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26/06/2023

Le impressioni dei comunisti svizzeri tornati dalla Cina: intervista a Massimiliano Ay

Questa intervista è stata condotta per il quotidiano turco “Aydinlik”. La traduzione in lingua italiana è stata curata dalla redazione di Sinistra.ch

Quali argomenti ha affrontato con i vertici del Partito Comunista Cinese?

La delegazione che ho avuto l’onore di dirigere riuniva, oltre al Partito Comunista della Svizzera, anche i delegati di tre altri partiti italiani ed era un viaggio atto a conoscere la Cina in tutta la sua complessità: abbiamo infatti visitato centri urbani importanti come Pechino e Nanchino, ma anche villaggi periferici a vocazione agricola come Bijie, in cui fino a pochi anni fa la povertà era diffusa.

Abbiamo così potuto vedere concretamente l’intervento scientifico delle autorità cinesi non solo per sviluppare le forze produttive ma anche per ridistribuire la ricchezza.

Non sono mancate visite a industrie che mirano allo sviluppo ecologicamente sostenibile, a centri culturali e universitari nonché a sedi di quartiere del Partito perché uno dei focus del nostro viaggio era proprio studiare l’organizzazione dei comunisti cinesi nelle periferie ma anche il lavoro di prossimità con i giovani.

Abbiamo avuto il privilegio di discutere apertamente con funzionari a vari livelli: a Pechino, ad esempio, abbiamo incontrato il vice-ministro delle relazioni internazionali del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e a Guiyang abbiamo fatto visita alla vice-governatrice della provincia dello Guizhou per discutere sostanzialmente di due temi: anzitutto una comparazione dell’attività istituzionale sul piano comunale nei due paesi e su ipotesi concrete di gemellaggi culturali con città svizzere e forme di cooperazione commerciale e turistica, sottolineando l’importanza di coinvolgere anche le piccole aziende e non solo i grandi marchi.

Molto proficuo è stato anche la riunione con l’Accademia cinese delle scienze sociali con cui abbiamo ipotizzato forme di ricerca nell’ambito del rinnovamento del marxismo occidentale, su cui come Partito Comunista della Svizzera abbiamo sviluppato competenze importanti.

Ha qualche osservazione sulla società e sull’amministrazione cinese che vorrebbe condividere con noi?

Iniziamo col dire che l’idea di alcuni partiti di sinistra in Europa secondo cui la Cina avrebbe abbandonato la via socialista per trasformarsi in un paese capitalista è totalmente errata.

Quello che emerge in ogni ambito della società cinese è la presenza forte e strutturata dal Partito Comunista Cinese come organizzazione d’avanguardia che dirige ogni aspetto anche della vita economica del Paese, comprese nei settori privati. Impressionante è in particolare il grado di capillarità delle organizzazioni del Partito sul territorio.

Un altro dato significativo è il forte legame fra patriottismo, la difesa della sovranità nazionale anche in ambito culturale ed economico e non solo militare, e internazionalismo che si esplica con il concetto di “comunità umana dal destino condiviso” che anche grazie alla Nuova via della seta sta contribuendo grandemente allo sviluppo dei paesi più poveri del mondo.

Abbiamo seguito una lezione di un professore della Scuola quadri del Partito che ha insistito sul fatto che il benessere dei lavoratori è la priorità e che “non possiamo abbandonare nessuno a se stesso, né per l’età, né per il sesso, né per l’etnia”. In quest’ottica stanno ad esempio lavorando molto per migliorare il diritto allo studio, aumentando gli anni di obbligatorietà scolastica e aumentando le borse di studio per i figli delle famiglie contadine più povere.

In Europa ci sono timori e sospetti sulla “dipendenza dalla Cina” e sul fatto che “la Cina stia diventando un Paese espansionista/imperialista”. Come valuta questi aspetti?

È un’assurdità! La Cina ha un atteggiamento di assoluto rispetto nei confronti della sovranità di tutte le nazioni, ne rispetta le peculiarità e i sistemi sociali ed economici, e non esporta il proprio modello.

Peraltro anche da un punto di vista marxista-leninista è errato considerare la Cina un paese imperialista giacché questo Paese non ha raggiunto alcuno stadio egemonico capitalistico, ma resta ancorato a una prospettiva di tipo socialista.

