L’incontro avvenuto lo scorso 17 giugno a Teheran tra il presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi e il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, il principe Faisal bin Farhan, ha fatto correre un brivido lungo la schiena alle autorità israeliane.
È bene ricordare che Arabia Saudita e Iran già a marzo avevano annunciato di aver raggiunto un accordo, mediato dalla Cina, per ristabilire le relazioni diplomatiche dopo sette anni di assenza di legami formali.
Secondo quanto riferito da fonti saudite, i colloqui tra il principe Faisal e il presidente Raisi si sono concentrati sulla “revisione delle relazioni bilaterali e sull’esplorazione di vie per rafforzare ed ampliare la cooperazione in vari settori”. I due hanno anche scambiato opinioni “sulle recenti evoluzioni nella situazione regionale e internazionale”, sottolineando “gli sforzi in corso in tali ambiti”.
Ma l’Iran ha anche colto l’occasione per dichiarare che “Solo i nemici dell’Islam, guidati dal regime sionista (Israele), sono infastiditi dai progressi nella cooperazione bilaterale e regionale tra Iran e Arabia Saudita”, secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa statale iraniana Irna.
Raisi ha anche espresso la sua opposizione agli sforzi volti a normalizzare le relazioni diplomatiche tra i paesi arabi con Israele, affermando che “La normalizzazione delle relazioni con Israele non solo non promuove la sicurezza, ma va anche contro le opinioni della Umma islamica”. Aver evocato la Umma islamica non è un dettaglio, soprattutto per due paesi protagonisti storici della sua divisione tra sunniti e sciiti che risale al tempo dell’ultimo dei quattro califfi eredi di Maometto – Alì – ucciso nel 661 d.c.
Nei giorni scorsi, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha tenuto una riunione sulle “prove di guerra” del suo gabinetto di sicurezza in un bunker “mentre le comunità nel nord di Israele stanno preparando rifugi per un conflitto a lungo termine e i militari stanno facendo gli straordinari su un nuovo sistema laser per intercettare i razzi. Il loro obiettivo è l’Iran e le sue ambizioni nucleari”, scrive l’esperto srategico israeliano Gabriel Barouch.
L’Iran in questi mesi è uscito dall’isolamento diplomatico, ha rafforzato un’importante alleanza militare con la Russia, dalla quale ha cercato un sistema di difesa aerea, ha ripristinato i rapporti diplomatici con l’Arabia Saudita.
Tutti questi sviluppi, uniti alla crisi politica in Israele innescata dai tentativi di Netanyahu di modificare le leggi in materia di giustizia, hanno spinto il governo di israeliano a lanciare avvertimenti quotidiani, facendo sapere a tutti che non esiterà ad agire, anche da solo, contro l’Iran.
Un effetto del riavvicinamento iraniano-saudita, secondo diversi funzionari israeliani, è che gli Stati Uniti, che si sentono spodestati dal ruolo della Cina in Medio Oriente, hanno intensificato i propri sforzi per riconciliarsi con Riad e il suo riottoso principe ereditario Mohammed bin Sallman, quello che Biden voleva rendere un “paria internazionale”.
Questo tentativo di riavvicinamento potrebbe aiutare Israele nel suo obiettivo di avviare ufficialmente le relazioni diplomatiche con l’Arabia Saudita. Ma i rapporti tra Riad e Washington appaiono tutt’altro che subalterni come avveniva in passato. La guerra in Ucraina e lo scossone impresso alle relazioni internazionali stanno producendo un’onda lunga che è arrivata anche in Medio Oriente.
Lo scorso autunno, Biden aveva detto che ci sarebbero state “gravi conseguenze” per l’Arabia Saudita che aveva deciso di tagliare drasticamente la produzione di petrolio. Di recente l’Arabia Saudita ha ribadito la sua decisione di tagliare la produzione petrolifera.
