Le cose stanno precipitando per le “capacità militari” di Kiev.
Da un lato, basta pensare alla fine che stanno facendo le famose “armi di sfondamento” occidentali: i carri Leopard 2A6 che tra gennaio e marzo, prima della “controffensiva”, venivano descritti come un “ariete corazzato” in grado di sfondare le linee russe, come “cunei d’acciaio” (generale yankee Ben Hodges) che avrebbero consentito a Kiev di riprendersi la Crimea.
Carri quale «arma d’attacco ed efficace mezzo di sfondamento»; carri la cui superiorità rispetto al migliore carro russo T-90M era (avrebbe dovuto essere) evidente a tutti...
Oggi sono ridotti a esser schierati longitudinalmente alla linea del fronte e usati come semplice artiglieria fissa da difesa.
Dall’altro, forse anche peggiore è la situazione con la carenza di uomini. Non da oggi si parla dei crescenti problemi di reclutamento della carne da macello ucraina da spedire al fronte; dell’imposizione, dettata a Kiev dai padrini occidentali, di allargare la mobilitazione alle classi d’età dai 17 ai 70 anni; delle diserzioni da parte dei mobilitati che, da un giorno all’altro, senza addestramento, si ritrovano in trincea e non hanno alcuna intenzione di morire per l’arricchimento della banda nazigolpista insediata a Kiev.
Secondo cifre diffuse dal Ministero della difesa russo, dal 24 febbraio 2022 al 1 dicembre 2023 le perdite ucraine sono ammontate a 536.854 uomini morti o non più in grado di combattere, di cui 214.883 uccisi e 62.148 scomparsi. Altri 864.374 messi temporaneamente fuori combattimento: una cifra complessiva che supera i 1.400.000 uomini.
Sinceramente, non sappiamo se tra queste perdite vada ricompresa la “nuova categoria” stilata dai comandi di Kiev: il fatto è che oltre il 10% dei militari ucraini risulterebbe non “ucciso”, ma “morto”. Morto in trincea, ma non per pallottole o schegge nemiche, bensì di infarto.
Ne scrive la russa Argumenty i Fakty (A&F), specificando che in questa categoria rientrano per la maggior parte i mobilitati che hanno superato di gran lunga i cinquant’anni, spediti al fronte senza alcun accertamento di idoneità fisica. Uomini che, in teoria, dovrebbero esser assegnati, al massimo, alle retrovie e che invece vengono mandati in prima linea.
Per loro, la grandissima maggioranza delle diagnosi di morte è “infarto” o “congelamento”, per cui è previsto un compenso minimo alle famiglie: un po’ come, qualche settimana fa, qualcuno sproloquiava sul Fatto quotidiano, ma a soggetti invertiti.
D’altronde, in base ai dati resi pubblici a fine novembre dal consigliere presidenziale ucraino Sergej Leshchenko, l’età media di soldati e ufficiali al fronte è di 54 anni. A dire il vero, alla Duma russa si era parlato di età media delle truppe ucraine di 45 anni, ma, tenuto conto che ci sono anche “reclute” di 62-63 anni, i dati di Leshchenko possono dirsi non lontani dal vero.
Il fatto è che l’obiettivo posto ai distretti ucraini – almeno ventimila reclute al mese in tutto il paese – è difficilmente raggiungibile, anche coi metodi di arruolamento ormai diffusi nelle strade delle città ucraine.
Le statistiche dei distretti, riprese da A&F, parlano di quindicimila arruolati a settembre, undicimila a ottobre e settemila a novembre. Semplicemente: non ci sono più uomini.
Tornando alla questione dell’età e delle cause di decesso, ci si domanda il perché di tale coincidenza di ultracinquantenni e “morte non violenta”. Il fatto è che i militari ucraini di età inferiore ai 35 anni sembrano essere ormai molto rari in prima linea. La maggior parte dei soldati addestrati secondo i programmi NATO sono da tempo caduti in combattimento; altri – e pare siano diverse Brigate – sono tenuti in seconda linea, forse in vista di altre “offensive”.
