Dopo 10 giorni di discussioni a Dubai, si sta chiudendo con un grande fallimento la ventottesima conferenza delle Nazioni Unite sul Clima (COP 28). D’altronde, in casa di un petroliere, chi si aspettava che una conferenza sul clima potesse andare bene?
La prima risoluzione partorita ieri è stata bocciata da una larga parte dei partecipanti, compresa l’Unione Europea e gli Stati Uniti, allungando così i tempi previsti per la chiusura dei tavoli. Analizzeremo oggi la nuova bozza ma nonostante la speranza sia l’ultima a morire, le fila di questa conferenza sembrano già ben delineate purtroppo.
Nonostante ormai le soluzioni siano alla portata di tutti, le decisioni continuano a non essere prese seriamente, con buona pace di alluvioni, desertificazione, uragani e quant’altro, e a pagarne le spese saranno sempre i poveri del mondo, e coloro che nasceranno e cresceranno in un mondo sempre più rischioso e cagionevole.
Speravamo di sbagliarci, ma anche questa volta abbiamo assistito alla dimostrazione che ambiente e clima non sono prioritari nelle agende politiche degli Stati, e che ogni azione a favore dell’ambiente deve comunque garantire la continuità del profitto prima di tutto.
Siamo ad un punto in cui il mondo scientifico non si divide più sul dire chiaramente quali sono le cause del cambiamento climatico, e quali siano le azioni necessarie e non più procrastinabili per cercare di mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici, ossia:
a) ridurre le emissioni clima-alteranti;
b) diminuire i consumi;
c) convertire l’energia da fonti fossili a fonti rinnovabili.
In altre parole investire prepotentemente sull’ambiente, emarginare chi fino ad oggi ha tratto profitti sull’estrazione uso e consumo dei combustibili fossili e rinunciare a quel margine di profitto privato che ha sorretto fin’ora le grandi compagnie petrolifere.
Durante i primi giorni della conferenza tantissimi capi di Stato si sono riempiti la bocca con grandi enunciazioni ambientaliste, ma quando è ora di tirare le fila e di passare dalle parole ai fatti, iniziano tutti a giocare a nascondino.
Anche Giorgia Meloni, con le sue dichiarazioni e i suoi appelli ad essere più pragmatici e meno ideologici, non ha fatto una bella figura quando a fronte delle sue frasi di propagandaha snocciolato il piano di investimenti per il clima dell’Italia scoprendo che non solo non ridurrà, ma non è nemmeno sufficiente a mantenere l’attuale livello di inquinamento!
Nel rapporto annuale di Germanwatch realizzato in collaborazione con Legambiente infatti, l’Italia è scesa di 15 posizioni come livello di inquinamento, finendo al 44esimo posto (solo 5 posizioni in più rispetto, ad esempio alla Cina, Paese decisamente più esteso e con un apparato produttivo più grande del nostro).
Ci si può accordare sui grandi principi, sull’obiettivo di investire un po’ di più sulle energie rinnovabili, sul disboscare un po’ meno... ma non sul petrolio! Lo testimonia tra tutti quell’“uscire gradualmente” dalle fonti fossili scritto sulla bozza della risoluzione finale pubblicata ieri, che sta già diventando un “ridurre gradualmente” le fonti fossili.
Una locuzione imposta dai paesi OPEC, grandi protagonisti di questa COP 28 che controllano l’80% del petrolio mondiale, perché non si metta a rischio la possibilità di continuare a estrarre e vendere petrolio. D’altronde pochi giorni fa è stato ben chiarito dalla (finta) gaffe del sultano al-Jaber che ha dichiarato che abbandonare le fonti fossili sarebbe come tornare alle caverne.
Ancora una volta si sfiora il ridicolo quindi, e si evidenzia l’incapacità di prendere decisioni che vadano contro la possibilità di speculare e sfruttare ancora le risorse di un Pianeta ormai allo stremo, mentre come spiega uno studio Oxfam, crescono le disuguaglianze legate ai cambiamenti climatici: i ricchi inquinano, i poveri e i migranti rimangono i più vulnerabili ai disastri ambientali.
L’unica cosa che questa conferenza è stata in grado di partorire è un fondo mondiale per la gestione delle emergenze derivanti dalle catastrofi ambientali, che saranno verosimilmente sempre più frequenti. Uno strumento senza dubbio indispensabile visto che molti Paesi hanno scarsissima capacità e possibilità economica per affrontare eventi di tale portata, ma assolutamente non sufficiente per mettere in sicurezza l’intera popolazione mondiale.
Tutto ciò che per ora esce da questa COP28 è l’immensa impronta di carbonio che questo evento lascia dietro di sé, grazie alla presenza di una quantità spropositata di jet privati, e la promessa di una prossima conferenza a Baku, in Azerbaijan, che fa parte dell'”Opec più”, gruppo allargato degli esportatori fossili.
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