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22/06/2023

Insegnare comunque, tra discredito sociale e coltelli

Sono l’insegnante che ha subito un accoltellamento da un suo alunno di seconda superiore. Avevo preferito inizialmente la linea del silenzio stampa, ma poi una serie di informazioni false diffuse sui media, in particolare circa presunte note con cui avrei vessato l’alunno, mi aveva indotta a rilasciare un’intervista a Repubblica subito dopo le mie dimissioni dall’ospedale, nonostante fossi ancora molto sofferente.

Le dichiarazioni successive, soprattutto quelle rilasciate in televisione dal difensore dell’alunno, mi inducono oggi ad un’ulteriore precisazione.

Scelgo volutamente la stampa in luogo della televisione, in accordo con i miei legali, perché lo ritengo un medium informativo più discreto e non voglio che l’accento venga messo sugli aspetti scandalistici ed emotivi della vicenda.

In primo luogo tengo a precisare che, nonostante sia uscita dall’ospedale il quarto giorno dopo l’intervento, il dolore al braccio è ancora intenso, ho diverse ferite da taglio sulla testa, inclusa una microfrattura cranica, e che i colpi inferti vicino al collo per puro caso non hanno intercettato l’aorta, altrimenti non sarei più qui.

Sono ancora ben lontana dal poter riprendere una vita normale. Mi attende infatti una lunga e dolorosa fisioterapia, oltre che un percorso di supporto psicologico, senza considerare il danno permanente che potrebbe conseguire a quanto accaduto.

Dispiace sentire minimizzare implicitamente dall’avvocato del ragazzo il dolore fisico che ancora provo, dispiace che si scelga di farlo in tv, così come, ribadisco, mi è dispiaciuto non ricevere le scuse della famiglia, che (a differenza di quanto dichiarato) conosceva la mia mail istituzionale, così come la conoscevano tutte le altre famiglie e gli alunni che l’hanno usata per dimostrare la loro solidarietà alla mia persona, oltre che alla scuola.

Vorrei si lasciasse alle persone deputate e competenti (psichiatri, educatori, magistrati) la valutazione del ragazzo, del suo vissuto e delle sue azioni: ho piena fiducia che chi di dovere saprà garantire il percorso di cui lui ha bisogno, lontano dalla risonanza mediatica e nel rispetto del dolore di tutti.

Colgo l’occasione per condividere anche una breve riflessione sulla scuola, perché tanto si è detto e scritto della scuola in queste settimane.

Tengo a dire che ho scelto di trasferirmi all’IIS Alessandrini di Abbiategrasso proprio perché lo conoscevo come una scuola dell’accoglienza, dell’inclusione, del supporto agli alunni in difficoltà.

È un istituto in cui molta attenzione viene prestata all’umanità degli alunni e ai loro percorsi di crescita, in cui la maggioranza dei colleghi e lo stesso gruppo di dirigenza si impegnano a fondo a questo scopo, in cui è attivo uno sportello psicologico tenuto da un professionista capace ed esperto. Penso di essere a mia volta una docente attenta ai bisogni anche emotivi dei ragazzi e aperta al dialogo con le classi.

Alcuni spunti di riflessione però si impongono.

1. Purtroppo la scuola fa un lavoro molto delicato e discreto in un contesto sociale ed economico che utilizza quotidianamente il linguaggio della competizione, della mercificazione e della violenza, che del litigio fa spettacolo, che dell’uccidere fa il principale obiettivo dei videogiochi per bambini, e che ai linguaggi d’odio si è quasi assuefatto, in cui gli stessi rappresentanti delle istituzioni non si sottraggono ad aggredire verbalmente anche le minoranze o categorie fragili come i migranti. La scuola opera in un contesto politico in cui si preferisce investire risorse nelle armi e nella guerra piuttosto che nei servizi e nella solidarietà sociale.

2. In secondo luogo la scuola è oggetto costante di discredito sociale, ritenuta causa del disagio dei ragazzi, primo capro espiatorio di un livello culturale sempre più basso nel nostro paese, benché, giorno dopo giorno, ognuno di noi si impegni a stimolare gli alunni, a creare ambienti di apprendimento che consentano loro di diventare cittadini critici e capaci di apprezzare la bellezza e di costruirsi un percorso di vita. Quanti colleghi conosco che si mettono costantemente in discussione, nonostante lo stipendio umiliante e gli attacchi continui! Eppure veniamo tacciati di essere quelli che hanno le ferie lunghe e i pomeriggi liberi, quanto di più lontano dal vero.

3. Infine la scuola è coinvolta nella marginalizzazione cui tutto il mondo della cultura, dell’arte e del sociale sono oggi relegati: gli istituti in linea con i tempi sono quelli che spendono i soldi del PNRR per comprare robot di ultima generazione e visori 3D, mentre i laboratori teatrali e le attività musicali sono relegati in spazi opzionali e forse non riescono a raggiungere gli studenti che ne avrebbero più bisogno; nella scuola devono entrare sì le tecnologie, e chi mi conosce sa quanto io ne faccia uso nella didattica, ma prima di tutto progetti di teatro, di affettività, di volontariato, di cooperazione, che inducano i ragazzi a entrare in relazione, ad ascoltarsi, a mettersi nei panni degli altri.

In tal senso voglio citare un elemento di discussione su cui in più di un’occasione ho avuto modo di confrontarmi con lo studente che mi ha poi aggredita.

Lui studiava poco la storia e si chiedeva perché dovesse farlo, visto che intendeva diventare un ingegnere e la storia “non serve” a questo scopo. Ho cercato più volte di fargli capire che la scuola non serve a preparare a un mestiere, molto meglio lo farebbe l’apprendistato lavorativo, che la scuola non ha un fine utilitaristico, ma aiuta a costruire le persone, i cittadini che saremo, a farci comprendere la realtà e partecipare alla comune umanità.

In classe abbiamo riflettuto, al termine della lettura di passi scelti dei Promessi Sposi, sul senso del “fare il bene”, dell’impegnarsi per il bene comune piuttosto che volerlo per sé, ma lui quel giorno non c’era.

Spero che altre figure educative riusciranno in futuro dove io e i miei colleghi non abbiamo potuto far breccia.

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