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25/06/2023

Dazi sulla CO2, beffardi e coscienti

di Guido Salerno Aletta

Come sempre, le strade che conducono all'inferno sono lastricate dalle migliori intenzioni, e le norme europee sono come le ciliegie: una tira l'altra.

È noto l'impegno che l'Unione europea sta profondendo a favore della transizione energetica, per lottare contro il riscaldamento dell'atmosfera ed il cambiamento climatico che ne consegue: bisogna abbattere le emissioni nette di CO2, con l'orizzonte al 2050. L'obiettivo intermedio, nel 2030, prevede di ridurre del 55% le emissioni rispetto al 1990.

Si procede in parallelo: da una parte vengono aumentati i costi di produzione per le attività industriali che maggiormente sono responsabili delle emissioni di CO2; dall'altra ci sono incentivi pubblici per l'adozione di tecnologie innovative, soprattutto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. In prospettiva, si prevede che l'intero ammontare delle “tasse ambientali” sia destinato a finanziare questi incentivi: un sistema virtuoso, si dice, perché non accolla alla collettività oneri netti. Tutto quello che si paga in più con le tasse ambientali ritorna come incentivo alla produzione che impiega sistemi sostenibili.

Sulla base delle migliori tecnologie disponibili, vengono assegnati ai produttori un certo numero di quote gratuite di emissione di CO2: chi rientra in questi parametri, è in regola. Chi produce CO2 in eccesso, deve comprare all'asta e sul mercato altrettante quote di emissione; chi ne produce di meno, può cederle a chi ne ha bisogno per essere in regola. Questo sistema penalizza le produzioni responsabili delle emissioni: più eccedono, più aumentano le quote da comprare e quindi i costi.

Diviene così più conveniente cambiare tecnologie produttiva per rientrare nei limiti. A tal fine ci sono gli incentivi pubblici alla transizione, che vengono finanziati anche con i proventi delle aste dei diritti di emissione di CO2. Le normative che disciplinano il PNRR prevedono una intensità di aiuti pari al 75%: in pratica, sommando le diverse tipologie di contributi e sovvenzioni, questa è l'entità di cui si fa carico lo Stato. Per chi riesce ad aggiudicarsi le gare, è davvero una ottima occasione.

C'è un problema, però: aumentando con questi meccanismi di tutela ambientale i costi di produzione industriale nella Unione europea, si crea un divario rispetto ai prezzi all'importazione dai Paesi che non impongono un analogo sistema. Per un verso si determina un incentivo a delocalizzare gli impianti in quei Paesi, per l'altro si importa la maggiore quantità di CO2 “incorporata”.

Per ovviare a questo inconveniente, l'Unione europea ha introdotto il REGOLAMENTO (UE) 2023/956 del 10 maggio 2023 che istituisce un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere: questo meccanismo, denominato CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism), è una sorta di dazio che si applica alle importazioni, in modo da compensare il maggior costo che grava sulle produzioni europee.

Il fatto è che non tutti i Paesi sono nelle medesime condizioni di partenza: mentre l'Unione europea ha deciso di arrivare alla neutralità delle emissioni nel 2050, l'India si è proposta come obiettivo il 2070. In pratica, noi ci arriveremmo tra 25 anni e l'India tra mezzo secolo: il che vuol dire che noi imporremmo alle importazioni dall'India un costo superiore, quantificato sui nostri obiettivi.

Usiamo il condizionale non solo perché la materia è complessa ed il meccanismo entrerà in vigore solo nel 2026, ma anche perché potrebbe interferire con i principi del WTO, cui sembra che l'India sia intenzionata a ricorrere a tutela della propria produzione.

Non basta: poiché i dazi sono un'entrata propria della Unione europea, e poiché si prevede che tutti i proventi delle tasse ambientali vadano a finanziare gli inventivi alla trasformazione energetica ed alla transizione ambientale, si arriva al paradosso che questi dazi andrebbero a finanziare le industrie europee.

Chi va più veloce nella transizione ambientale si fa finanziare da chi va più lento, costringendolo ad accelerare.

Ribaltando il paradigma tradizionale della globalizzazione, che vedeva favoriti i Paesi con i più bassi costi di produzione, tra cui quelli energetici e del lavoro, adesso sarebbero favoriti quelli con i costi ambientali più elevati che vengono imposti a tutti attraverso i dazi.

Una nuova forma di guerra economica è in corso, usando come arma la tutela ambientale.

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