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18/06/2023

In Cina, zero inflazione

di Guido Salerno Aletta

È difficile crederlo: ma a maggio scorso, in Cina, l'inflazione dei prezzi al consumo è stata appena dello 0,2% rispetto ad un anno fa. Vero è che, a partire dal secondo trimestre del 2022, il controllo ferreo delle attività sociali volto ad evitare la diffusione del Covid aveva fatto congelare il PIL, portando la crescita annua dal 4,8% registrato nel primo trimestre del 2022 allo 0,4% del secondo trimestre, determinando anche un forte calo dei prezzi alla produzione.

C'è un altro aspetto da considerare: in questi anni, la Banca del Popolo Cinese non ha fatto nessuna operazione di immissione di liquidità sui mercati finanziari, ricomprando il debito pubblico come fatto da Fed e Bce con i Qe. Lavora ancora in modo molto tradizionale, attraverso il sistema bancario, aumentando o riducendola liquidità mediante la manovra sul tasso di riserva obbligatoria sui depositi. E, naturalmente, attraverso operazioni di repo, pronti contro termine: offre liquidità in cambio di titoli, per un tempo limitato.

Anche sul versante delle importazioni, non ci sono stati gli aumenti catastrofici dei prezzi che hanno colpito le economia occidentali: i cinesi hanno contratti di acquisto a lungo termine con i fornitori e non passano sulle Borse merci internazionali. Dove giocano fenomeni speculativi difficilmente controllabili.

La Cina si trova quindi in una situazione macroeconomica opposta a quella di Stati Uniti ed Europa, che sono alle prese con una fiammata inflazionistica violenta e duratura, che viene contrastata con manovre monetarie restrittive, riducendo la liquidità bancaria ed alzando i tassi di interesse.

Col rischio, di cui la Fed, la Bce e la BoE sono ben consapevoli, di creare le condizioni per una recessione. Anzi, tecnicamente l'Eurozona lo è già, per avere inanellato due trimestri con segno negativo. In pratica, ci stiamo giocando il rimbalzo economico che avevamo avuto tra la fine del 2021 ed il 2022, che aveva fatto recuperare il livello pre-Covid, del 2019.

A Pechino si cerca di far riprendere l'abbrivio economico, puntando ad una crescita del 5,5% per quest'anno e del 4,2% nel 2024: sarebbe un miracolo, certo. Ma si opera aumentando la liquidità delle banche, avendo ridotto già a marzo dello 0,25% la percentuale di riserva sui depositi, con la liberazione di oltre 70 miliardi di dollari: la Banca del Popolo cinese sta facendo esattamente l'opposto delle Banche centrali in Occidente. Ha un contesto di inflazione zero per i prezzi al consumo, col rischio della deflazione.

C'è un altro aspetto da considerare: il dato delle esportazioni cinesi riflette a pieno la debolezza delle economie mondiali, messe sotto pressione dalle politiche monetarie restrittive per ridurre l'inflazione.

A maggio, le esportazioni cinesi sono diminuite del 7,5% rispetto allo stesso mese del 2022, con un andamento in peggioramento rispetto al calo del 4,5% che si era registrato nel mese di aprile rispetto allo stesso mese del 2022. La crescita non può dunque contare sulla dinamica della domanda estera.

La produzione industriale cinese sembrava reagire positivamente, ma poi ha perso slancio: in maggio è cresciuta del 3,5% rispetto allo stesso mese del 2022, mentre ad aprile aveva fatto molto meglio con il +5,6%. Le vendite al dettaglio hanno mostrato una analoga dinamica di rallentamento, con il +12,7% a maggio rispetto al +18,4% di aprile.

Pare davvero strano: in un mondo che riteniamo così interconnesso e che dovrebbe girare tutto alla stessa velocità, avendo i medesimi problemi, in realtà ci sono situazioni diametralmente opposte: da noi, in Occidente, inflazione alta e politica monetaria restrittiva col rischio di recessione; in Cina, inflazione a zero e politica monetaria espansiva per pompare la crescita.

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