Il Marocco ha annullato un vertice chiave nel quadro del processo di normalizzazione dei rapporti con lo stato ebraico a seguito dell'annuncio israeliano di espandere gli insediamenti illegali nei territori palestinesi occupati. Si tratta dell'ultima battuta d'arresto per i cosiddetti Accordi di Abramo, lanciati da Trump nel 2020, nonostante gli sforzi per promuoverli ed espanderli da parte degli Stati Uniti.
Gli Accordi di Abramo compiranno durante l’estate il loro terzo anno di vita. L'accordo tra uno stato di apartheid e alcune delle dittature più autocratiche del mondo era inizialmente basato su preoccupazioni condivise riguardo alla sicurezza, in particolare per quanto riguarda l'Iran, ma da qualche tempo è in corso un tentativo di spostarne l’asse sul piano economico. I risultati in questo ambito appaiono però contraddittori.
Per gli Stati Uniti e ancora di più per Israele, gli Accordi sono stati un modo per promuovere i propri interessi in Medio Oriente senza dovere affrontare la questione dei diritti del popolo palestinese. Anche questo esperimento si sta rivelando molto più difficile di quanto si aspettassero Donald Trump e Joe Biden, che erano e sono ugualmente entusiasti degli Accordi e della possibilità di calpestare impunemente i diritti dei palestinesi.
Martedì, il Marocco ha così annunciato l'annullamento della riunione del cosiddetto Forum del Negev, l'arena negoziale chiave per Stati Uniti, Israele e gli stati arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele, ad eccezione della Giordania, in risposta all'annuncio israeliano di accelerare ed espandere la costruzione di insediamenti. L’evento era già stato rinviato in precedenza a causa delle provocazioni israeliane. La decisione di Rabat rappresenta anche il più recente segnale di difficoltà per gli Accordi di Abramo, anche se gli Stati Uniti continuano ad affannarsi per rinvigorirli e consolidarli.
Biden sta lavorando con i membri del Congresso americano di entrambi i partiti per cercare di dare vita a questi accordi moribondi. L'espansione di essi fino ad includere l'Arabia Saudita sarebbe il risultato più ambito sia per Biden sia per il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Tuttavia, il valore di un simile accordo, di per sé, è per l'Arabia Saudita molto inferiore rispetto ai vantaggi che comporterebbe per Israele e Stati Uniti. Quindi, i reali sauditi hanno fissato un prezzo molto salato per la loro potenziale partecipazione.
Biden ha proposto, con l’approvazione della Camera dei Rappresentanti di Washington, la nomina di un inviato a livello di ambasciatore come rappresentante speciale per gli Accordi di Abramo. A essere stato scelto per questo ruolo è l'ex ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Dan Shapiro. La rinnovata spinta per espandere gli Accordi e il probabile contributo di Shapiro potrebbero aiutare gli Stati Uniti a trovare un modo per ottenere il consenso all’adesione dell'Arabia Saudita o, se l’obiettivo massimo non dovesse essere raggiunto, quanto meno per espandere gli Accordi ad altri paesi africani. Ciò significherebbe poco per gli interessi militari o economici di Israele, ma avrebbe maggior peso dal punto di vista politico e gli Stati Uniti vedrebbero il risultato come un modo per arginare la crescente influenza di Cina e Russia in Africa.
Questa settimana anche il Congresso USA si è mosso in soccorso degli Accordi, avanzando un disegno di legge che istituirebbe uffici della Food and Drug Administration (FDA) nei paesi che hanno aderito agli Accordi. Si tratta in effetti di un'altra mossa intesa a contrastare la Cina, riducendo potenzialmente la dipendenza degli Stati Uniti da Pechino come “hub” di approvvigionamento per i prodotti farmaceutici.
La scorsa settimana, gli Emirati Arabi Uniti e Israele hanno concluso due accordi per la cooperazione nei settori della tecnologia e della salute, nel quadro del clima creato dagli Accordi di Abramo che ha fatto salire, per i primi mesi del 2023, a quasi un miliardi di dollari il volume totale degli scambi commerciali bilaterali. E, naturalmente, Israele rivendica con orgoglio anche il record stabilito nel 2022 per le esportazioni di armi, grazie in parte proprio alle vendite negli Emirati Arabi Uniti, in Bahrein e in Marocco, tutti firmatari degli Accordi.
Mentre alcuni stanno cercando di dipingere un quadro roseo per gli Accordi sulla base di questi sviluppi, dopo quasi tre anni essi non sono sbocciati come speravano i suoi architetti e propagandisti, sia a Washington sia a Tel Aviv. Il principio della paura su cui si basavano gli Accordi ha infatti iniziato a svanire rapidamente. L'impulso iniziale, dichiarato o meno, era quello di creare un'alleanza regionale che riunisse Israele e gli stati arabi del Golfo Persico per far fronte all'Iran.
