Recensione di SOCIALIST ECONOMIC DEVELOPMENT IN THE 21ST CENTURY. A Century after the Bolshevik Revolution di Alberto Gabriele e Elias Jabbour
Cos’è il socialismo oggi?
A più di 100 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre (1917) e più di 150 dalla Comune di Parigi (1871), cosa rimane del socialismo? L’onda lunga della Rivoluzione d’Ottobre è senz’altro finita, eppure... Eppure Cuba, Cina, Vietnam, Laos e (a suo modo) Corea del Nord continuano a dichiararsi socialisti (e questi Paesi contano una popolazione di oltre 1,5 miliardi di persone). In Sud America l’ALBA (Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America) raccoglie una decina di Paesi in un’alleanza di stampo socialista (Cuba, Venezuela, Nicaragua, Bolivia, Antigua e Barbuda, Dominica, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, più altri Stati ospiti e osservatori anche non sud-americani). Infine, nel resto del mondo partiti socialisti o comunisti partecipano alle elezioni, spesso esprimendo maggioranze di governo.
Alberto Gabriele ed Elias Jabbour provano ad analizzare cosa sia il socialismo nel mondo contemporaneo, esaminando affinità e divergenze con le esperienze di socialismo del secolo passato e riprendendo il discorso iniziato da Gabriele (2020)[1]. Infatti, con il crollo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) il modello socialista novecentesco è fondamentalmente venuto a cadere, rimanendo in vigore solamente nell’isola di Cuba. L’economia di questo Paese caraibico è però abbastanza debole, in gran parte a causa del “bloqueo”, un pesantissimo embargo imposto dagli USA e dai suoi alleati.
Il libro è diviso in 3 parti: 1) Capitalism and socialism as modes of production; 2) China’s journey from the early agricultural reforms to the New Projectment Economics; 3) The other two members of the new class of SEF: Vietnam and Laos. Nella prima parte si discute di cosa distingua il socialismo dal capitalismo e soprattutto di come operare questa distinzione da un punto di vista attuale e utile al mondo di oggi e non prettamente filosofico. Nella seconda i due autori analizzano l’economia cinese, mentre nella terza approfondiscono il sistema economico-sociale di Vietnam e Laos.
Perno centrale del libro è proprio la definizione (attuale) del concetto di “socialismo”. Nessun governo comunemente inteso come socialista ha mai affermato di aver realizzato compiutamente e completamente il “socialismo”, men che meno il “comunismo”[2]. Ognuna di queste esperienze politico-sociali ha invece tentato di costruire, a suo modo, una strada verso il socialismo. Riprendendo la distinzione di Lenin (1917), il comunismo è la fase finale della società socialista, in cui lo Stato si estingue e la democrazia è realmente completa. D’altra parte nel Capitale Marx afferma che in una società capitalista il modo di produzione capitalista è quello dominante, non l’unico. Tutt’altro. Per Marx (1894) infatti nella società capitalista esistono residui del modo di produzione feudale, nonché i primi segni del modo di produzione socialista in via di affermazione.
Tenendo conto di queste assunzioni si può iniziare a ragionare in maniera non dicotomica – socialismo / capitalismo – ma più complessa, cercando di definire il grado di socialismo di un sistema economico-sociale. Un’economia insomma in parte socialista, ma con ancora dei residui rilevanti di capitalismo o, per usare le parole più precise di Gabriele e Jabbour, un’economia orientata al socialismo[3], prendendo il socialismo come un orizzonte da raggiungere, non qualcosa di già ottenuto e consolidato.
