In occasione del 100° anniversario della morte di Valdimir Il’ič Lenin, si ripropone un tema legato all’ultimissimo periodo della sua vita, accuratamente indagato da una parte della storiografia russa, ma meno conosciuto in Italia (se si escludono i lavori, per un verso, di Grover Furr e quelli, di stampo opposto, di Luciano Canfora): l’autenticità, o la paternità leniniana, degli ultimi testi inseriti tardivamente nel volume 45 delle Opere complete (PSS: Polnoe Sobranie Sočinenij; 5° ed. russa; 1964) e qua e là definiti “Testamento” di Lenin.
Più precisamente, il tema è quello della dubbia attribuzione a Lenin di lettere, dettati, appunti compresi tra il 23 dicembre 1922 e il 2 marzo 1923, prima del forte peggioramento del suo stato di salute, tra il 6 e il 10 marzo del ’23: “Lettera al Congresso” e “Aggiunta alla lettera”; “Sull’attribuzione di funzioni legislative al Gosplan”; “Sull’aumento del numero di membri del CC”; “Per la questione delle nazionalità o sulla “autonomizzazione””; “Pagine di diario”; “Sulla cooperazione”; “Sulla nostra rivoluzione”; “Come riorganizzare la RabKrIn”; “Meglio meno, ma meglio”.
In un’esposizione necessariamente limitata, si concentrerà l’attenzione quasi esclusivamente sulla “Lettera al Congresso” e su alcuni passaggi degli altri testi che, in qualche misura, ruotano attorno alla presunta volontà di Lenin di estraniare Stalin dalle funzioni di General’nyj Sekretar’ (GenSek) del CC del RKP(b).
L’esposizione che segue è interamente ripresa, in misura estremamente succinta, dal corposo volume (circa 500 pagine) pubblicato nel 2003 dallo scomparso storico Valentin Sakharov «Il “testamento politico” di Lenin», edito dall’Università di Mosca e in parte riprodotto dal citato Grover Furr in «L’inganno del “testamento di Lenin”». Lo si fa, anche con l’auspicio che tale opera possa prima o poi vedere una completa pubblicazione in lingua italiana.
In essa, Sakharov esamina il processo di “formazione” dei testi suddetti, attribuiti integralmente a Lenin; investiga le circostanze del loro “rinvenimento” e il loro utilizzo nelle lotte interne di partito; li analizza filologicamente, temporalmente, politicamente, trovando che le incoerenze in essi rinvenibili fanno il paio con quelle di testimonianze contrapposte di segretarie, familiari, medici, ecc., che assistettero Lenin a Gorki.
Ma, soprattutto, evidenziando che nelle numerosissime, evidenti, contraffazioni non si rifletteva altro che la contrapposizione di interessi di classi diverse nella società sovietica: le une al potere, altre che aspiravano ad accedervi o a tornarvi.
A partire dalla metà degli anni ’50, il tema dei rapporti tra Lenin e Stalin dopo il 1921, e soprattutto dopo il trasferimento di Lenin a Gorki, è stato affrontato pressoché sempre a senso unico, senza scampo per Stalin.
Parafrasando le parole di Aleksandr Zinov’ev – «miravano al comunismo, ma hanno sparato sulla Russia» – e riprese spesso dall’attuale leadership russa («volevano sparare all’URSS, ma hanno colpito la Russia»), si può dire che ormai da decenni si continui a usare il metodo di “colpire Stalin servendosi dell’autorità di Lenin”, puntando intanto, dicono i comunisti russi, a “colpire Lenin servendosi di Plekhanov”.
A partire dal rapporto segreto di Nikita Khruščëv al XX Congresso “Sul culto della personalità di Stalin e le sue conseguenze”, l’attenzione per l’ultimo periodo della vita di Lenin è stata completamente dirottata dalle questioni della costruzione del socialismo, effettivamente poste da Lenin, verso la cosiddetta “Lettera al Congresso”, contenente la proposta di «riflettere sul modo di trasferire Stalin» dal posto di GenSek del CC «a un altro posto».
