Fine del golpe, o della “trattativa sindacale”, tra Prigozhin e il Cremlino. In appena dodici ore la speranza occidentale di un crollo catastrofico della Russia – o quantomeno del suo attuale gruppo dirigente – si è accesa e spenta. Ed è stato certamente uno spettacolo interessante vedere tanti “liberali” entusiasmarsi e tifare per un “bandito” – un “macellaio”, ecc. – solo perché sembrava potesse essere la loro soluzione per una situazione diventata palesemente negativa.
Poche ore prima, infatti, sia i vertici del Pentagono che lo stesso Zelenskij, avevano ammesso che la “grande controffensiva” non aveva avuto alcun successo. E praticamente la si poteva considerare archiviata, come prova provata dell’impossibilità di una “vittoria” occidentale in Ucraina.
La “botta di testa” di Prigozhin sembrava perciò una classica “carta di riserva”, dopo un sontuoso “contratto” per portare l’amministratore delegato della principale compagnia militare privata russa sotto le bandiere dell’Occidente.
Sembravano andare in questo senso anche numerose dichiarazioni dello stesso Prigozhin, praticamente ricalcate sui leit motiv della propaganda di Kiev e della Nato (tipo “in Ucraina non ci sono nazisti”, che non fa neanche ridere, visto il numero sconfinato di svastiche e rune tatuate ed esibite dai combattenti ucraini).
Ma era apparso subito chiaro che il putsch della Wagner poteva avere successo solo se gran parte dei vertici militari russi fosse stato “complice” o almeno orientato a sostituire Putin e il suo gruppo dirigente. Altrimenti, nel mondo militare contemporaneo, le avventure delle “compagnie di ventura” hanno le stesse possibilità di un “sei” al superenalotto.
È bastato minare qualche metro dell’autostrada che porta da Voronez a Mosca per fermare la “cavalcata delle valchirie” dei “musicisti”. Da lì in poi tutto si è sgonfiato come neve al sole di questi giorni.
La “mediazione” di Lukashenko è stata così rapida ed efficace da sembrare più che attesa dallo stesso Prigozhin. Che ha infine annunciato la fine del suo “assedio” e l’inversione di marcia della Wagner. Giustificando in modo assolutamente “imprenditoriale” (o sindacale) la sua “botta di testa”:
“Stavano per smantellare la PMC Wagner. Siamo usciti il 23 giugno alla Marcia della Giustizia. In un giorno abbiamo camminato fino a quasi 200 km di distanza da Mosca. In questo tempo, non abbiamo versato una sola goccia di sangue dei nostri combattenti. Ora è arrivato il momento in cui il sangue potrebbe scorrere. Ecco perché, comprendendo la responsabilità di versare il sangue russo da una delle parti, stiamo facendo tornare indietro i nostri convogli e rientrando nei campi secondo il piano“.
La cosa più importante da notare è però la seguente:
L’intera giustificazione originale dichiarata da Prigozhin per la marcia e la presa di Rostov era che “il suo campo era stato attaccato” da missili, artiglieria ed elicotteri russi. Con tanto di foto e video di combattimenti furiosi, ma impossibili da collocare in un qualsiasi punto del fronte.
Nella sua dichiarazione di “semi-resa”, invece, sembra aver cambiato completamente idea e la ragione dichiarata per la marcia è che Wagner sarebbe stata completamente sciolta dal Ministero della Difesa russo il 23 giugno.
Diversi analisti occidentali, ieri, ricordavano che il padrone della Wagner si era rifiutato di firmare il rinnovo del contratto con il Cremlino, probabilmente sotto pressione per un ultimatum da parte del Ministero della Difesa.
Sparite completamente le “numerose vittime” dei presunti combattimenti con l’esercito regolare. Dimenticati i “sette elicotteri” – o aerei, secondo altre versioni – abbattuti dai “musicisti”.
L’”avanzata” verso Mosca è stata tollerata e accompagnata senza scendere sul piano del confronto militare. Alcuni video mostrano addirittura mezzi della polizia che fiancheggiavano il corteo di camion della Wagner. Cosa che poteva essere sia un segno della “popolarità” di Prigozhin tra i militari russi, oppure un modo di fargli capire che non c’era “trippa per gatti”.
O addirittura che il convoglio, guidato da Utkin, il vice di Prigozhin, doveva semplicemente portare il suo “portavoce” a una trattativa certo complicata.
Poi la svolta. Il portavoce di Putin, Peskov, ha spiegato che tutte le accuse penali saranno ritirate contro Wagner e che Prigozhin ha accettato un accordo per essere “esiliato” in Bielorussia, dove la parte della Wagner che ha preso parte attiva alla “marcia” lavorerà al confine tra Polonia e Bielorussia.
I restanti membri di Wagner che non hanno preso parte al putsch saranno invece arruolati direttamente nelle forze armate russe.
L’obiettivo più alto, ha detto lo stesso Peskov, era quello di evitare spargimenti di sangue e scontri interni, e gli sforzi di Lukashenko erano in nome di questi obiettivi. Per dare con più forza il senso della vittoria totale Peskov ha detto che non è previsto un nuovo discorso di Putin nel prossimo futuro.
La Wagner viene di fatto sciolta. “Alcuni di loro firmeranno contratti con il Ministero della Difesa, se lo desiderano. Questo vale per le unità che non hanno preso parte all’ammutinamento. Per quanto riguarda il resto dei combattenti, nessuno li perseguirà in considerazione dei loro meriti al fronte. Abbiamo sempre rispettato le loro imprese”.
Soprattutto “Questo non influirà in alcun modo sul corso dell’operazione speciale (SMO). La SMO continua, i nostri combattenti in prima linea stanno dando prova di eroismo, stanno respingendo il contrattacco delle Forze Armate dell’Ucraina in modo molto efficace. E l’operazione continuerà”.
Vedremo presto come e quanto la crisi sia stata “salutare” per il gruppo dirigente russo (una interpretazione suggerita da analisti statunitensi che sia stata fondamentalmente uno “sfogo” per tensioni o ambizioni diverse tra gruppi di potere interni), oppure un segnale di debolezza. I nostri “russologi” sono al lavoro e presto ci forniranno qualche ragionamento più attendibile.
Quel che appare invece certo fin da ora è che la “narrazione” occidentale nella giornata di ieri ha dovuto fare numerosi testacoda, passando attraverso versioni completamente opposte, e rivelandosi una volta più tristemente al servizio delle speranza guerrafondaie della Nato.
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