Il nostro articolo sulla ripresa cinese, pubblicato qualche giorno fa, ha sollevato come sempre un certo interesse autentico ma anche qualche commento pregiudizialmente negativo, da parte dei sempre attivi tifosi dell’Occidente neoliberista.
Anche quello – decisamente “più cinese” – di Wang Wen, tradotto dal South China Morning Post, ha subito la stessa sorte, con qualche ironia sul presunto wishful thinking alla sua radice.
Tutto abbastanza comprensibile, calcolando anche le incertezze quantitative e qualitative che da sempre circondano – per legittima ignoranza o clamorosa malafede – le dinamiche di Pechino.
Ora arriva un editoriale della bibbia del neoliberismo, l’Economist, che riprende – con palese irritazione – lo stesso filo.
Lo abbiamo tradotto e ve lo proponiamo, per cercare di fornire più informazione possibile in vista di un anno dominato dai dubbi e dalle paure. Poter fare delle previsioni attendibili, in genere, migliora sia la vita sia l’attività politica...
Il giornale britannico costella il suo editoriale di frecciatine velenose, come le critiche – contemporaneamente! – alla politica “zero covid”, che avrebbe causato chiusure e rallentamento della crescita al di là di ogni capitalistica “ragionevolezza”, e alla recente decisione di riaprire completamente fabbriche e frontiere, con la conseguente, iniziale, impennata dei nuovi contagi.
Sarebbe facile far notare che proprio la Gran Bretagna – e gli Stati Uniti, e il Brasile, ecc. – sono stati i campioni della “aperture a tutti i costi” quando ancora i vaccini non erano stati messi a punto e la popolazione era dunque completamente esposta al rischio. E proprio questi paesi, nelle classifiche mondiali, sono ai primi posti per numero e percentuali di morti rispetto alla popolazione causai dalla pandemia (oltre che per frenata del Pil).
Mentre la Cina apre tutto senza limiti dopo quasi tre anni, quando la maggior parte della popolazione ha comunque avuto la copertura vaccinale (per quanto possano essere considerati meno efficaci quelli made in China). Tra le due “aperture”, insomma, c’è una differenza considerevole.
Ed infatti mentre il laissez faire occidentale, a suo tempo, non ha prodotto alcuna significativa riduzione nella caduta del Pil, anche l’Economist è costretto a riconoscere che il timing di Pechino funzionerà certamente. Anzi, sta già funzionando anche se ancora non c’è stato il “liberi tutti”.
Scatterà infatti solo domani, e bisogna mettere in conto anche le oltre due settimane di vacanza per il Capodanno cinese. Quindi il primo trimestre sarà meno “arrembante” di quelli successivi, visto che in realtà sarà un bimestre, dal punto di vista della produzione.
Ma turismo e ordinativi partiranno subito, le prenotazioni sono state già fatte e danno la misura – spaventosa – dell’onda che si riverserà sul pianeta.
Ondata benefica (facendo astrazione dalle conseguenze ambientali) per molte economie interlacciate saldamente con la Cina. Proprio mentre quelle occidentali mordono il freno a causa della “preferenza per la finanza” del grande capitale e dell’esagitato aumento dei tassi di interesse per cercare di frenare l’inflazione, scatenata dall’idiozia delle “sanzioni”.
Nell’argomentare dell’Economist ricorre più volte la paura per un ulteriore aumento dell’inflazione (sulle economie occidentali) a causa della maggiore richiesta di materie prime da parte di Pechino. Ma non si chiede, stranamente, come mai l’inflazione euro-atlantica viaggi oggi vicino al 10% mentre quella cinese è al 2,6%. Ossia, quasi ironicamente, ai livelli considerati “ottimali” dai banchieri centrali neoliberali.
Come dicevano gli antichi saggi, dio acceca coloro che vuol perdere...
Buona lettura.
Anche quello – decisamente “più cinese” – di Wang Wen, tradotto dal South China Morning Post, ha subito la stessa sorte, con qualche ironia sul presunto wishful thinking alla sua radice.
Tutto abbastanza comprensibile, calcolando anche le incertezze quantitative e qualitative che da sempre circondano – per legittima ignoranza o clamorosa malafede – le dinamiche di Pechino.
Ora arriva un editoriale della bibbia del neoliberismo, l’Economist, che riprende – con palese irritazione – lo stesso filo.
Lo abbiamo tradotto e ve lo proponiamo, per cercare di fornire più informazione possibile in vista di un anno dominato dai dubbi e dalle paure. Poter fare delle previsioni attendibili, in genere, migliora sia la vita sia l’attività politica...
Il giornale britannico costella il suo editoriale di frecciatine velenose, come le critiche – contemporaneamente! – alla politica “zero covid”, che avrebbe causato chiusure e rallentamento della crescita al di là di ogni capitalistica “ragionevolezza”, e alla recente decisione di riaprire completamente fabbriche e frontiere, con la conseguente, iniziale, impennata dei nuovi contagi.