Questa teoria è sempre stata errata. Sebbene ci sia stata a lungo una contesa tra ognuna delle monarchie arabe del Golfo e l'Iran, essa ha avuto diversi gradi di intensità nel corso del tempo e tra i diversi stati arabi. Alcuni, come il Qatar e l'Oman, intrattengono tradizionalmente buoni rapporti con l'Iran, anche se non mancano problemi seri. Altri, come l'Arabia Saudita e il Bahrein, avevano differenze di vedute più nette, ma non escludevano e, anzi, cercavano un modo per coesistere evitando che lo scontro potesse precipitare. L'Iraq, infine, appartiene a una categoria a parte per quanto riguarda la complessità dei rapporti con l'Iran.
Sia gli Stati Uniti sia soprattutto Israele hanno scelto al contrario una rotta totalmente conflittuale con la Repubblica Islamica, non vedendo né un percorso né incentivi particolari a individuare una via diplomatica per risolvere le divergenze. Il confronto militare e il cambio di regime costituiscono l’opzione preferita di Israele, così come della gran parte dei membri dei partiti Repubblicano e Democratico negli Stati Uniti.
Ma per gli stati arabi confinanti con l'Iran, la guerra è sempre stata uno scenario da incubo, una potenziale conflagrazione che si concluderebbe solo con perdenti e nessun vincitore, nonché con la distruzione della regione mediorientale. Con l'accordo tra Arabia Saudita e Iran, mediato da Iraq e Cina, è stata aperta una via migliore per il futuro. Gli Stati Uniti e Israele, al contrario, continuano a ingigantire la "minaccia" iraniana e a promuovere accordi commerciali “dal vertice alla base” come fondamento delle relazioni con i possibili candidati alla firma degli Accordi di Abramo.
Il governo di Israele è preoccupato perché sia il Bahrein che gli Emirati Arabi Uniti si stanno muovendo per rafforzare i rapporti con l'Iran. Le due monarchie del Golfo sono state le prime a normalizzare le relazioni con Israele nell'ambito degli Accordi di Abramo. Il terzo paese a farlo – il Sudan – ha sospeso il processo a causa dello scoppio del conflitto interno tuttora in corso, ma vale la pena ricordare che la sospensione è arrivata dopo mesi di riluttanza da parte dei sudanesi a finalizzare l'accordo a causa dell’opposizione della società civile.
La cancellazione da parte del Marocco del Forum del Negev è ora un ostacolo ancora più grave. L'evento era già stato rinviato più volte a causa delle preoccupazioni non solo a Rabat ma anche in molti degli stati arabi partecipanti per l'escalation dei crimini che Israele commette in Cisgiordania. L'ultimo assalto a Jenin, unito allo spudorato annuncio israeliano del via libera alla costruzione di migliaia di nuove unità abitative nei territori occupati, è stato alla fine troppo per il Marocco.
L’annuncio ha fatto seguito anche alla ferma condanna dell'Arabia Saudita dell'attacco israeliano a Jenin e altrove in Cisgiordania. Martedì il regno wahhabita ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna “... l'escalation israeliana nei territori palestinesi occupati, l'ultima delle quali è stata l'aggressione alla città di Jenin”. La dichiarazione proseguiva sostenendo che “Il Ministero (degli affari esteri) afferma il totale rifiuto da parte del Regno delle gravi violazioni commesse dalle forze di occupazione israeliane...”.
Queste parole non si addicono decisamente a un paese in procinto di firmare un accordo di normalizzazione con Israele. Piuttosto, esse ricordano da vicino gli avvertimenti rivolti dagli USA a Israele poco prima delle operazioni a Jenin. Gli Emirati Arabi Uniti, da parte loro, si sono detti anch’essi “imbarazzati da Israele” e il Marocco ha espresso la stessa opinione all’amministrazione Biden nei giorni scorsi, prima cioè della cancellazione della riunione del Forum del Negev.
L'assistente del segretario di Stato americano per gli affari del Vicino Oriente, Barbara Leaf, che era in visita in Israele quando il governo di Netanyahu ha deciso di lanciare l'attacco a Jenin, aveva ribadito l'avvertimento dell'amministrazione Biden, secondo cui gli Stati Uniti stavano affrontando seri ostacoli nell'espansione degli accordi di Abramo a causa del comportamento di Israele. Netanyahu, tuttavia, ha proceduto con la più massiccia operazione a Jenin degli ultimi vent'anni. Il tutto mentre Barbara Leaf si trovava in Israele, trasformando l’operazione in un affronto diretto e deliberato al Dipartimento di Stato americano.
La debolezza e l’inettitudine dell'amministrazione Biden fanno in modo che Washington continuerà a sopportare gli insulti israeliani e a lavorare a beneficio dello stato ebraico nonostante tutto. Con buone ragioni, Israele crede di potere agire liberamente e la Casa Bianca si assicurerà comunque i risultati della normalizzazione tra Tel Aviv e il mondo arabo. Israele può avere ragione in merito agli Stati Uniti, ma il proprio comportamento ha già spento gran parte dell'entusiasmo degli stati arabi per la normalizzazione dei rapporti. Questi ultimi comprendono, a differenza di Stati Uniti e Israele, che i palestinesi non potranno essere ignorati.
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