di Francesco Dall'Aglio
Mentre si attende l'invasione via terra di Gaza gli animi si stanno un po' raffreddando, anche se a leggere i nostri media non si direbbe, e forse qualcuno sta cominciando a capire che fare esplodere il Medio Oriente non è mai un'ottima idea. Il fatto che la storia dei bambini e delle loro teste sia stata rettificata e definitivamente abbandonata (vedi il tweet di Sara Sidner della CNN) ha sicuramente contribuito.
Ieri, ad esempio, Biden (o chi gli dice cosa dire) ha detto che Hamas è certamente il male, ma che "non bisogna perdere di vista il fatto che la stragrande maggioranza dei palestinesi non ha niente a che fare con Hamas", che è quanto di più vicino a un appello alla calma che un presidente statunitense può fare per quanto riguarda Israele.
C'è poi questo articolo di Bloomberg ancora più esplicito: "mentre Israele si prepara a invadere Gaza, gli USA non vedono alcun piano per quello che verrà dopo - L'amministrazione Biden sostiene Israele ma è preoccupata dei rischi - Timori che il conflitto di Israele con Hamas si espanda all'intera regione".
Timori deve averne anche LLoyd Austin, che ha sentito la necessità di ribadire che "gli Stati Uniti sono il più potente paese del mondo", perfettamente in grado di "proiettare il suo potere" e di rifornire Ucraina e Israele, ossia di "masticare la gomma e camminare allo stesso tempo", una frase che evidentemente gli piace molto visto che l'ha già usata a Bangkok a giugno. E se senti il dovere di ribadire queste cose, significa che l'idea che tu non lo sia più, "the most powerful country in the world", si sta facendo strada in giro.
La Russia, intanto, sta preparando un trappolone diplomatico. Giovedì Putin ha chiarito che la posizione russa è di equidistanza: Israele ha il diritto di difendersi, ma imporre un blocco a Gaza "come a Leningrado" non è accettabile. C'è bisogno, ha detto, di negoziati, della fine degli spargimenti di sangue e della creazione di una Palestina indipendente "in accordo alle risoluzioni delle Nazioni Unite". Ha anche detto, e mi pare che questo sia stato sottolineato poco, che Hamas non parla per tutta la Palestina: e questo, considerando che il presidente palestinese (e dell'OLP) Mahmūd Abbās (o Abū Māzen, se preferite) si recherà a Mosca nel prossimo futuro, mi pare una cosa interessante.
Il trappolone non è questo, ad ogni modo. Venerdì la Russia ha cominciato a far circolare al Consiglio di Sicurezza dell'ONU una bozza di risoluzione che chiede un cessate il fuoco umanitario e condanna tutti gli atti di violenza contro i civili e tutti gli atti di terrorismo, chiede la liberazione degli ostaggi, libero accesso agli aiuti umanitari e l'evacuazione sicura dei civili in difficoltà. Non è detto che la bozza venga votata, ma è chiaro che la Russia si propone come uno dei mediatori diplomatici per risolvere il conflitto, cosa che nonostante la guerra in Ucraina (della quale nel Medio Oriente, è sempre il caso di ricordarlo, non importa niente a nessuno) è una posizione abbastanza sensata, visti i suoi rapporti con Israele e col mondo arabo, mentre gli USA sono incatenati alla loro politica di sostegno totale a Israele, oltre che alla loro ostilità all'Iran.
La Cina si associa e rilancia: il ministro degli esteri Yang Wu, in un incontro con Borrell, ha chiarito che la posizione cinese è che sia Israele che la Palestina hanno il diritto di esistere, che la questione palestinese si è trascinata per troppo tempo e va risolta pacificamente.
Già, Borrell. In tutto questo macello, l'unica voce che non si sente è quella dell'Unione Europea, al di là dello squittio di von der Leyden che, anche questo andrebbe ricordato, è la presidentessa della Commissione Europea ma non è il capo dell'UE: e a Bruxelles, scrive il Financial Times, "c'è un po' di nervosismo", e il timore che la sua visita a Tel Aviv sia vista dagli arabi come un appoggio a operazioni militari che porteranno, e hanno già portato, a molte vittime civili.
Questioni ucraine: oggi è stato annunciato il termine dei lavori sul ponte di Crimea. Aspettiamoci a breve qualche altra esplosione. Intorno ad Avdiivka si combatte ferocemente: sarà una cosa lunga e complicata, e se è vero che è molto più piccola di Mariupol o Bahmut è molto più fortificata, per cui pare abbastanza chiaro che il piano sia di circondarla tagliando le vie di rifornimento. La cosa non piace all'esercito ucraino, che ovviamente resiste.
La notizia più interessante però è l'intemerata apparsa sul canale Telegram di Oleksij Arestovyč (lo trovate anche su Facebook), ex-consigliere di Zelensky caduto in disgrazia tempo fa ma voce attivissima e non del tutto allineata, che ha sparato a zero su tutto, dall'organizzazione militare alla "incompetenza dei politici", concludendo che l'unica speranza per il paese sono le elezioni (alle quali si candiderà), perché "non ci sarà nessuna frontiera del '91, nessuna Crimea nel prossimo futuro, ma ci saranno combattimenti difensivi, sangue, sudore, lacrime".
Aspetto le reazioni.
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