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18/06/2023

Ecuador al voto: il correismo tenta la riconquista del paese con Luisa González

Si sono chiuse le liste dei candidati alla presidenza della Repubblica in Ecuador: sono 8 i nomi che si sfideranno tra due mesi.

Dopo lo scioglimento anticipato dell’assemblea da parte del governo Lasso – per evitare un impeachment per corruzione – ed il ricorso ad un meccanismo costituzionale conosciuto come “murte cruzada”, mai usato in precedenza, il paese si avvia a elezioni anticipate il prossimo 20 di agosto. Elezioni da cui emergerà però un governo breve, che terrà il paese solo fino a quella che doveva essere la naturale scadenza legislativa nel maggio 2025.

Oltre al presidente, le elezioni di agosto, a cui non parteciperà né Lasso né la sua formazione, determineranno i 137 deputati del Congresso.

Intanto, fino all’insediamento del nuovo governo, il presidente uscente Lasso continuerà a legiferare a colpi di decreti svincolato da un’assemblea in cui era minoranza e dunque dalla necessità di dover cercare l’appoggio ad ogni votazione. Governerà solo, con l'unica supervisione della corte costituzionale, nominata però in gran parte sotto il suo governo.

Questa insolita condizione accelererà il processo di concentrazione dei poteri nelle mai dell’esecutivo da decenni più a destra del paese e non gioverà alla stabilità dell’Ecuador.

Una rapida occhiata ai candidati delinea una netta divisione tra il progressismo dell’ex-presidente Correa e una serie di alleanze elettorali in cui spicca la divisione della destra. Quest’ultima sembra ancora incapace di presentare un progetto credibile ma confida nel ballottaggio per vincere, coagulando i voti anti-correisti come avvenuto nel 2021.

Luisa González sarà la candidata presidente del movimento progressista Revolución Ciudadana (diretto dall’ex-presidente Correa), insieme all’ex-candidato Andrés Aráuz, questa volta in corsa come vice presidente. Forti del successo delle amministrative, in cui il movimento uscì riaffermato come prima forza politica del paese conquistando sette regioni, si appresta a competere presentandosi come la forza politica più strutturata e compatta. Gonzalez ha affermato che, in caso di vittoria, richiamerà in patria l’ex presidente Correa, attualmente rifugiato politico in Belgio, come assessore nel proprio governo.

González è un’avvocata che ha ricoperto varie posizioni nel precedente governo Correa, e ha dichiarato che in caso di elezioni, chiamerà un’assemblea costituente per riscrivere la costituzione del Paese.

Il partito Pachakutic resterà invece fuori dai giochi, non presentando nessun proprio rappresentante, né per la carica di presidente né per l’assemblea. Quello che all’origine doveva essere il “braccio” della rappresentanza politica del movimento indigeno Conaie è profondamente spaccato al proprio interno. Con la maggioranza degli ultimi deputati apertamente venduti, tanto che la traballante sopravvivenza dell’ultima legislatura fu possibile grazie ad accordi tra Lasso e la presidente del partito Guadalupe Llori, poi nominata presidente dell’assemblea. Pochissimi deputati hanno rispettato le linee di opposizione del movimento, mentre gli altri appoggiavano apertamente il governo più neo-liberale delle ultime decade. Leonida Iza, capo della Conaie e su posizioni più radicali dei suoi predecessori, ha tentato di lanciare la propria candidatura cercando di riprendere il controllo del partito, senza però riuscirci lasciando così il Pachakutic privo di una propria candidatura.

Yacu Pérez, arrivato terzo alle ultime elezioni come espressione di Pachakutic, è questa volta candidato con la coalizione ‘Claro que se puede‘ sostenuta tra gli altri dal Partito Socialista e Democracia Sì.