Impostazione, questa, ulteriormente accentuata con Mikhail Gorbačëv e la critica delle tesi fondamentali di costruzione del socialismo in URSS.
Il tutto, all’insegna dello “smascheramento del culto della personalità di Stalin” e dell’autentica interpretazione delle idee di Lenin: il nome di Lenin usato cioè contro il leninismo.
Parallelamente, è andata ampliandosi la campagna basata sulla concezione trotskista del cosiddetto “Testamento” di Lenin.
Da parte sua, anche la storiografia sovietica, fino agli anni ’80-’90, non ha sviscerato la questione degli ultimi lavori di Lenin e soprattutto delle fonti documentarie che confermassero l’autenticità di tutta una serie di “dettati”, appunti, testi battuti a macchina, che invariabilmente mettevano in cattiva luce Stalin.
Così, nella campagna antistalinista e, in sostanza, antisocialista e antileninista, non si sono risparmiati rimaneggiamenti, aperte falsificazioni politiche e storiche, che hanno interessato gli ultimi anni della vita di Lenin.
Com’è naturale, i primi anni successivi alla Rivoluzione d’Ottobre, con le classi borghesi appena sloggiate dal potere, ma tutt’altro che spodestate e prive di forza e di mezzi (anche grazie al sostegno occidentale), erano stati quelli in cui l’attacco al nucleo leninista aveva assunto forme estremamente violente.
Già allora, con l’autorità di Lenin si attaccavano in realtà Lenin e il leninismo: “sparando su Stalin” si intendeva colpire l’essenza proletaria del primo stato socialista. Se in origine l’attacco era portato alla dittatura operaia, facendo leva sugli elementi agiati dei contadini, erano poi le forze mai completamente debellate delle vecchie classi borghesi ad attaccare il potere operaio-kolkhoziano.
Poi, a partire dagli anni ’50, tornano alla ribalta le macchinazioni degli oppositori di trent’anni prima per colpire Stalin servendosi dell’autorità di Lenin. Riprendono campo “tesi”, scritti, note attribuite a Vladimir Ilič che, come oggi diventa sempre più chiaro, erano state messe a punto per tentare di screditare Stalin e il nucleo di bolscevichi a lui più vicino, facendo passare per posizioni politiche di Lenin quelle che in realtà non erano che tentativi di estromettere la direzione bolscevica del partito dalla direzione dello stato sovietico.
Il tutto, sulla strada dello scontro di classe che si sarebbe sempre più acutizzato, riflettendosi nel conflitto interno al VKP(b) tra linea proletaria e pretese piccolo-borghesi contadine, in un paese che, non va dimenticato, ancora per almeno quindici anni dopo il 1917, era costituito in maggioranza da contadini, con una classe operaia che solo negli anni ’30 passa da 9 a 24 milioni, grazie all’industrializzazione e alla meccanizzazione delle aziende agricole collettive, che liberava 20 milioni di persone dai lavori rurali.
Sono indicative le testimonianze dell’ex membro del Politbüro, ex presidente del Consiglio dei commissari del popolo ed ex Ministro degli esteri sovietico Vjačeslav Molotov (morto vecchissimo, nel 1986).
Nel 1935 affermava che la struttura sociale del paese era mutata: praticamente scomparso l’elemento borghese, raddoppiata la componente proletaria rispetto al 1913, oltre la metà della popolazione costituita da kolkhozniki.
Ma, nel 1974, in una lunga serie di conversazioni con lo scrittore Feliks Chuev, diceva: «Khruščëv non è stato casuale. Il paese è contadino e la deviazione di destra è ancora forte. E’ pienamente possibile che tra pochissimo tempo vadano al potere gli antistaliniani, i bukhariniani. Le classi sfruttatrici non erano completamente debellate e questo si rifletteva nel partito. Atteggiamenti kulak ce ne sono ancora a bizzeffe nel partito».