A questo proposito Gabriele e Jabbour individuano nella Cina, nel Vietnam (e forse nel Laos) degli esempi di Paesi in via di sviluppo con economie di mercato pianificato orientate al socialismo, definendo quest’ultimo termine nel modo seguente:
“Un’economia di mercato a orientamento socialista è un sistema socio-economico nazionale misto in cui: a) i meccanismi di mercato basati sui prezzi e la legge del valore costituiscono la forma prevalente di regolazione del sistema nel breve e medio termine; b) il ruolo relativo della pianificazione e il controllo diretto (tramite le società di proprietà dello Stato) e indiretto (tramite la finanza di proprietà pubblica e altri strumenti) dello Stato sull’economia sono qualitativamente e quantitativamente superiori a quelli dei Paesi capitalisti; c) il governo identifica ufficialmente il socialismo a pieno titolo come il suo obiettivo primario a lungo termine, da raggiungere progressivamente in un contesto di sviluppo socioeconomico, il progresso tecnico e la continua evoluzione degli strumenti di governance. Tenendo conto delle loro caratteristiche distintive, oggettive e soggettive, i pianificatori delle economie di mercato pianificate a orientamento socialista dispongono di una gamma di strumenti più ampia e potente rispetto alle loro controparti nei Paesi capitalisti. In particolare, possono stabilire la quota del surplus a livello macroeconomico e catturare una parte importante di quest’ultimo non solo attraverso le ordinarie politiche fiscali, ma anche in virtù dei diritti di proprietà dello Stato sul capitale industriale e finanziario.”[4].
L’interpretazione di Gabriele e Jabbour del socialismo appare molto interessante, aprendo la strada a una definizione più ampia e aperta rispetto a quello che è stato il sentire comune della sinistra occidentale per molti anni. In Europa e nei Paesi comunemente definiti “occidentali” l’idea del socialismo sembra essere estinta, mentre molti teorici e pensatori della sinistra fanno a gara a denigrare e sottolineare gli errori e le carenze di ogni forma o tentativo di socialismo dei Paesi in via di sviluppo, senza approfondire, studiare e diffondere i punti di forza, i successi e gli aspetti positivi.
Invece, l’approccio dei due autori potrebbe rappresentare un utile contributo, in Occidente, all’elaborazione di strategie e programmi politici basati su pianificazione e programmazione economica e rilanciare così l’idea di socialismo nel XXI secolo. Con la fine dell’onda lunga della Rivoluzione d’Ottobre parole come “rivoluzione”, “comunismo”, “socialismo” non sembrano più attecchire nell’immaginario collettivo occidentale. Eppure, il termine socialismo non ha una connotazione negativa nel sentire comune (Brancaccio, Giammetti e Lucarelli (2022) riportano alcune indagini in merito). Rendere l’idea di socialismo più fluida e realizzabile anche in Occidente non può che rappresentare un passo importante nel rilancio della prospettiva progressista.
L’idea di differenti gradi e forme di socialismo, infatti, si avvicina di più anche a strategie non immediatamente rivoluzionarie, che partono da condizioni politico-sociali differenti rispetto al sistema cinese. In Europa infatti v’è una tradizione affermata (sebbene oggi sempre più a rischio) di democrazia e diritti, ma lo Stato ha un peso molto minore nell’economia. Da queste basi potrebbe partire un programma economico volto al socialismo, individuando degli obiettivi chiave da raggiungere per improntare il sistema produttivo al socialismo.
Si potrebbe obiettare che questa visione del socialismo si discosta molto da quel che avevano in mente Marx, Engels o Lenin quando parlavano di rivoluzione e comunismo; parafrasando Foscolo, questo di tanta speme oggi ci resta? L’idea del comunismo “classico” su cui la sinistra ha basato la propria retorica per decenni rimane un sogno irraggiungibile almeno per altre centinaia di anni?
Non c’è ovviamente una risposta univoca a questa domanda, che dipende dalle inclinazioni politiche di ognuno. Senz’altro l’analisi materialistica della società attuale è il primo passo di qualsiasi programma di modifica dello stato di cose esistente. Ma questo, così come i rapporti di forza, non è immutabile, cangia anzi continuamente. Quello che oggi sembra un sogno potrebbe apparire domani come una realtà: i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.
Note
[1] Il primo libro di Alberto Gabriele sulla Cina, recensito su Economia e Politica da Zolea e Temperini (2021): https://www.economiaepolitica.it/in-punta-di-teoria/socialismo-mercato-o-altro/ .
[2] Hobsbawm (1994), pp. 650-651.
[3] I due autori prediligono questo termine perché: “i non è direttamente ed esclusivamente correlato a nessuna delle varie teorie del socialismo di mercato; ii non implica l’estensione di un brevetto di “vera” (o non vera) natura socialista; iii mira piuttosto a essere fattuale e neutrale.” (Gabriele e Jabbour (2022), p. 12, traduzione propria).
[4] Gabriele e Jabbour (2022), p. 12, traduzione propria.
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