C’è un film italiano del 1973 che spiega meglio di ogni altro elzeviro sociologico il motivo dell’entusiasmo dei cittadini marocchini emigrati in Europa, Italia compresa. È “Pane e cioccolata”, di Franco Brusati, interpretato da Nino Manfredi.
È la storia di un emigrato italiano in Svizzera che, per trovare lavoro, si finge, appunto, svizzero. Un giorno lui entra in un bar per vedere alla tv la partita Italia-Svizzera; ha appena ordinato “Ein Bier, bitte” (una birra, per favore), quando l’Italia segna. Allora lui urla a squarciagola, tra la sorpresa generale: “goooooool”.
Ecco quello che hanno sentito dentro di loro i marocchini d’Italia. Riscatto. Una squadra di calciatori che giocano fuori dal proprio paese, richiamati per formare la nazionale, ha dato un momento di pausa alle umiliazioni, alla xenofobia, all’islamofobia, – quando non al vero e proprio razzismo – vale a dire un attimo di discontinuità alla pressione di tutto quell’armamentario ideologico che serve a sfruttare di più la manodopera e – colpevolizzandola – a pagarla di meno.
Siccome dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior, poetava De Andrè. Ecco che da quella montagna di barili di petrolio, di soldi, di corruzione, di interessi politico-finanziari, di inquinamento, di cemento armato e di morti nei cantieri, in un parola, da quella montagna di merda che sono i Mondiali in Qatar, è nato il fiore del riscatto sociale.
Un fiore improvvisamente spuntato sulla pietra tombale delle politiche anti-migratorie, delle smargiassate contro i naufraghi, della riduzione in schiavitù dei braccianti, della sufficienza con cui si trattano gli ambulanti, chiamati spregiativamente “vu comprà”, dello stesso uso dell’aggettivo “marocchino” come epiteto dell’intolleranza, cui disprezzare tutti gli arabi che vivono e lavorano nel nostro paese.
Un fiore pieno di spine per la destra reazionaria, che disprezza i poveri, che odia i proletari, che pretende di eliminare la giustizia sociale, contrastare la solidarietà, che ha nostalgie coloniali, suprematiste, che non sopporta chi si ribella – anche solo per una notte di gioia calcistica – contro la condizione materiale e psicologica della presunta subalternità culturale.
È un fiore che, però, appassisce presto se non ce ne prendiamo cura, in un paese che sta per attraversare un lungo e duro periodo di recessione, e si prepara alla guerra tra i poveri, fomentata da misure finanziarie nate per mettere gli uni contro gli altri, perché possano continuare indisturbati gli extra profitti, i privilegi e gli arricchimenti, coccolati dalle politiche neoliberiste, stella polare dei governi occidentali.
È bello che una squadra di calcio di emigrati abbia reso onore a una moltitudine di immigrati.
Però non basta fare il tifo per loro, bisognerebbe diventare una sola squadra che sappia affrontare il vero grande campionato, quello che si gioca ogni giorno contro la crisi energetica, la distruzione ambientale, l’inflazione, il carovita, allenati dalle ciniche e fameliche politiche neoliberiste.
Come è successo l’altra sera a Parigi, dove ai festeggiamenti dei tifosi per la vittoria del Marocco sul Portogallo, si sono poi aggiunti quelli dei francesi, per la vittoria sull’Inghilterra. Tutti insieme sugli Champs Elyées.
La nostra vita è un mondiale che ha come temibili avversari il bellicismo atlantista, la destra sovranista e reazionaria, il neoimperialismo, i loro apparati repressivi, la loro forza finanziaria, le loro tecnologie di controllo.
Però, se una squadra di calcio nordafricana – finora sottovalutata – è riuscita a battere blasonati avversari, chi può dire che non c’è partita?
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