La maggior parte degli “storici”, anche in epoca brežneviana, ma soprattutto nel periodo della “perestrojka”, si era sempre concentrata per lo più non sullo studio delle fonti di quanto lasciato dalla segreteria di Lenin, ma sul preteso isolamento “di Lenin imposto da Stalin” a Gorki e sul conflitto tra Krupskaja e Stalin, come anche sulla storia del cianuro e del perché Lenin si sarebbe rivolto proprio a Stalin perché glielo procurasse.
Chi altri se non il “perfido” Stalin, si lascia intendere, avrebbe potuto acconsentire a procurare il veleno a Lenin, tacendo sul fatto che proprio i rapporti strettissimi consolidatesi tra di loro, spingevano Vladimir Ilič a rivolgersi proprio a Iosif Vissarionovič per aiutarlo a por fine alle sofferenze causategli dalla malattia?
Valentin Sakharov ricorda che già prima di lui alcuni storici avevano posto correttamente la questione del metodo da seguire per indagare sull’autenticità di quella parte di testi attribuiti a Lenin.
E cioè: utilizzando prove dirette e indirette, confrontando fatti conosciuti e soprattutto studiando a fondo il testo del determinato documento (nel suo insieme e nelle sue singole parti, costruzione della frase, vocabolario: se fossero o meno “tipici” di Lenin), orientamento politico, lingua, stile, confrontando il dato testo con altri documenti attribuiti con sicurezza a Lenin, in particolare quelli vicini temporalmente.
Venendo al tema centrale, la domanda cardine è se l’atteggiamento di Lenin nei confronti di Stalin potesse davvero essere quello che risulta dalla lettura dei testi attribuiti a Lenin e che tratteggiano in maniera così negativa Stalin, fino a definirlo un “pericolo per l’unità del partito”.
Per quanto riguarda le famose “caratteristiche personali” che sarebbero state tratteggiate da Lenin nella “Lettera al congresso”, non ci sono prove o testimonianze di quanto affermato da Trotskij (o chi per lui) sul pericolo per il partito rappresentato dalla permanenza di Stalin nel ruolo di GenSek, o che si potesse ripetere l’episodio dell’Ottobre per Zinov’ev e Kamenev (allorché i due avevano reso pubblica la decisione segreta sull’insurrezione), o che Lenin abbia ribadito la sua sfiducia nelle capacità politiche e teoriche di Bukharin o di Pjatakov.
Oggi è escluso che si possa dimostrare l’autenticità di quelle note conosciute come “Caratteristiche” e “Aggiunte alle caratteristiche”, per spostare Stalin ad altro incarico, come pure del testo “Per la questione delle nazionalità o della “autonomizzazione””.
Non sollevano incertezze, nel “Testamento”, le note riguardanti Trotskij, che corrispondono ad altre note redatte da Lenin in anni precedenti e su cui non ci sono dubbi di paternità, come ad esempio per la contrapposizione tra Lenin e Trotskij sulla NEP o sull’assetto statale che, secondo Lenin, doveva basarsi sull’unione di proletariato e contadini, con ruolo dirigente del proletariato, mentre per Trotskij, si trattava del potere della classe operaia contro tutti gli strati non proletari della società.
È il contrario per le note su Stalin, in aperta contraddizione con le posizioni di Lenin del 1921-’22: i rapporti tra Lenin e Stalin, almeno fino a tutto il 1922, furono di fiducia e assonanza politica tra compagni; e non cambiarono nemmeno con la discussione a proposito della formazione dell’URSS, sulla questione della “federalizzazione” o della “autonomizzazione”.
La stessa pubblicazione dei diversi testi che compongono il cosiddetto “Testamento politico” solleva forti dubbi e non è possibile considerarne dimostrata l’autenticità.
Il primo di essi è “Per la questione delle nazionalità, ecc.”, presentato nell’aprile 1923 poco prima dell’apertura del XII Congresso, la cui appartenenza alla mano di Lenin è data solamente da alcuni racconti contraddittori tra segreteria di Lenin (Lidija Fotieva, Marija Volodičeva, ecc.) e memorie di Trotskij.
