Ieri sul voto della Commissione Esteri della Camera riguardo la ratifica del MES abbiamo assistito all’evidente dimostrazione dell’inconsistenza della classe dirigente italiana. Di questo comitato d’affari che non governa, ma fa unicamente il passacarte delle decisioni prese altrove, a Washington e, in questo caso, a Bruxelles e Francoforte.
L’Italia è l’unico paese a non aver ancora ratificato la riforma di quello che era chiamato Fondo salva-stati, elaborata all’inizio del 2021. Attualmente sono 19 i paesi che ne hanno firmato il trattato, versando di conseguenza una parte di capitale e ottenendone un diritto di voto proporzionale nel consiglio dell’istituto.
Nel corso degli anni questo strumento, parte integrante dell’architettura UE, è stato al centro di vari contrasti per l’ipoteca che rappresenta sui conti pubblici dei paesi coinvolti. Come è tipico della storia della costruzione europea, l’istituto è stato perfezionato nel corso del tempo, secondo le necessità emerse di ostacolo in ostacolo al rafforzamento della UE.
Nato per la gestione della crisi dei debiti sovrani nel 2010, in particolare del caso greco (il nome era, infatti, Greek Loan Facility), vista l’efficacia nell’imporre le politiche di austerità è stato trasformato in un vero e proprio meccanismo istituzionalizzato nel 2012. È stato poi utilizzato anche da Irlanda, Portogallo e Cipro.
La novità principale del MES rispetto al suo predecessore era la potenza di fuoco: se prima il fondo poteva spendere solamente le risorse versate dai membri, il MES può usare le risorse accumulate come leva finanziaria. In pratica, si tratta di indebitarsi con la Banca Centrale Europea, per poi utilizzare le risorse raccolte in sostegno dei paesi in crisi in cambia di riforme strutturali del mercato del lavoro e della spesa pubblica.
La riforma del 2021 introduce alcune novità importanti. La prima è quella di svolgere la funzione di paracadute finale col Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, SRF), dotato di 68 miliardi, nei casi di salvataggi di banche private. Ma è in ambito pubblico che ci sono cambiamenti ancor più sostanziali.
Infatti, con le linee di credito precauzionali introdotte dalla riforma, ci troviamo di fronte a una sorta di condizionalità ex-ante: se i tuoi conti sono in ordine, la potenza di fuoco del MES promette di proteggerti preventivamente da qualsiasi attacco speculativo.
Se invece sei «indisciplinato» come lo è l’Italia, ad esempio, è come se si invitassero gli speculatori a giocare sul tuo debito pubblico, sapendo che il fondo non garantirà difese finché non verrà firmato un Memorandum. In due parole, è un commissariamento in piena regola, che permette di scegliere tra l’instabilità finanziaria o precarizzazione e tagli alla spesa pubblica.
Se si mette in collegamento questo cambiamento con la revisione dei criteri del Patto di Stabilità e Crescita per come si sta prefigurando oggi, si rende evidente che l’obiettivo è quello di perfezionare una vera e propria gabbia europea sulle politiche monetarie. Non importano le promesse che può aver fatto l’attuale governo, tutto dipenderà dal pilota automatico di Bruxelles.
È l’ulteriore segnale del processo di verticalizzazione e centralizzazione delle politiche UE. Serve una visione generale del mondo alternativa per difendere gli interessi dei settori popolari e tenere l’orizzonte del Socialismo del XXI secolo nella propria lotta.
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