Secondo documenti riservati ottenuti dal Washington Post, il principe saudita Mohammed bin Salman ha minacciato apertamente gli Usa di “alterare” la decennale relazione con Washington e di imporre costi economici significativi agli Stati Uniti in caso di ritorsioni per il taglio alla produzione di greggio. Un atteggiamento del genere verso Washington, egemone da decenni in Medio Oriente, non sarebbe stato concepibile prima della guerra in Ucraina, rivelatasi un’inaspettata ancora di salvezza per Riad.
Sia Israele che Washington considerano l’accordo saudita-israeliano – nel contesto del cosiddetto “Accordo di Abramo” voluto da Trump – un tassello chiave per scoraggiare l’Iran da qualsiasi attacco diretto contro Israele.
Ma l’irrisolta questione dell’occupazione israeliana della Palestina è tornata ad emergere sia nelle relazioni regionali in Medio Oriente sia a livello internazionale (vedi il viaggio di Abu Mazen in Cina).
Le stesse autorità saudite hanno affermato pubblicamente che uno Stato Palestinese indipendente – che Israele continua a impedire materialmente – è una precondizione.
Il ministro degli esteri saudita Faisal bin Farhan ha dichiarato: “Pensiamo che la normalizzazione sia nell’interesse della regione, che porterebbe vantaggi significativi a tutti. Ma senza trovare una via verso la pace per il popolo palestinese, senza affrontare questa sfida, qualsiasi normalizzazione avrà benefici limitati. Pertanto penso che dovremo continuare a concentrarci sulla ricerca di un percorso verso una soluzione a due stati, sulla ricerca di un percorso che dia dignità e giustizia ai palestinesi”.
Il Times of Israel ha commentato che “Forse i sauditi non vogliono davvero normalizzare i rapporti con Israele e usano i palestinesi come pretesto” ed ancora più duramente che “L’affermazione dell’Arabia Saudita di voler conseguire una soluzione a due stati per dare ai palestinesi “dignità e giustizia” non è altro che un trucco da circo”.
Gli Stati Uniti e l’Iran hanno smentito le recenti notizie secondo cui stanno esplorando un nuovo accordo nucleare, anche se l’Iran ha dichiarato questa settimana che i due paesi erano vicini a un accordo sullo scambio di prigionieri tra agenti dei servizi iraniani e agenti dei servizi statunitensi detenuti.
“L’accordo saudita-iraniano sta aiutando gli iraniani a sentirsi più forti”, ha commentato con preoccupazione un ex consigliere per la sicurezza nazionale israeliana. “Gli iraniani stanno dando i soldi, l’addestramento, le istruzioni e le armi per spingere Israele in uno scontro su più fronti”.
Netanyahu ha respinto la posizione degli Stati Uniti sull’Iran, dichiarando a Sky News che “la diplomazia può funzionare solo se combinata con una minaccia militare credibile”.
L’Agenzia Internazionale per l’energia atomica (AIEA), ha recentemente rilevato negli impianti nucleari iraniani una piccola quantità arricchita a livelli di purezza dell’84%, leggermente al di sotto del grado del 90% utilizzato a fini militari. Alla fine di maggio, l’AIEA ha minimizzato il tutto, accettando la spiegazione dell’Iran, secondo cui si trattava di un sottoprodotto accidentale.
È evidente a tutti come un attacco israeliano all’Iran potrebbe sconvolgere i mercati petroliferi già in fibrillazione sui prezzi e trasformarsi in una conflagrazione regionale, coinvolgendo anche stati come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, nonché le rotte marittime attraverso il Golfo. Potrebbe poi innescare un massiccio contraccolpo per Israele, anche da parte di Hezbollah, della Siria e delle organizzazioni palestinesi.
E Israele non è mai stata tanto isolata in Medio Oriente fin dai primi anni Settanta. Gode indubbiamente di relazioni e complicità consolidate con Stati Uniti ed Unione Europea, ma mezzo secolo di tentativi di legittimarsi nella regione mediorientale sembrano essere falliti in pochi mesi. L’aria che tira nel mondo è cambiata, anche da quelle parti.
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