Non a caso, ciò avveniva dopo il terzo colpo apoplettico, nella prima decade del marzo 1923, allorché Lenin perdeva definitivamente l’uso della parola.
Un altro testo è rappresentato dai “dettati” del 24-25 dicembre 1922, conosciuti come “Caratteristiche”, trasmesso da Nadežda Krupskaja a fine maggio 1923, cioè un anno prima di quanto comunemente ritenuto e senza considerare tale testo come “Lettera al Congresso” e tantomeno “segreta”, come invece sarebbe stata presentata successivamente.
Lo stesso per la cosiddetta “Lettera di Ilič sul segretario” (che sarebbe un “dettato” del 4 gennaio 1923) che allora non era considerata come “aggiunta” alle “Caratteristiche” e dunque quale parte integrante della “Lettera al Congresso”.
Tutti questi “dettati” cominciarono a esser presentati come parte del “Testamento” di Lenin solo più tardi, a fine gennaio 1924, nei giorni dei funerali di Lenin e poi direttamente nel maggio 1924, al XIII Congresso.
Negli anni successivi, la “Lettera al Congresso”, quale “testamento politico” di Lenin che chiedeva di rimuovere Stalin da GenSek del CC, venne utilizzata a varie riprese dagli oppositori di Stalin, mentre Krupskaja cambiò più di una volta le “volontà di Lenin” a proposito della destinazione di tale documento.
Nella storiografia, il complesso degli ultimi documenti di Lenin, da lui dettati tra fine dicembre 1922 e inizi marzo 1923, è conosciuto con nomi diversi: “Ultime lettere e articoli”, “Testamento politico” (o “Testamento”).
Tra l’altro, nei protocolli del XIII Congresso del RKP(b) nel maggio 1924 non si trova traccia del “sostegno” che, secondo la vulgata in circolazione da sempre, Zinov’ev e Kamenev avrebbero prestato a Stalin per conservarlo nel posto di GenSek, in contrapposizione a Trotskij.
C’è inoltre la questione dell’analisi del “Diario dei segretari di turno” che, almeno fino agli anni ’70, era data per acquisita. Ad esempio, nell’articolo “Pagine di diario” si possono individuare due parti ben distinte: una attribuibile senza dubbio alla mano di Lenin e un’altra in cui è evidente l’intervento delle segretarie. Più o meno la stessa cosa per quanto riguarda “Per la questione delle nazionalità o della “autonomizzazione””.
Per quanto riguarda, in generale, il cosiddetto “Testamento” nel suo insieme, si tratta di analizzare l’elementare unitarietà di base di tale insieme di materiali; si tratta di stabilire quanti di essi siano stati in realtà “dettati” da Lenin e in che data ciò sia avvenuto.
In generale, sull’affidabilità dei “Diari dei segretari”, ci sono evidenti contraddizioni tra essi e i “Diari dei medici”: per i primi, sembra non si conosca l’originale, ma solo la versione riportata nel vol. 45 delle Opere (PSS). Seri dubbi generano anche le numerose discordanze calligrafiche nei rapporti delle segretarie, sia Fotieva che Volodičeva.
Nel “Diario dei segretari” non ci sono dubbi apparenti sui rapporti redatti fino al 18 dicembre 1922; a partire da quella data, le note assumono più l’aspetto di “memorialistica”, rispetto a quello “cancelleresco” precedente e dunque si dovrebbe indagare su quando quelle memorie siano state davvero dettate. Di per sé, esse servono solo a sostenere la tesi della effettiva paternità leniniana delle lettere del 5 e 6 marzo 1923.
Si notano forti contraddizioni nel “Diario dei segretari” a proposito dei dettati del 23-24 dicembre 1922 (“Caratteristiche”). Contraddizioni anche nelle note curate dal collegio redazionale delle Opere, a proposito dell’ultimo giorno del “Diario dei segretari”, del 6 marzo 1923, scritto da Volodičeva in forma stenografica, e che verte sostanzialmente sull’alterco Krupskaja-Stalin e le lettere inviate da Krupskaja a Zinov’ev e Kamenev al riguardo.
