L’editoriale del Corriere della Sera del 13 gennaio, anche letto con attraverso le lenti delle libertà costituzionali borghesi, è al limite del Codice penale, ancorché applicato soltanto in materia di richiami al ventennio fascista.
Lo stile e il tono (sul contenuto, dopo), intesi a un perentorio “serrare i ranghi”, rievocano perfettamente la retorica squadrista che, in tempo di guerra, avrebbe semplicemente esortato a passare per le armi chiunque avesse osato mettere in dubbio la “parola del Capo”.
Così, è scritto che «Sul decreto per gli aiuti all’Ucraina il voto è stato compatto, l’atteggiamento no» perché, a detta dell’editorialista, pare che nel dibattito al Senato qualcuno si sia comportato più da tenera Giovane Italiana che non, come la situazione richiede, da imperterrito e impettito Giovane del Littorio.
E che diamine! Si discute di guerra; di una guerra che “ci” vede impegnati nelle prime file del sostegno euroatlantico alla junta nazista di Kiev; e allora «serve avere anche una postura, un tono di voce e soprattutto un linguaggio convincente che sia coerente con la scelta», è scritto in grassetto.
Cosa possono pensare i milioni che già così sono contrari a esser coinvolti in uno scontro sempre più mondiale e che avrebbero bisogno di vedere il proprio malcontento meglio organizzato e indirizzato?
Cosa possono pensare, se già i Capi parlano non alla maniera ducesca, “chiaramente e in stile fascista”, ma con mezzi toni da rammolliti e imboscati e che, al posto di certezze dannunziane, inducono dubbi in «un’opinione pubblica che la politica ha il compito di guidare»?
Vergogna! È urgente convincere “gli itagliani”, che «l’inflazione, la penuria di materie prime, la contrazione dei mercati» sono spuntate d’incanto il 24 febbraio 2022 e non hanno origine dalla crisi capitalista che attanaglia l’economia occidentale da vent’anni, ma sono invece la conseguenza «del conflitto scatenato dalla Russia: famiglie e imprese pagano gli effetti dell’”operazione militare speciale” di Vladimir Putin».
Ciò è tanto più urgente, dato che, è costretto ad ammettere l’editorialista, «nei sondaggi si avverte un malumore crescente nel Paese». Dunque, solo degli smidollati, che ora parlano per bocca della Lega (!), possono accompagnare «il voto favorevole con l’avviso che non si potrà comunque pretendere la sconfitta di Mosca» e sposano così «la retorica russa».
Tutto ciò, ammonisce il Corriere, fa a cozzi con l’italico “noi tireremo diritto” e insospettisce anzi di oscure intese col nemico e quindi «offusca il ruolo internazionale dell’Italia, che in undici mesi di guerra si è guadagnata il rispetto degli alleati impegnati nella trincea della democrazia, e il ringraziamento di un popolo in lotta contro un invasore sanguinario».
Popolo italiano, corri alle armi! Non è tempo di attardarsi in dibattiti in un’aula sorda e grigia! Ricorda che «è oggi fondamentale l’aiuto che Roma fornisce a Kiev attraverso l’intelligence e la collaborazione tecnologica da remoto sul teatro di guerra, nelle azioni quotidiane di contrasto alle truppe di Putin. Tutte cose che sono valse il riconoscimento della Nato».
Altro che! Il rispetto lo ci si guadagna proprio così. Non certo col perseguire una politica autonoma e di pace, ma con il ripetuto e incrollabile ‘signorsì’ agli ordini di Washington e Bruxelles.
Basta con «la retorica della pace»! Basta con le moine leghiste all’indirizzo del «profilo tardo-pacifista dei Cinquestelle», perché comunque, qualche dubbio lo si può avere anche su «cosa sarebbe accaduto oggi se a palazzo Chigi si fosse trovato Giuseppe Conte?».
E anche perché che «senso ha autorizzare l’invio di armi agli ucraini se … si accompagna il voto favorevole con l’avviso che non si potrà comunque pretendere la sconfitta di Mosca?».