Oggi, in prima linea, ci sono per lo più gli ultimi mobilitati e poco addestrati. Molti prigionieri ucraini affermano che la maggior parte dei militari schierati in prima linea sono o anziani o alcolisti, insieme a un enorme numero di inabili al combattimento; da qui le forti perdite e le rese in massa.
«I soldati ucraini stanno morendo come mosche», dice a A&F il colonnello della riserva russo Gennadij Alëkhin. Ufficiali russi raccontano non solo del basso morale del nemico, che non desidera combattere, ma anche delle loro cattive condizioni fisiche.
«Molti di loro, semplicemente, non hanno la forza di caricare le artiglierie con proiettili pesanti, o di correre un paio di centinaia di metri sotto il fuoco. Si siedono in posizioni non fortificate e sparano in aria».
È cresciuta la mortalità non in combattimento; i soldati «anziani muoiono semplicemente perché lasciati senza supporto e senza cibo. Spesso i nostri fanno prigionieri per pietà: urlano loro di mollare il fucile, che non faranno loro nulla. E quelli si arrendono volentieri: è una garanzia di sopravvivenza».
È quanto dichiara anche uno dei tanti soldati ucraini arresisi, raccontando che il suo gruppo, scaricato dal Trasporto truppe (BMP) in campo aperto, munito solo di mitra con un solo carico di munizioni, era stato immediatamente individuato da un drone russo che, lanciata una mina, aveva centrato uno di loro.
Sotto il fuoco delle mitragliatrici, avevano provato a chiedere appoggio per radio, ma senza risposta. Poi lui era stato colpito a una spalla e tutti avevano cominciato a gridare che si arrendevano.
Lui stesso era finito in prima linea quasi senza addestramento: «Ero andato al mercato con mia madre; si era avvicinato un minibus con quattro poliziotti, che mi afferrarono. La mamma urlava; io avevo provato a resistere, ma invano. E mi ritrovai subito in zona di combattimento».
Il giovane ucraino ha raccontato delle cure mediche prestategli, aggiungendo che i loro ufficiali superiori si tengono nelle retrovie, dove trafficano con provviste e armi, mentre «noi siamo gettati in prima linea, senza nemmeno sufficienti munizioni». A lui è andata ancora bene, commenta A&F: i suoi venticinque commilitoni colpiti con l’artiglieria perché volevano arrendersi ai russi, non possono più raccontarla.
Un altro prigioniero ucraino, un fante di marina, ha raccontato a A&F delle ‘delizie’ del distretto militare del quartiere Malinovskij di Odessa, più somigliante a una galera in cui vengono rinchiuse le reclute prima di essere spedite in prima linea. Anche lui, come molti, era stato beccato alla frontiera, mentre cercava di lasciare l’Ucraina per non andare al fronte.
Il fante di marina afferma che i “reclutati” vengono tenuti dietro filo spinato e guardie armate, senza la possibilità di appellarsi a un avvocato. Allorché qualcuno aveva chiesto di poter parlare con dei legali, gli era stato risposto: «Sì, chiamateli, così diamo subito anche a loro la cartolina precetto!».
È per questo che gli avvocati uomini preferiscono non assumersi l’incarico, mentre non ci sono sufficienti avvocati donne per tutti.
Un altro militare ucraino arresosi dice di essere stato “agguantato” in strada mentre andava al lavoro. Invano aveva cercato di far valere le sue cattive condizioni cardiache: la commissione medica lo aveva giudicato “idoneo”, ignorando anche che fosse il solo a mantenere madre pensionata e sorella invalida.
In cella insieme a lui c’era anche un epilettico, che aveva avuto un attacco proprio al momento della visita medica: niente da fare, era stato dichiarato ubriaco e arruolato.
D’altronde, proprio il comandante del distretto Malinovskij era finito sotto inchiesta, dopo che era stata accertata la proprietà di auto di lusso e immobili per 1,2 milioni di dollari.
Le delizie della “resistenza ucraina”, della “democrazia aggredita”, dei “valori europeisti da difendere”…
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