La destra si presenta con vari profili tra cui Jan Tobic, laureato ad Harvard e figlio di un famoso imprenditore del campo della sicurezza, che potrebbe riservare sorprese. Giovane volto nuovo, proprietario della più grande azienda di sicurezza del paese, ha trascorso anni come militare (mercenario/imprenditore) all’interno della legione straniera francese operando in Siria, Ucraina e Africa. Sembra il profilo ottimale da inserire in una campagna elettorale segnata dal clima di insicurezza crescente che vive il paese per l’ingresso violento del narcotraffico nella vita pubblica ecuadoriana.

È stato scelto dal partito conservatore cattolico (PSC) che aveva partecipato al procedimento di Impeachment di Lasso.

Si candida anche Otto Sonnenholzner, vicepresidente durante il governo di Lenin Moreno che operò il tradimento del progetto progressista virando col suo governo a destra e abbandonando politiche redistributive interne e riportando il paese sotto l’egida statunitense.

Nuovamente candidata la dinastia dei bananieri Noboa. Dopo i cinque infruttuosi tentativi del padre negli ultimi vent’anni, tenta la corsa il figlio Daniel Noboa. Per quanto l’industria bananiera risulti meno influente rispetto gli anni passati in termini di peso economico nel paese, continua ad essere una forza determinante in molte aree oltre ad essere sede di condizioni di sfruttamento tra le più odiose come evidenza il caso di vera e propria schiavitù moderna con traffico di esseri umani della Furukawa.

Completano il quadro Xavier Hervas, imprenditore arrivato quarto alle precedenti elezioni e sostenuto dal movimento di centro-destra RITO, il giornalista Fernando Vilavicencio, feroce critico di Correa, e Bolívar Armijos, avvocato e capo del consiglio dei governi locali.

La conflittualità interistituzionale sembra crescere, come dimostra anche l’incidente in cui la polizia ha ricevuto con il gas lacrimogeno i candidati di Revolución Ciudadana che presentavano la propria candidatura all’ufficio elettorale.

In generale c’è un clima di polarizzazione politica marcata, in cui i media mainstream hanno iniziato una campagna per screditare i candidati progressisti.

Fuori dalle istituzioni invece la violenza è già altissima: alla delinquenza comune, cresciuta esponenzialmente con il ritorno alla povertà estrema di migliaia di ecuadoriani (10% della popolazione) con la fine della stagione progressista nel 2017, si aggiunge ora un’ondata di violenza senza precedenti che vede i cartelli narcotrafficanti entrare con forza nel paese.

Dall’essere il paese latinoamericano che più aveva migliorato i propri indici di sicurezza sotto i governi progressisti, oggi l’Ecuador si trova nella condizione opposta con un incremento del 82% del numero di morti violente nel 2022 e un 2023 che sta rapidamente superando il record dell'anno precedente. Un paese che si avvicina ai livelli più critici dei paesi centroamericani, superando anche paesi come Messico o Haiti. Sono già centinaia le morti violente dall’inizio dell’anno, mentre decine sono gli attacchi che hanno portato alla morte e al ferimento di diversi amministratori e politici locali, soprattutto espressione del correismo.

L’Ecuador si trova ancora una volta a un bivio, come gran parte del resto del continente. Da una parte progetti reazionari di impoverimento della popolazione, con sempre meno capacità di produrre consenso durevole e costretti a usare spesso strumenti giudiziari (LawFare) o la violenza per imporsi, come sta avvenendo in Perù.

Dall’altro lato le possibilità aperte da un progetto progressista che, oltre a migliorare internamente le condizioni di vita delle classi popolari, contribuisca a rafforzare un recentemente rinnovato movimento di integrazione regionale, lavorando per l’indipendenza del Latino America rispetto l’egemonia Usa nello scenario multipolare globale.

Come ha dichiarato la candidata progressista a Telesur: “L’Ecuador è un paese così devastato da necessitare una Rivoluzione Cittadina. Eravamo riusciti a salvare il nostro paese nel 2007 quando abbiamo assunto la Presidenza. Era un paese senza speranza e devastato, dove i cittadini erano costretti ad immigrare perché non trovavano possibilità. Lo faremo avanzare nuovamente, assicureremo la sanità, la cura, l’educazione, l’istruzione, e la sicurezza”.

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