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20/06/2023

Intelligenza artificiale e guerra: ieri Iraq oggi Ucraina

La discussione italiana sull’invio delle armi in Ucraina è tanto più surreale nel momento in cui, nel dibattito politico ufficiale e non, si parla di una guerra che non esiste più mimando una teatralità di discussione da primo novecento.

Alla fine però la realtà emerge con forza e proprio nei giorni in cui il principale partito del centrosinistra aveva persino pensato, pure riuscendo a implodere al momento della decisione, di non votare i fondi per le munizioni all’Ucraina al parlamento europeo dopo aver votato l’invio delle armi al parlamento italiano.

La realtà porta il nome di Tiburtina Valley, distretto industriale romano, e la notizia è che proprio a Roma si fabbrica, su licenza svizzera, il sistema missilistico Oerlikon Skynex destinato all’Ucraina grazie a un sistema di triangolazioni che, secondo Il Messaggero, rende possibile un tipo di “delocalizzazione che permette di esportare l’arma verso l’Ucraina in guerra senza alcun impedimento”.

Qui ci sono due aspetti da evidenziare: il primo è che sulla procedura delle delocalizzazioni, che permette di esportare sistemi d’arma verso l’Ucraina, il dibattito politico, ufficiale e non, è in assoluto silenzio. Il secondo è che l’Italia non solo fornisce all’Ucraina i carri armati in disarmo, come documentato dai video che circolano sui social, ma partecipa anche ad armare la guerra contemporanea, quella che evolve.

Si tratta della guerra che oggi non è solamente ibrida, nella quale lo scontro sul terreno è solo uno dei fattori che servono per vincere il conflitto, ma che ha anche subito un importante spostamento di asse. Lo spostamento che passa, per vincere il conflitto sul campo, dalla centralità dell’ammassamento e stoccaggio di soldati a quella della circolazione delle informazioni entro i sistemi tecnologici di armi (si veda il volume collettivo Information in War: Military Innovation, Battle Networks, and the Future of Artificial Intelligence, Georgetown University Press, 2022)

Insomma, per vincere la guerra i fattori fondamentali oggi sono due: sincronizzare gli eventi bellici, quelli che avvengono fuori dal campo con gli scontri sul terreno, e spostare l’asse della centralità degli scontri che avvengono a terra dall’ammassamento di truppe alla circolarità e della velocità di informazione entro sistemi tecnologici complessi.

In entrambi i casi, guerra ibrida e centralità della circolazione di informazione, l’intelligenza artificiale gioca un ruolo decisivo che non ha nulla a che vedere con un immaginifico processo di sterilizzazione del conflitto verso una guerra tra macchine. Il ruolo decisivo della AI porta invece verso nuovi, e più devastanti, livelli di distruzione materiale e umana entro una rivoluzione del mondo militare pari a quelle portate dall’invenzione della polvere da sparo e del nucleare.

Non a caso Foreign Policy, proprio durante il conflitto russo-ucraino che rappresenta un salto di qualità in questo genere di conflitto, si chiede come l’allarme su chat gpt, legato al pericolo di distruzione di posti di lavoro a causa dell’intelligenza artificiale, non sia ancora connesso, a livello di opinione pubblica con il pericolo, epocale, delle possibili distruzioni materiali provocate dalla AI nelle applicazioni militari.

Ma quali sono le origini di questa tipologia di conflitto legata all’intelligenza artificiale? Se è vero che gli USA sviluppano AI da settanta anni, se è anche vero che le rivoluzioni tecnologiche degli anni ’10 si sono rivelate decisive per definire la guerra di oggi, niente conta come la “sperimentazione” sul campo. In questo modo ogni guerra assume sia una dimensione propria che quella della sperimentazione per la guerra successiva.

Molto utile su questo tema il libro di Stefka Hristova Proto-Algorithmic War, dedicato alla sperimentazione della AI e delle piattaforme di logistica dedicata alla guerra durante l’occupazione Usa in Iraq. La Hristova ci spiega come l’Iraq abbia rappresentato una grande sperimentazione in larga scala su intelligenza artificiale e logistica del conflitto, trattamento dei dati, evoluzione dei criteri di classificazione ed elaborazione dei sistemi automatici di arma. Va ricordato che l’Iraq per la NSA è stato anche il campo di sperimentazione delle tecniche di sorveglianza di massa della popolazione che si è poi “adattato” al furto, per motivi militari e di mercato, dei dati di 20 milioni di persone in Germania (vicenda conosciuta come scandalo Snowden). Detto questo, l’Iraq, in materia di AI ed evoluzione di strategie e tattiche di guerra, è stato il primo grande terreno della guerra contemporanea: terreno di sperimentazione di nuove tecnologie per risolvere il conflitto e per preparare i conflitti successivi.

Sulla vicenda Snowden in Italia, a suo tempo, si è posato subito il velo del silenzio perché, secondo secondo quanto messo a verbale dal Copasir, “gli americani hanno garantito che non ci sono state violazioni della privacy”. Eppure nonostante l’enormità dei fatti, se guardiamo a uno dei prodotti del laboratorio di guerra iracheno, lo spionaggio di massa di NSA, dallo stesso Snowden scopriamo, in una intervista al Guardian di questi giorni, che il livello di sorveglianza delle popolazioni di allora è “un giocattolo per ragazzi se paragonato alle tecnologie di oggi”.

Quest’evoluzione, in intensità ed estensione, delle tecnologie belliche e di sorveglianza, destinato, come per il caso NSA, a fare il salto di specie per applicazioni civili, ci ricorda il paradigma della guerra nel quale è immersa l’Ucraina oggi come lo era l’Iraq ieri.

Si tratta del paradigma che vuole le tecnologie come strumento di risoluzione del conflitto in corso ma anche come elemento di sperimentazione per quello successivo. Paradigma che opera per sincronizzare gli eventi bellici, quelli che avvengono fuori dal campo, spostare l’asse della centralità degli scontri che avvengono a terra dall’ammassamento di truppe alla circolarità e della velocità di informazione entro sistemi tecnologici complessi.

Come abbiamo visto la guerra iniettata di AI è persino più devastante delle guerre precedenti. Ma la grande novità è che nel momento in cui la AI è protagonista della guerra emerge, tramite il dibattito su chat gpt, la questione delle tecnologie che sfuggono di mano in ambito civile come in ambito militare. Anche qui l’Ucraina oggi, come l’Iraq ieri, è un terreno di sperimentazione. Se la politica vuol metterci mano deve entrare in questa dimensione altrimenti, assieme alla popolazione, può solo subire gli effetti, di breve e lungo periodo, dell’intreccio perverso tra AI e dinamiche di guerra.

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