferiore a 3 euro al giorno) e il 60% in condizioni di precarietà (meno di 4,5 euro al giorno).
Il governo rivendica le sue politiche sociali
Di fronte alle proteste e all’aumento del malcontento sociale, il governo guidato dall’imprenditore Aziz Akhannouch ha più volte rivendicato quella che definisce la sua “politica sociale”, in particolare l’estensione della copertura sanitaria a oltre 10 milioni di marocchini a basso reddito. Lo scorso ottobre, il governo ha inoltre annunciato un nuovo maxi-fondo sovrano da 4 miliardi di euro creato per sostenere gli investimenti pubblici e tentare così di rilanciare l’economia del paese e contrastare la crisi.
Si tratta però di misure ritenute parziali e insufficienti da parte delle opposizioni di sinistra. In particolare i sindacati denunciano la rinuncia, da parte del governo marocchino, al varo di una tassa sugli extraprofitti delle compagnie energetiche. Proposta dalle opposizioni parlamentari anche sulla base dell’appello del segretario generale dell’ONU a tassare gli “scandalosi” profitti realizzati dalle aziende del settore energetico in maniera da recuperare risorse da destinare al contrasto dell’inflazione e della povertà, alla fine il premier Akhannouch non ha inserito la misura all’interno della legge finanziaria adottata lo scorso 19 ottobre dal Consiglio dei Ministri. La rinuncia a questa e ad altre misure redistributive ha rilanciato le accuse, nei confronti dell’esecutivo, di favorire l’élite economica e di incarnare la collusione tra potere politico e mondo degli affari.
“No agli arresti dei dissidenti”
I manifestanti hanno anche lanciato slogan contro gli arresti di dissidenti, denunciando «ogni forma di repressione politica, antisindacale e contro la libertà d’espressione, mentre vengono incarcerati diversi blogger e giornalisti critici nei confronti del governo. «È una regressione inaccettabile», ha denunciato Ferachine.
Uno degli ultimi arresti ha preso di mira, a novembre, l’ex ministro dei Diritti Umani Mohamed Ziane. A ottobre l’avvocato e fondatore del Partito Liberale, che attualmente ha 80 anni, aveva chiesto l’abdicazione del sovrano Mohamed VI – che risiede a Parigi e rientra in Marocco solo per alcune cerimonie – e la fine della sistematica violazione dei diritti politici e democratici. Per tutta risposta Ziane è stato prima oggetto di una feroce campagna denigratoria da parte dei media governativi e delle autorità, ed in seguito è stato condannato dalla Corte d’Appello di Rabat a tre anni di detenzione per un totale di 11 capi di accusa formulati in una denuncia del Ministero degli Interni di Rabat.
“No agli accordi con Israele”
Nel corteo sono state sventolate numerose bandiere palestinesi. La marcia ha rappresentato infatti anche l’occasione per condannare la normalizzazione dei rapporti tra Rabat e lo stato di Israele, decisa nel 2020 nell’ambito degli “accordi di Abramo”. Secondo i sondaggi una gran parte della popolazione si dice contraria alla crescente collaborazione economica e militare tra il regno marocchino e Tel Aviv. L’ultimo importante passo in questo senso risale al 23 marzo scorso, quando il Ministro dell’Industria e del Commercio marocchino Ryad Mezzour e il presidente del board dei direttori dell’Israel Aerospace Industries, Amir Peretz, hanno siglato uno storico accordo di cooperazione.
Nel giugno scorso, poi, il governo di Rabat ha firmato un contratto con l’israeliana Elbit Systems per la fornitura del sistema “Alinet”, allo scopo di sviluppare le capacità del paese nel campo della guerra elettronica.
A luglio il capo di Stato maggiore dell’esercito di Israele, Aviv Kohavi, ha incontrato a Rabat l’omologo marocchino El Farouk; i due avrebbero discusso i dettagli del rafforzamento della cooperazione militare e la possibilità di lanciare un’alleanza regionale volta «a frenare l’influenza iraniana in Medio Oriente e in Nord Africa».
Israele ha anche fornito a Rabat la tecnologia necessaria a produrre in proprio dei droni da bombardamento, che il paese utilizza per colpire la guerriglia del Fronte Polisario, l’organizzazione che si batte per la liberazione dei territori saharawi occupati illegalmente dal Marocco.
Lo scorso 3 dicembre uno di questi droni ha colpito in pieno un fuoristrada nella zona del confine con la Mauritania, uccidendo il conducente e scatenando la reazione di Mohamed el Mokhtar Ould Abdi, governatore della provincia di Tiris-Zemmour, che si trova sulle linee di contatto con l’ex colonia spagnola occupata da Rabat.
L’uccisione dei cittadini mauritani fuori dai confini nella zona cuscinetto del Sahara occidentale «non è più accettabile» ha detto il capo del governo locale. Già a settembre due cercatori d’oro mauritani erano stati uccisi nel corso di un bombardamento compiuto da un drone marocchino contro presunte postazioni del Fronte Polisario.
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