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19/01/2023

Autonomia differenziata. Un mostro da fermare che spacca anche il governo

La destra ha vinto le elezioni, ma governa solo fin dove le competenze vere – politica economica ed estera, vincoli internazionali, ecc. – sono fuori dalla portata di un governo “nazionale” con sbandierate velleità “nazionaliste”. O addirittura “regionaliste”.

La diversità di interessi tra i settori di borghesia che ognuno dei tre partiti dell’esecutivo rappresenta moltiplica le occasioni di conflitto interno per quanto riguarda i pochi temi su cui si può esercitare la normale “sovrana scelta politica”.

A parte le questioni solo “ideologico-culturali” (una certa visione muscolare dell’”ordine pubblico”, manifestata con il decreto anti-rave, oppure sull’alzabandiera a scuola, l’abolizione de facto del reato di tortura, e cose simili), dove ogni pirla può sbizzarrirsi in proposte di “soluzioni ad capocchiam”, lo scontro vero si concentra inevitabilmente là dove c’è un po’ di “ciccia”.

Ovvero un po’ di soldi da gestire. Immediatamente o negli anni futuri.

E quindi la cosiddetta “autonomia differenziata” – cavallo di battaglia della Lega e a suo tempo anche del PD (sponda Bonaccini) – sta diventando, giorno dopo giorno, uno degli ostacoli più alti tra le zampe del governo.

Al punto che il solitamente cauto Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera, tra i più vicini a Giorgia Meloni, si è esibito in un’intervista – per di più al “grillino” Fatto Quotidiano – per avvertire che l’accelerazione sulla presentazione della “bozza Calderoli” è un rischio troppo grosso: «L’architettura dello Stato va si migliorata ma non si può sbagliare, pena il collasso».

Salvini e i suoi premono perché il governo approvi subito il testo, da presentare poi alle Camere, per avere uno straccio di “vittoria” da sbandierare alle elezioni regionali tra poco più di venti giorni. Per la precisione: alle elezioni in Lombardia...

Ma qui gli interessi politici già divergono, perché i “meloniani” hanno le roccaforti più consistenti nel centrosud, e dunque lo stesso testo potrebbe creare grossi mal di pancia nel Lazio (l’altra regione che va alle urne).

Interessi miserabili a parte, ci sono però quelli “di classe” e di lungo periodo che premono pro o contro una definizione “eccessiva” (per le tolleranza interne al governo) dell’autonomia differenziata.

Gli stessi giornali di area esplicitano con grande attenzione i “punti critici” del disegno elaborato da Calderoli. Per esempio la questione dei “livelli essenziali di prestazione” (Lep) che le diverse sanità regionali dovranno fornire ai cittadini. Il testo leghista, furbescamente, afferma che dovranno essere solo “definiti” e non anche “garantiti”.

Non ci vuole uno scienziato per capire che si tratta di due cose piuttosto differenti: da un lato un “diritto teorico” ad essere curati bene, almeno fino ad un certo punto, dall’altro un diritto esigibile. Ossia qualcosa che è dovere dello Stato e delle singole Regioni assicurare a chiunque.

In generale sono in discussione – con formule egualmente vaghe – le competenze regionali in materia di scuola, oltre che di sanità.

C’è chi sottolinea come, oltretutto, questa bozza (nell’articolo 11) non solo non disconosce le vecchie e devastanti pretese fissate da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (che pure la nuova legge dice di voler superare), ma li riporta in vita.

«Le disposizioni della presente legge», dice infatti l’articolo 11, «si applicano, in relazione ai rispettivi livelli di avanzamento formalizzato, anche agli atti di iniziativa delle Regioni presentati al governo e concordati con il medesimo prima della data di entrata in vigore della presente legge».

Di fatto, se i presidenti di quelle Regioni volessero “fare come avevano già deciso”... potrebbero farlo, ignorando il nuovo assetto.

Peggio ancora quando si parla di budget. Negli articoli 4 e 6, si parla di trasferimento di persone e risorse dallo Stato alle Regioni. Ed era questo il vero cuore delle richieste del Nord leghista (e piddino).

In pratica,il conteggio delle risorse da trasferire dovrebbe essere fatto sulla base dei “costi storici”, da quanto speso cioè dallo Stato nella Regione. E nel Nord storicamente lo Stato ha speso di più. Fine delle chiacchiere...

Qualsiasi norma sulle risorse, insomma, non sarà valida se nelle intese ci sarà scritta una cosa diversa. Le “intese” delle Regioni, in questo modo, vengono messe “al di sopra” delle legge, rendendola del tutto inutile.

Basta così? Ancora no. Le stesse risorse per finanziare le misure previste dalle “intese” dovrebbero essere finanziate con “cessioni di tributi erariali maturati nel territorio”. In pratica: le regioni più ricche si tengono le entrate delle tasse (ovviamente più alte, visto che producono più ricchezza) e al diavolo quelle povere.

Come voleva già a suo tempo Bossi, insomma.

Ce n’è abbastanza per mettere in piedi un bel po’ di contrasto popolare. E quindi ancora per mettere altri ostacoli sul percorso di questa banda di scriteriati che si definisce “governo”...

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