L’Europa è piuttosto dipendente dal mercato atlantico guidato dagli USA e finché non si libererà da questo giogo, essa non potrà svolgere alcun ruolo progressivo nel futuro mondo multipolare.

Aggiungo poi che, come dicevo, la Nuova via della seta non è espansionismo ma è proprio il modo più concreto di cui i popoli oppressi dall’imperialismo dispongono per emanciparsi dal neo-colonialismo, conquistare la loro indipendenza non solo a parole ma nei fatti, cioè con lo sviluppo economico. Non c’è socialismo infatti senza una rivoluzione produttiva, come peraltro anche voi in Turchia avete giustamente individuato.

È diffusa l’idea che l’Europa sia bloccata nel mezzo tra Russia e Cina da una parte e Stati Uniti dall’altra. Quale posizione dovrebbe assumere l’Europa oggi e in futuro?

È evidente che con l’espansionismo della NATO verso Est a partire dal 1991, con le rivoluzioni colorare nell’Europa dell’Est, con il colpo di Stato fascista in Ucraina del 2014 e con i bombardamenti contro i civili russi nel Donbass negli ultimi 9 anni, gli USA abbiano voluto riportare la guerra in Europa, così da impedire che l’Europa si aprisse troppo all’Eurasia e ai paesi emergenti e rimanesse anzi vincolata al mercato atlantico.

L’Europa, per evitare di impoverirsi ulteriormente, deve invece emanciparsi dai diktat di Washington che rappresenta una potenza in declino che vuole trascinarci in una guerra mondiale. Lo stesso discorso vale per il mio Paese: noi comunisti svizzeri proponiamo che la Svizzera, per garantire la propria indipendenza, non potendo essere autosufficiente in mancanza di materie prime, perlomeno diversifichi maggiormente i propri partner commerciali e si apra ai paesi emergenti.

In questo senso – contro l’opinione della sinistra socialdemocratica ed ecologista svizzera – noi sosteniamo apertamente l’accordo di libero scambio fra Svizzera e Cina, ma nel contempo spingiamo per una maggiore sovranità alimentare ed energetica del Paese.

Il successo economico della Cina è ampiamente riconosciuto. Come valuta questo successo come Partito Comunista? Da un punto di vista storico e di classe, pensa che un modello e una pratica simili a quelli cinesi possano essere applicati nel suo Paese e in Europa?

Durante una delle riunioni con i funzionari cinesi ho affermato che per il Partito Comunista della Svizzera il socialismo non ha nulla a che vedere con un sistema di ‘uguaglianza nella povertà’. Questa idea, davvero demenziale, è purtroppo ampiamente diffusa in una parte della sinistra e anche in alcuni partiti di orientamento anti-capitalista in Europa: l’accumulazione primaria di capitale e lo sviluppo delle forze produttive sono in realtà elementi essenziali dell’analisi marxista che andrebbero riscoperti.

Senza dubbio quindi una futura transizione al socialismo in Svizzera non potrà rinunciare a un rapporto dialettico con il mercato come insegna la Cina, tuttavia non si dovrà commettere l’errore di importare meccanicamente il modello cinese in un paese europeo con culture molto diverse.

Ci tengo a dire che in Cina, nonostante le riforme economiche intercorse negli ultimi 40 anni, ci sono ancora i piani quinquennali e il ruolo dello Stato è forte. Esso dirige in modo pianificato e razionale, nell’interesse collettivo della nazione e non dei profitti individuali, lo sviluppo economico.

Gli imprenditori privati che operano sul mercato devono sottostare agli orientamenti stabiliti dallo Stato che a sua volta è controllato dal Partito Comunista. In ogni azienda, accanto ai manager, c’è sempre un corrispettivo politico che risponde al Partito, affinché anche gli sforzi dei privati siano comunque sempre compatibili con le strategie più ampie di sviluppo collettivo.

Nulla a che fare, insomma, con il capitalismo occidentale vorace, sfruttatore e impregnato di individualismo liberale.

La stessa situazione la troviamo nelle università, dove accanto al rettore responsabile delle didattica, c’è anche il segretario politico della cellula universitaria del Partito che ne controlla la direzione ideologica.

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