Orsù, petto in fuori e si rinverdiscano i proclami guerrieri che sul Corriere avevano accompagnato due guerre mondiali e il nero ventennio che sta in mezzo! Guerra fino alla vittoria completa!
Ancora uno sforzo e poi l’Itaglia potrà sedersi al tavolo dei vincitori e ambire alle commesse che i monopoli americani, inglesi, tedeschi avranno la compiacenza di lasciare anche agli altri per la ricostruzione dell’Ucraina, insieme alla spartizione delle risorse di una Russia ridotta a uno stato “agricolo e pastorale”, del tipo previsto nel 1945 dal Piano Morgenthau per la Germania.
E se alla seconda parte della scommessa forse non ci credono nemmeno quelli del Corriere, ecco che la prima sembra viaggiare già col vento in poppa, col Ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo (tutto un programma!) Urso e il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che stringono al mano a Vladimir Zelenskij, con l’acquolina in bocca per «i 10 settori alla luce dei primi progetti di ricostruzione». Questo, per cominciare, poi in Ucraina ci sono tante risorse da potersi accaparrare...
Forse al Corriere pensano che la faccenda debba andare proprio così. L’avevano pensato anche nel 1940 e nel 1941 e non ci avevano azzeccato. Oggi riprovano.
Dunque: armi alla junta nazista; armi sempre più pesanti. Dimenticata la retorica degli “aiuti per difendersi”, è ora tempo di compiere passi concreti e risoluti; e bisogna farlo in fretta, prima che sia troppo tardi per arginare il «malumore crescente nel Paese».
Bisogna vincere in fretta. Una volta ottenuta la vittoria, “a fianco dell’alleato germ” – ops – euroatlantico, i dubbi e i malumori degli itagliani scompariranno e si potrà dire che «l’inflazione, la penuria di materie prime, la contrazione dei mercati», conseguenza della «”operazione militare speciale” di Vladimir Putin» rimarranno, sì, ma con i necessari sacrifici, gli itagliani li sopporteranno con patrio stoicismo.
Dunque, si mandino le armi; tante armi e infischiamocene se la Svizzera potrà bloccare qualche invio, come ha fatto con l’ennesima partita di armi spagnole all’Ucraina.
Infischiamocene se l’Ungheria rifiuta di inviare armi a Kiev, per il timore della propria sicurezza e della possibile sorte degli ungheresi etnici che vivono nell’Oltrecarpazia ucraina, attraverso la quale dovrebbero passare le armi.
Freghiamocene se persino The Telegraph, dopo la presa russa di Soledar, coi suoi 200 km di tunnel delle miniere di sale che sembravano una fortezza imprendibile, cominciano ad avanzare qualche dubbio sull’opportunità dell’invio di carri armati alla junta. E, senza carri, ammettono gli “esperti occidentali”, è molto improbabile che Kiev riesca a riguadagnare terreno.
Francia, Germania e USA, osservano all’agenzia russa Rex, hanno annunciato l’invio di ulteriori armi e blindati, ma non hanno finora parlato di carri armati. Polonia e Finlandia sono disposte a inviare Leopard 2 (la Polonia, forse in cambio di ambiti territori che occupava dal 1920 al 1939?), ma non possono farlo senza il consenso tedesco.
Ora, Berlino sembra che debba in qualche modo tener conto dei malumori germanici per «l’inflazione, la penuria di materie prime, la contrazione dei mercati», visto che una forte maggioranza (67%) di persone, nonostante l’intensiva propaganda bellica, è contraria all’ulteriore invio di armi a Kiev.
Non solo. Secondo il portavoce dell’Ufficio federale per la famiglia e la società civile, il numero degli obiettori di coscienza (dalla fine della leva obbligatoria, nel 2011, si considerano tali solo i militari in servizio nella Bundeswehr) è quasi quintuplicato in un anno: dalle 201 domande del 2021 alle 951 del 2022.
Secondo il rapporto, molti giustificano la domanda con il fatto di non aver messo in conto l’eventualità di poter essere coinvolti in una guerra.
Rammolliti e imboscati!
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