Sarebbe facile far notare che proprio la Gran Bretagna – e gli Stati Uniti, e il Brasile, ecc. – sono stati i campioni della “aperture a tutti i costi” quando ancora i vaccini non erano stati messi a punto e la popolazione era dunque completamente esposta al rischio. E proprio questi paesi, nelle classifiche mondiali, sono ai primi posti per numero e percentuali di morti rispetto alla popolazione causai dalla pandemia (oltre che per frenata del Pil).
Mentre la Cina apre tutto senza limiti dopo quasi tre anni, quando la maggior parte della popolazione ha comunque avuto la copertura vaccinale (per quanto possano essere considerati meno efficaci quelli made in China). Tra le due “aperture”, insomma, c’è una differenza considerevole.
Ed infatti mentre il laissez faire occidentale, a suo tempo, non ha prodotto alcuna significativa riduzione nella caduta del Pil, anche l’Economist è costretto a riconoscere che il timing di Pechino funzionerà certamente. Anzi, sta già funzionando anche se ancora non c’è stato il “liberi tutti”.
Scatterà infatti solo domani, e bisogna mettere in conto anche le oltre due settimane di vacanza per il Capodanno cinese. Quindi il primo trimestre sarà meno “arrembante” di quelli successivi, visto che in realtà sarà un bimestre, dal punto di vista della produzione.
Ma turismo e ordinativi partiranno subito, le prenotazioni sono state già fatte e danno la misura – spaventosa – dell’onda che si riverserà sul pianeta.
Ondata benefica (facendo astrazione dalle conseguenze ambientali) per molte economie interlacciate saldamente con la Cina. Proprio mentre quelle occidentali mordono il freno a causa della “preferenza per la finanza” del grande capitale e dell’esagitato aumento dei tassi di interesse per cercare di frenare l’inflazione, scatenata dall’idiozia delle “sanzioni”.
Nell’argomentare dell’Economist ricorre più volte la paura per un ulteriore aumento dell’inflazione (sulle economie occidentali) a causa della maggiore richiesta di materie prime da parte di Pechino. Ma non si chiede, stranamente, come mai l’inflazione euro-atlantica viaggi oggi vicino al 10% mentre quella cinese è al 2,6%. Ossia, quasi ironicamente, ai livelli considerati “ottimali” dai banchieri centrali neoliberali.
Come dicevano gli antichi saggi, dio acceca coloro che vuol perdere...
Buona lettura.
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Onda d’uscita. Come la riapertura della Cina sconvolgerà l’economia mondiale
Onda d’uscita. Come la riapertura della Cina sconvolgerà l’economia mondiale
Per quasi tre anni – 1.016 giorni per l’esattezza – la Cina è stata chiusa al mondo. La maggior parte degli studenti stranieri hanno lasciato il Paese all’inizio della pandemia. I turisti hanno hanno smesso di visitarlo. Gli scienziati cinesi hanno smesso di partecipare a conferenze straniere. Ai dirigenti espatriati è stato impedito di tornare alle loro alle loro attività in Cina.
Così, quando il Paese aprirà i suoi confini l’8 gennaio, abbandonando gli ultimi residui della sua politica di “zero covid”, il rinnovo dei contatti commerciali, intellettuali e culturali avrà enormi conseguenze, per lo più positive.
Prima, però, ci sarà l’orrore. All’interno della Cina, il virus sta imperversando. Decine di milioni di persone si ammalano ogni giorno (vedi sezione Cina). Gli ospedali sono sovraccarichi.
Sebbene la politica “zero covid” abbia salvato molte vite quando è stata introdotta (a caro prezzo per le libertà individuali), il governo non si è preparato adeguatamente per il suo allentamento, accumulando farmaci, vaccinando un maggior numero di anziani e adottando protocolli solidi per decidere quali pazienti trattare e dove.
I nostri modelli suggeriscono che, se il virus si diffonde senza controllo, circa 1,5 milioni di cinesi moriranno nei prossimi mesi.
Non c’è molto che gli esterni possano fare per aiutare. Per paura di apparire debole, il governo cinese rifiuta persino le offerte di vaccini gratuiti ed efficaci provenienti dall’Europa. Ma il resto del mondo può prepararsi agli effetti economici della grande svolta del Partito Comunista.
Non sarà facile. L’economia cinese potrebbe subire una contrazione nel primo trimestre, soprattutto se le autorità locali dovessero invertire la rotta e sigillare le città per contenere i contagi. Ma alla fine l’attività economica riprenderà in modo deciso, insieme alla domanda cinese di beni, servizi e materie prime.
L’impatto si farà sentire sulle spiagge della Thailandia, in aziende come Apple e Tesla e nelle banche centrali del mondo.
La riapertura della Cina sarà il più grande evento economico del 2023.
Con il passare dell’anno e il superamento dell’ondata di Covid-19, molti malati torneranno al lavoro. Gli acquirenti e i viaggiatori spenderanno più liberamente.
Secondo alcuni economisti, il PIL dei primi tre mesi del 2024 potrebbe superare del 10% quello del travagliato primo trimestre del 2023. Un rimbalzo così netto in un’economia così grande significa che la Cina, da sola, potrebbe alimentare gran parte della crescita globale nel periodo (si veda la sezione Finanza ed economia).
Il partito punta su questo. Spera di essere giudicato non per la tragedia che la sua incompetenza sta aggravando, ma per la ripresa economica che seguirà.
Nel discorso di fine anno di Xi Jinping, il capo del partito ha ringraziato i lavoratori colpiti dalla pandemia per essere rimasti coraggiosamente al loro posto e, pur facendo cenno alle “dure sfide” che li attendono, ha promesso che “la luce della speranza è proprio davanti a noi”.
È sembrato desideroso di guardare oltre la pandemia, sottolineando le possibilità di una rapida ripresa economica nel 2023 e offrendo motivi per essere orgogliosi di vivere in una Cina in ascesa sotto il governo del Partito (vedi Chaguan).
La fine dell’isolamento autoimposto della Cina sarà una buona notizia per i luoghi che dipendevano dalla spesa cinese. Gli hotel di Phuket e i centri commerciali di Hong Kong hanno sofferto perché i cinesi sono rimasti chiusi in casa. Ora i potenziali viaggiatori si stanno riversando sui siti web di viaggi. Le prenotazioni su Trip.com sono aumentate del 250% il 27 dicembre rispetto al giorno precedente. Gli economisti prevedono un aumento del PIL di Hong Kong fino all’8% nel frattempo.
Anche gli esportatori delle materie prime consumate dalla Cina ne beneficeranno. Il Paese acquista un quinto del petrolio mondiale, oltre la metà del suo fabbisogno di petrolio, nichel e zinco e più di tre quarti del suo minerale di ferro.
Altrove, però, la ripresa cinese avrà effetti collaterali dolorosi. In gran parte del mondo potrebbe manifestarsi non con un aumento della crescita, ma con un aumento dell’inflazione o dei tassi di interesse. Le banche centrali stanno già aumentando i tassi a un ritmo frenetico per combattere l’inflazione.
Se la riapertura della Cina aumenterà la pressione sui prezzi a un livello eccessivo, dovranno mantenere la politica monetaria più rigida più a lungo.
I Paesi che importano materie prime, tra cui gran parte dell’Occidente, sono i più esposti al rischio di tali perturbazioni.
Prendiamo il mercato del petrolio. L’aumento della domanda cinese dovrebbe più che compensare la flessione dei consumi in Europa e in America, le cui economie stanno rallentando.
Secondo la banca Goldman Sachs, una rapida ripresa della Cina potrebbe contribuire a spingere il prezzo del greggio Brent a 100 dollari al barile, con un aumento di un quarto rispetto ai prezzi attuali (anche se ancora al di sotto delle vette raggiunte dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia). L’aumento dei costi energetici si rivelerà un altro ostacolo per domare l'inflazione.
Per l’Europa, la riapertura della Cina è un’altra ragione per non essere compiacenti sulle forniture di gas nel corso dell’anno. La politica zero-covid, deprimendo la domanda di gas della Cina, ha reso meno costoso di quanto sarebbe stato altrimenti per l’Europa riempire i suoi serbatoi di stoccaggio nel 2022. Una forte ripresa in Cina significherà una maggiore concorrenza per le importazioni di gas naturale liquefatto.
A dicembre l’Agenzia internazionale per l’energia, che si occupa di previsioni, ha messo in guardia da uno scenario in cui l’inverno inizierà puntualmente nel 2023 e la Russia taglierà del tutto il gas convogliato verso l’Europa.
Ciò potrebbe comportare una carenza pari al 7% del consumo annuale del continente, costringendolo a introdurre un razionamento.
Per la Cina stessa, la normalità post-pandemica non sarà un ritorno allo status quo ante. Dopo aver visto il governo applicare lo zero covid in modo draconiano e poi eliminarlo senza la dovuta preparazione, molte case di investimento vedono ora la Cina come una scommessa più rischiosa.
Le imprese straniere sono meno convinte che le loro operazioni non saranno interrotte. Molte sono disposte a pagare costi più elevati per produrre altrove. Gli investimenti in entrata in nuove fabbriche sembrano rallentare, mentre il numero di aziende che spostano la propria attività al di fuori della Cina è aumentato, secondo alcuni dati.
Normalità non normale
Mentre le aziende cinesi lottano per riparare i danni, dovrebbero ricordare un po’ di storia. La precedente grande riapertura della Cina, dopo il soffocante isolamento degli anni di Mao, ha portato a un’esplosione di prosperità, con l’afflusso di merci, persone, investimenti e idee attraverso i suoi confini in entrambe le direzioni.
Sia la Cina che il mondo hanno beneficiato di tali flussi, cosa che i politici di Pechino e Washington raramente riconoscono. Con un po’ di fortuna, l’attuale riapertura della Cina alla fine avrà successo. Ma una parte dell’umore paranoico e xenofobo che il partito ha alimentato durante gli anni della pandemia rimarrà sicuramente. Resta da vedere quanto sarà aperta la nuova Cina.
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