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23/06/2023

Il governa “balla”, sul MES ma non solo

La giornata di ieri ha visto il governo entrare di nuovo in seria difficoltà, soprattutto sulla questione MES – il Meccanismo Europeo di Stabilità – che l’Italia non ha ancora ratificato. E meno male, aggiungiamo noi.

Ieri addirittura la maggioranza ha disertato il voto in Commissione Esteri alla Camera, facendo parlare la stampa di “inedito Aventino governativo”. Lo stesso Consiglio dei ministri previsto per ieri è stato rinviato a martedì, per “sopraggiunti impegni personali” di Giorgia Meloni.

La ratifica del MES da parte dell’Italia deve passare al vaglio dei pareri delle altre commissioni prima di approdare alla Camera il prossimo 30 giugno.

Proprio in quella data la Meloni sarà a Bruxelles per il Consiglio europeo – che si annuncia come un passaggio pericoloso per il centrodestra. Da Bruxelles si guarda “con attenzione al dibattito italiano”, fanno sapere fonti europee, e non è un mistero che alla fine ci si attenda la capitolazione del governo italiano alla ratifica del MES. Una parte della maggioranza sembra ormai rassegnata nonostante le resistenze di questi anni, un’altra parte punta i piedi e potrebbe generare sorprese al momento del voto.

I rappresentanti della maggioranza ieri non si sono presentati in commissione Esteri alla Camera, dove il testo del disegno di legge per la ratifica del MES è stato approvato da PD, Azione e Italia Viva con l’astensione del M5S e Verdi/Sinistra.

A giudizio del ilSole24Ore, il governo, ieri si è tenuto lontano dalla commissione esteri perché altrimenti si sarebbe trovato di fronte a un bivio impossibile: dare un parere favorevole alla ratifica, confermando le indicazioni tecniche esplicite contenute nel documento firmato dal capo di gabinetto del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, oppure darne uno contrario aprendo ufficialmente un’altra tempesta italiana in Europa.

La linea di Giorgia Meloni, fino a pochi mesi fa contraria al MES, sarebbe quella di provare ad usare l’adesione al fondo salva stati come uno strumento negoziale con Bruxelles, nella speranza di ottenere una riforma meno rigorosa del Patto di stabilità.

Il leader della Lega Matteo Salvini ha fatto sapere che “Tutto il centrodestra, dalla Meloni al sottoscritto, ha sempre ritenuto che in questo momento il MES non è strumento utile per il Paese. Sul MES decide il Parlamento: se arriverà la discussione in Parlamento, lì si voterà”.

Ma anche ieri il capogruppo leghista Molinari ha ribadito che la Lega non voterà a favore, anche se – come spesso è accaduto – nella votazione del 30 giugno alla Camera potrebbe cambiare repentinamente opinione, specie se le pressioni del ministro dell’economia, il leghista Giorgietti, aumenteranno sui gruppi parlamentari affinché votino a favore della ratifica del MES.

Tra una settimana il governo potrebbe quindi trovarsi nella condizione di dover scegliere se affossare la ratifica del MES, impedendo l’entrata in vigore delle nuove funzioni del cosiddetto Fondo salva Stati, con effetti su tutti i paesi dell’Unione Europea che lo hanno ratificato essendo necessaria l’unanimità.

In questo contesto, la notizia del rinvio del Consiglio dei ministri è un altro segnale di allarme. La riunione avrebbe dovuto decidere sul decreto per la ricostruzione dopo le calamità, con il nodo mai sciolto della nomina del commissario per l’alluvione in Emilia-Romagna, ma anche sulle nuove misure per la sicurezza stradale annunciate con grande enfasi il giorno prima proprio da Salvini.

Ma le fibrillazioni tra Lega e Fratelli d’Italia non sono roba solo di queste ore e non solo sul MES. Prima c’era stata tensione sulle nomine nelle società a controllo statale e sulla Guardia di Finanza. Dietro allo scontro su Andrea De Gennaro a capo della Guardia di Finanza è emersa tutta l’insofferenza della Lega nei confronti di Alfredo Mantovano, il super sottosegretario di Giorgia Meloni e vero e proprio regista occulto della strategia di Palazzo Chigi.

Poi ad aprile c’erano state scintille sui fondi del PNRR. Il 4 giugno il governo ha dovuto mettere la fiducia per far passare il provvedimento. La dipartita di Berlusconi ha privato le due anime più in competizione tra loro – FdI e Lega – di un punto di equilibrio e mediazione.

Infine, solo pochi giorni fa, in Commissione Lavoro al Senato la maggioranza era andata sotto sul Decreto Lavoro presentato dalla ministra Calderone per l’assenza di alcuni senatori di Forza Italia. O meglio, si era andati in pareggio 10 a 10, ma il provvedimento del governo così non poteva passare. Il tutto era stato liquidato come “incidente tecnico”, ma tant’è.

Quello che sta accadendo nel governo non era affatto imprevedibile. La retromarcia della destra sul MES è solo un sintomo di quanto l’ampia gamma di tagliole predisposte dall’Unione Europea sulla scelte dei paesi aderenti, agisca come vincolo esterno. In tutto questo ha gioco facile l’antipatico Calenda nel commentare che “l’urlo della destra contro il MES si è trasformato in un bisbiglio”.

La retorica della Meloni sull’interesse nazionale è andata già a sbattere sul vincolo internazionale sul piano militare facendo da tappetino alla Nato e agli Usa. Adesso con la ratifica del MES sul piano economico si affianca un altro tappetino, questa volta ai piedi di Bruxelles.

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