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15/01/2023

Quando il nemico è la Cina, la propaganda si vede meglio

Prendersela con i media italiani è come sparare sui pupazzetti al luna park. Immobili, ripetitivi, tutti uguali e tutti i giorni.

La tendenza al lecchinaggio servile, già connaturata nella struttura proprietaria delle testate (tutte di grandi gruppi che fanno i soldi in altri campi), è aggravata dall’evidente “ordine di scuderia” di creare un clima di guerra permanente verso “nemici esterni”.

Tra questi, oltre alla “cattiva Russia” – che almeno ha attaccato un altro paese, dopo aver a lungo cercato una mediazione – c’è ovviamente la Cina. Con la quale “noi” (i paesi europei) non abbiamo alcun contenzioso in sospeso e intratteniamo solidi rapporti economici, un interscambio molto profittevole.

È insomma economicamente da dementi prendersela con Pechino senza una ragione, eppure si fa. Proponiamo all’attenzione, solo come esempio tra i tanti, questo titolo di Repubblica, che giubila per la scoperta di un giacimento di terre rare... in Svezia.


A voler essere seri – resta difficile, in certi casi – bisognerebbe far notare che “un milione di tonnellate di ossidi di terre rare stimate” è una frazione infinitesima di quelle esistenti al mondo: secondo l’insospettabile United States Geological Survey sono 120 milioni di tonnellate, di cui più di un terzo, 44 milioni di tonnellate, situate in Cina, 22 milioni in Vietnam, 21 milioni in Brasile, 12 milioni in Russia e 7 milioni in India.

Detto brutalmente, quasi la metà sono in “territorio nemico” (Russia e Cina), e pure con il Vietnam toccherebbe essere un po’ prudenti (ha già dato solide prove di indipendenza...).

In ogni caso un milione di tonnellate è meglio di niente (lo 0,8%), sono peraltro le uniche in Europa. Ma con questi spiccioli “non ci si salva”.

Se poi passiamo alla descrizione della situazione sanitaria cinese, il delirio monta incontrollabile. Su tutti i media sono apparse foto satellitari di fonte Usa (riprese dalla CNN) in cui si enfatizza drammaticamente la costruzione di nuovi parcheggi nei pressi di ospedali o cimiteri. Titolo tipo: “L’impennata dell’epidemia di Covid in Cina svelata dalle foto satellitari tra forni crematori e pompe funebri”.

Che laggiù ci sia stata una ”impennata” di contagi dopo la scelta di “riaprire tutto”, ovviamente, non lo nega nessuno. Neanche le autorità di Pechino. Da qui ad immaginare “milioni di morti”, “lunghe code davanti ai crematori”, una “frenata drammatica dell’economia” e – sotto sotto – un “impediamo che i turisti cinesi possano arrivare qui”, altrettanto ovviamente ce ne corre.

In fondo anche lì la maggior parte della popolazione si è vaccinata, hanno continuato a portare mascherine in luoghi pubblici, le varianti del virus si sono fatte meno mortali, ecc. Se qui si può “riaprire tutto”, insomma, perché mai se lo fanno anche laggiù dovrebbe essere una tragedia? I virus non guardano al passaporto, giusto?

E dunque ci sembra importante riportare almeno brani di messaggi inviati da parte di italiani che vivono e lavorano da quelle parti. Perché è abbastanza evidente che i “nostri” gazzettieri parlano della Cina come negli anni ‘50 si parlava dell’URSS: un “sistema chiuso”, “preda della censura” e da cui non entra e non esce nulla, tanto meno le notizie.

E invece oggi in Cina ci sono centinaia di migliaia di lavoratori stranieri (tecnici, dirigenti di azienda, manager di società in joint venture, ecc.) e persino... centinaia di giornalisti! Tutta gente che entra ed esce dal paese, oggi senza restrizioni e periodi di quarantena.

Tutta gente che, soprattutto, telefona, scrive, chiacchiera, gira per le città, incontra ogni giorno cinesi di ogni tipo e classe (per ragioni di lavoro e non). Gente che, insomma, scrive a volte persino a gentaccia come noi...

Qui due testimonianze proprio di questi giorni.

Da Shanghai, per esempio, ci scrivono che dopo la riapertura totale dell’8 gennaio
“I turisti cinesi si sono riversati in destinazioni come Thailandia, Singapore e Malesia in seguito all’allentamento delle restrizioni sui viaggi all’estero del Paese.

I dati della piattaforma di viaggio online Ctrip mostrano che dal 27 dicembre gli ordini di hotel thailandesi con un tempo di prenotazione superiore a 20 giorni hanno rappresentato il 44% degli ordini totali di hotel da parte dei passeggeri della Cina continentale. Alcuni viaggiatori hanno persino già prenotato un hotel all’estero per le vacanze di Capodanno nel 2024.

Secondo un sondaggio dell’ITB China pubblicato a dicembre, il 76% delle agenzie di viaggio cinesi ha indicato il sud-est asiatico come destinazione preferita dopo il ripristino del turismo in uscita.

Indonesia, Malesia, Filippine e Thailandia hanno annunciato che i viaggiatori in entrata dalla Cina non avranno bisogno di test COVID prima della partenza”.
Non sembra proprio di vivere in un incubo dominato dalla morte agli angoli delle strade... Ma forse Shangai non è il centro di questo (presunto) dramma, anche se i giornalisti italici ce l’hanno descritta – in questi stessi giorni – proprio con quelle tinte.

Da Pechino, la capitale, per ovvie ragioni molto più ricca di giornalisti occidentali a caccia di “scoop”, arriva quest’altra testimonianza, che prende di mira, tra l’altro, proprio il giornalista-italiano-tipo, evidentemente perché ne incrocia diversi...
“Qui a Pechino ormai si vive esattamente come da noi, tranne forse per le mascherine che qui ancora portano quasi tutti e restano obbligatorie sui mezzi e nei luoghi pubblici chiusi. Non viene più richiesto il tampone per nessun tipo di attività.

Dopo tre anni si possono di nuovo richiedere una serie di visti di più breve durata (business, riunioni familiari, studio ecc.), resta invece ancora sospesa l’emissione di visti turistici, non si sa per quanto.

Per entrare nel paese si chiede ancora un singolo tampone fatto nelle 48 ore precedenti alla partenza, ma una volta arrivati qui non ci sono più controlli e si è liberi di uscire. Stanno tornando anche gli stranieri.

Uno dei problemi più grossi per la nostra stampa è che gli occidentali, giornalisti compresi, stanno tutti nei centri delle grandi città e non escono mai, non fanno inchiesta reale sul campo, nelle zone rurali. Il loro giornalismo è fatto da una prospettiva esclusivamente iper-urbana e sui social network.

Per capire cosa sta succedendo realmente nelle città secondarie e nelle campagne ci si dovrebbe andare, ma non lo fanno. È per questo che quando c’erano le proteste contro la politica zero covid avevamo i video, mentre ora non ci arriva più nulla.

La verità è che su tutta la Cina che non è Pechino o Shanghai centro, gli unici dati e le uniche notizie su cui possiamo contare sono quelle delle fonti governative e dei giornali locali, che certamente saranno di parte, ma non le si può semplicemente scartare con le solite accuse di censura e poca trasparenza, quando poi di inchiesta reale i giornalisti qui non hanno alcuna intenzione di farne.”
Il nostro anonimo “informatore” dimostra di conoscerne bene anche il modo di lavorare, che evidentemente ha visto da vicino.
“Escono di casa dal loro appartamento del centro per fare la spesa, fanno la foto a quattro persone in fila davanti a una farmacia qualunque, poi citano tre o quattro post polemici di qualche loro contatto su weibo e riempiono il tutto con le solite frasi che sembrano ‘fatti giornalistici’ mentre invece sono solo retorica, tipo ‘al momento nessuno sa quanti morti realmente ci siano nel paese’, e voilà, ecco confezionato l’articolo settimanale sulla Cina e il covid.”
I dati comunque ci sono e vengono resi noti su base mensile.

E noi, qui, che dovremmo sperare che sia una miniera svedese (tra 15 anni, dicono i tecnici che hanno scoperto il giacimento) “a salvarci dalla Cina”…

In conclusione, è chiaro che questo non è “giornalismo”, ma semplice propaganda bellica. E come sempre la propaganda è rivolta al proprio “interno”, a persuadere la propria popolazione (italiana ed europea) che “fuori c’è la jungla” ed è meglio non mettere in discussione la “nostra” classe dirigente (imprenditori, politici, giornalisti, ecc.). Perché potrebbe andarci molto peggio...

Però, come ogni propaganda bellica, porta la data di scadenza sulla confezione. “Puoi mentire a una persona per tutta la vita o puoi mentire a milioni di persone una sola volta. Ma non puoi mentire a tutti per sempre...”

E quando il volume della propaganda si alza troppo, quando le menzogne diventano fantasmagoriche e dunque ridicole, è segno che quella data diventa molto vicina...

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