Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

21/06/2023

Incognite giapponesi

di Guido Salerno Aletta

A Tokyo il problema non è la moneta scarsa, oppure i tassi di interesse troppo alti, e neppure il debito pubblico gigantesco ed il costoso servizio che ne deriva alimentando la rendita, né c'è un problema di speculazione finanziaria: è un sistema che vive di mercantilismo, che produce per vendere all'estero per arricchirsi, che si confronta con la realtà, con l'economia reale, con la domanda globale.

Ai tempi della Grande Crisi Finanziaria americana, nel 2008, la Cina lo capì subito che non poteva fidarsi solo della domanda internazionali e dell'export: doveva sviluppare il mercato interno. Non fu altrettanto lucida la Germania, che dopo la crisi dell'Eurozona nel biennio 2011-2012 impose una drastica austerità con il Fiscal Compact: l'unico suo obiettivo era salvare l'euro, la moneta "debole" che le aveva consentito di aumentare a dismisura il suo export accumulando un posizione finanziaria netta superiore ai duemila miliardi di euro in vent'anni. Non potendo vendere all'Europa, messa a dieta, si rivolse alla Cina che è diventata così il suo primo partner commerciale, superando gli stessi Usa. Con il gas russo a prezzi di favore, era un piano imbattibile.

Il Giappone è la terza economia del mondo, dopo Stati Uniti e Cina, davanti alla Germania. Ma non ha cambiato indirizzi strategici, dal 2008 in avanti, se non adottando la Abenomics, la rivoluzione monetaria che ha portato a zero il costo degli interessi sul colossale debito pubblico, detenuto per la gran parte dalla Banca del Giappone (BoJ). Il modello, assolutamente non convenzionale, prevedeva il reimpiego all'estero dei saldi commerciali attivi, investendo soprattutto in titoli del Tesoro statunitense: la liquidità in dollari non veniva dunque cambiata in yen facendone salire il tasso di cambio. Da un lato si manteneva la competitività di prezzo delle merci esportate e dall'altra si incassavano i dividendi pagati sui Treasury. Questo sistema è andato avanti senza intoppi fino al 2019.

Il fatto è che, oggi, il Giappone è l'unico Paese del G7 che non ha ancora recuperato la flessione dell'economia dovuta al biennio di pandemia.

Espresso in dollari, il PIL del Canada è stato di 2.140 miliardi nel 2022 rispetto ai 1.744 miliardi del 2019, il PIL della Francia di 2.784 miliardi rispetto ai 2.729 miliardi, quello della Germania di 4.075 miliardi rispetto ai 3.889 miliardi, l'Italia stessa ha recuperato a 2.012 miliardi rispetto ai 2.011 miliardi, la Gran Bretagna è arrivata a 3.071 miliardi rispetto ai 2.859 miliardi e gli Usa a 25.464 miliardi rispetto ai 21.381 miliardi.

Il Giappone ha fatto peggio di tutti: mentre nel 2019 il suo PIL era stato di 5.188 miliardi di dollari, nel 2022 è stato 4.234 miliardi e per l'anno in corso è stimato in 4.410 miliardi. La distanza dalla Germania si è andata riducendo violentemente, visto che il PIL di quest'anno è previsto a 4.309 miliardi: appena 101 miliardi di differenza ancora a favore di Tokio, quando erano 1.229 miliardi nel 2019.

Certo, sono valori del PIL espressi in dollari correnti, dove gioca molto l'inflazione, ma in termini reali la situazione non è diversa: la Germania aveva nel 2019 un PIL di 3.242 miliardi di euro, arrivati a 3.261 miliardi nel 2022; il Giappone aveva un PIL di 5.525 miliardi di yen ridottisi a 5.460 miliardi nel 2022.

La BoJ aveva sorpreso tutti a fine dicembre scorso, quando decise di modificare la soglia di tolleranza nell'oscillazione dei rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni, ampliandola dallo 0,25% allo 0,5% (rispetto al margine precedente, tra il -0,25% e lo 0,25%): si lasciava immaginare che i tassi di interesse a lungo termine sarebbero aumentati ulteriormente. Sembrava l'avvio di un'inversione di tendenza delle politiche estremamente accomodanti decise dal Governatore Haruhiko Kuroda, che si era sempre mosso in piena sintonia con la strategia di Shinzo Abe. Nonostante l'inflazione al livello più alto in quarant'anni, al 3,6% , la politica monetaria rimaneva generosissima, con il tasso sempre negativo del -0,1%.

C'è di vero che questa decisione della BoJ ha mosso il mercato: per un verso, la valuta nipponica ha preso a svalutarsi fortemente su quella statunitense, passando da 128 yen per 1 dollaro di metà gennaio scorso a 142 yen di questi giorni; per l'altro, la Borsa di Tokyo ha messo a segno una performance notevole passando dai 25.700 punti di inizio gennaio ai 33.700 punti di metà giugno.

Da una parte, la debolezza dello yen è derivata dalla delusione per i rendimenti interni troppo bassi, essendo aumentato continuamente il differenziale tra i tassi della Fed e quelli della BoJ; dall'altra, si era formata l'idea di una forte ripresa degli investimenti industriali interni per fronteggiare le diverse sfide strategiche.

Ancora il 16 giugno, la BoJ ha sostanzialmente confermato la sua tradizionale politica monetaria espansiva, sia sui rendimenti negativi a breve, rimasti al -0,1% che sul "tasso zero" a lungo termine guidato dai titoli di Stato a dieci anni (JGB), con una oscillazione compresa tra il -0,5% ed il +0,5%, garantendo l'acquisto al +0,5% dei titoli di Stato offerti in vendita. Ha inoltre confermato gli acquisti in ETF's ed in quote di fondi immobiliari J-REITs.

Uno yen divenuto così conveniente avrebbe dovuto far rimbalzare l'export, ma non è stato così: dopo il rimbalzo del 2021, già il 2022 è stato un anno molto debole ed il 2023 non si preannuncia migliore.

La BoJ ha diffuso i dati sull'andamento dell'export in termini reali. Nel 2021, era aumentato complessivamente del 12,7%, una ottima performance dopo il crollo del 2020. Era andata molto bene con gli Usa, +11,6%; con la Ue, addirittura +14,7%; con l'Asia +13,9%. L'export verso la Cina aveva segnato +11,6%.

Molto meno bene è andata nel 2022, con un aumento complessivo appena dell'1,2%, frutto della media tra Usa +7,4%, Ue +6,5% e Asia -0,6%. Da sole, le esportazioni verso la Cina si erano ridotte del 7,9% in termini reali: le conseguenze per la chiusura a causa del Covid sono state durissime. E la Cina conta molto essendo il principale partner commerciale.

Nel secondo trimestre di quest'anno, le esportazioni in termini reali del Giappone sembravano essersi riprese dopo un primo trimestre decisamente negativo per tutte le aree geografiche (Usa -4,3% rispetto al primo trimestre 2022, Ue -4,6%, Asia -4,2% con la Cina addirittura -6,7%) ma dal mese di maggio le variazioni mensili (m/m) hanno ricominciato ad essere preoccupanti: Usa -4,5%, Ue 0,0%, Asia -2,6% con la Cina al -3,9%. Nel complesso, a maggio rispetto ad aprile, la contrazione è stata del 3,5%.

Per un sistema economico che si basa sulle esportazioni, i veri problemi sono quelli degli altri.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento