All’inizio degli anni ’10, quando le sinistre avevano imboccato una parabola discendente ancora oggi senza ritorno, Forza Italia era, nelle analisi dei flussi elettorali, il primo partito operaio del paese. Lascerà poi il testimone della rappresentanza operaia al Movimento 5 Stelle, poi alla Lega e infine a Fratelli d’Italia.
Questo per dire che con Berlusconi, la classe operaia identificabile come tale – di cui già dagli anni ’70 la componente più ribelle e intuitiva della sinistra ne aveva colto la fine della centralità nei processi produttivi – aveva subito non solo ristrutturazioni economiche e una catastrofe culturale, ma anche uno sconvolgimento nel posizionamento sull’asse politico.
E questo nonostante le enormi proteste di piazza, sull’articolo 18, quelle con fiumi di persone a perdita d’occhio, dirette dalla CGIL, nonostante che la crescita della Berlusconi economy (la filiera edilizia, comunicazione, sanità privata) sia stata decisamente postoperaia e che, nello stesso periodo, la contrazione strutturale del PIL e la deindustrializzazione in Italia si siano semplicemente sovrapposte.
Se c’è un dato, quindi, che spiega bene la rivoluzione conservatrice nel nostro paese, operata dal fenomeno Forza Italia, è quello dello spostamento del consenso operaio a destra nella profonda trasformazione, sempre da destra, di economia, cultura e società in senso marcatamente conservatore. Non solo: tanto più l’Italia si deindustrializzava tanto più la classe operaia ristrutturata passava a destra. Un fenomeno che ai giorni nostri ha caratterizzato l’ascesa di Trump ma che ha rappresentato, in Italia, una vera e propria premonizione politica per tutto l’Occidente.
Ma per capire cosa è accaduto torniamo indietro all’autunno del 1980, con la storica sconfitta operaia di ottobre alla FIAT e il lancio, a novembre, di Canale 5. Un passaggio di testimone nel protagonismo politico del paese che all’epoca non tanto fu inavvertito ma semplicemente improponibile.
Con la fine degli anni ’70, infatti, almeno tre fattori in Europa si erano manifestati come protagonisti della nuova decade: la rivoluzione microelettronica, l’estensione delle reti televisive e la mutazione del paradigma economico da industriale a postindustriale. I partiti operai in Europa, e a maggior ragione in Italia, erano strutturati ancora secondo le regole imposte dal fordismo. Il berlusconismo, all’inizio lontano dalla politica, basato sul solo business dell’intrattenimento, ha finito per fare da testa d’ariete alla politica postfordista: consenso raccolto attorno al simbolico mediale dell’intrattenimento, capo carismatico, partito leggero che serve solo a eseguire le direttive del vertice.
Prima severa lezione, divenuta evidente con la discesa in campo del 1994: se cambiano tecnologia, comunicazione e paradigma economico cambia la società e muta il modo di fare politica. Berlusconi rappresenta l’uso carismatico e pastorale di questa mutazione della politica grazie alla televisione. Una rivoluzione, la forza d’urto necessaria per prendere il potere, il cui aspetto conservatore – i valori dell’Italietta del boom economico – rappresenta il tratto tipicamente berlusconiano di questo processo. Poteva andare diversamente? Si, ma le rivoluzioni vanno cavalcate quando avvengono e Berlusconi l’ha fatto. Di qui almeno quattro lezioni:
- la forza politica è organizzare il tempo libero. Il business dell’intrattenimento, per tutte le fasce d’età, è la spina dorsale per la conquista di una egemonia che da culturale si fa politica, da materia per fatturati stellari diventa strumento di consenso elettorale;
- la forza politica è suscitare spontanee proteste di piazza. Le proteste, di metà anni ’80, contro lo spegnimento, a opera della magistratura, delle tv berlusconiane erano chiaramente il segno di una mutazione antropologica che si è fatta poi politica. Qui siamo a Gramsci a Cologno Monzese, una lezione mai appresa e mai raccontata da nessuna controinchiesta;
- la forza politica è l’organizzazione del simbolico dello sport. Il Milan come strumento di promozione simbolica dell’azienda berlusconiana prima e del modello politico di Forza Italia poi. A differenza dell’organizzazione dello sport di base da parte dei partiti di massa qui si organizza una squadra professionistica e la si eleva a modello del fitness e del vivere. George Mosse a San Siro e in diretta globale, questo sconosciuto all’antropologia politica;
- la forza politica è il modello leninista rovesciato nella rivoluzione conservatrice. Dal giornale al partito, dalla Pravda al partito bolscevico, qui viene reinterpretato in un “dal gruppo editoriale al partito”, da Mediaset a Forza Italia. In questo modo la politica si intreccia, e da destra, con le mutazioni del mondo postfordista.
Nelle sinistre, molto differenti tra loro, al massimo ci si è adoperati nella denuncia degli effetti collaterali della rivoluzione conservatrice berlusconiana (corruzione, mafia, tangenti, scandali sessuali, uso autoritario della politica e della piazza) mentre la solita letteratura dell’inautentico, quella sui media come crepuscolo della civiltà, aiutava a non capire il fattore costitutivo, persino dionisiaco di questo potere. Di lì le severe lezioni, per le varie sinistre, mai metabolizzate. E, non a caso, dalla mancata recezione della lezione della rivoluzione conservatrice in Italia, sono arrivate le lezioni grilline, leghiste e di Fratelli d’Italia.
Quando tecnologia, media e paradigma economico cambiano anche la politica deve farlo. Altrimenti la fine è quella degli Amish, come sta accadendo oggi, ovvero comunità di un’altra epoca recintate su un pianeta in continua mutazione. Chi, invece, ha cavalcato, come rivoluzione conservatrice, queste mutazioni ha fatto presa sul mondo.
Armin Mohler, autore chiave del filone della Konservative Revolution in Germania pensava che la reazione contro la tecnica desse spazio a quel genere di movimento culturale e politico. La rivoluzione conservatrice in Italia ci ha mostrato che questa può avvenire con un uso consapevole, e declamato, della tecnica stessa. Una lezione quindi, anche per la destra.
Con la morte di Berlusconi si celebra la piena egemonia della rivoluzione conservatrice in Italia. Se la segretaria del principale partito avversario aderisce senza riserve alla celebrazione di questa egemonia tramite rito funebre medialmente ossessivo, se non è in grado di pronunciare una contronarrazione, se balbetta formule che finiscono per lasciarla nelle mani di chi, in quel momento, il pallino della storia lo detiene davvero, significa che l’ora più alta dell’egemonia è suonata. Vedremo il seguito.
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