Nella nota n. 297 (compare a p. 608 del vol. 45 della 5° ed. russa) è detto che Volodičeva avrebbe decifrato i propri caratteri stenografici nel luglio 1956, mentre è noto che lo fece un mese prima: in tal modo si è voluto far discendere la decifrazione del diario, dalla pubblicazione del cosiddetto rapporto segreto di Khruščëv, in modo da avvalorarlo con le parole di una delle segretarie di Lenin.
Anche alla data del 1 febbraio 1923 del “Diario”, giorno in cui Lenin avrebbe parlato di vari argomenti (sostanzialmente sulla situazione nel CC del PC georgiano e sul Caucaso) nella pagina redatta da Fotieva sarebbero state aggiunte le parole attribuite a Lenin «Se io fossi in libertà…», dando loro il significato di rammarico per il presunto “regime di detenzione” che Stalin gli avrebbe imposto a Gorki, per sottrarlo ai contatti con altri esponenti del partito.
In generale, numerose non corrispondenze di date indicano che il “Diario” è stato più volte rimaneggiato.
Del resto, nel “Diario dei medici” si nega che Lenin abbia lavorato, sia il 6 gennaio 1923, – data in cui, stando al “Testamento”, avrebbe dettato la nota “Sulla cooperazione” – sia il 9 gennaio ’23 (Prima variante di “Come riorganizzare la RabKrIn”).
Quanto registrato dai medici sullo stato di salute di Lenin il 5 e 6 marzo 1923 getta seri dubbi sulla versione corrente a proposito della sua attività in quei giorni. Nel confronto tra “Diario dei segretari” e “Diario dei medici”, per l’arco temporale 24 dicembre 1922-6 marzo 1923, con 73 appunti dei medici e 30 delle segretarie, ci sono concordanze tra i due diari appena per 13 giorni su oltre 70.
Altre contraddizioni che si rilevano nei diversi documenti del “Testamento” riguardano grossolane alterazioni di destinatari per alcune note di Lenin (“a voi” invece che “a Voi”); travisamento di termini (nella nota “Come dare funzioni legislative al Gosplan” si dice “destini del partito”, invece di “giudici del partito”, cioè coloro che giudicavano, criticavano il partito, in primo luogo Trotskij); firme non usuali di Lenin e Krupskaja in calce alla famosa lettera che sarebbe stata indirizzata a Trotskij il 21 gennaio 1922 a proposito della questione del commercio estero (sulla decisione del Plenum del CC e sull’informazione in proposito data da Krupskaja a Lenin era sorto il conflitto Stalin-Krupskaja).
Lenin avrebbe firmato “N. Lenin” (una firma così Lenin non la usava da molti anni), mentre Krupskaja avrebbe firmato la breve aggiunta con “N.K.Ul’janova”, mentre invece si firmava sempre con “N.Krupskaja” o “N.K.”. Oltretutto, il “Diario dei medici” del 19-22 dicembre non registra alcuna attività di Lenin.
Tale documento non è nemmeno registrato nel Segretariato di Lenin e soprattutto contraddice altri documenti, la cui autenticità è da sempre fuori dubbio.
Ad esempio: Krupskaja giustifica la decisione di informare Lenin sulla deliberazione del Plenum con il permesso accordatole dal dott. Ferster. Questi, però, aveva visitato Lenin il 20 dicembre e sul “Diario dei medici”, per i due giorni successivi, non viene registrata alcun’altra visita al paziente, né tantomeno il consenso a una variazione nel regime di cura e attività e, quindi, del permesso che sarebbe stato accordato a Krupskaja di informare Lenin.
Inoltre, nell’appunto indirizzato il 23 dicembre a Kamenev, Stalin afferma che Ferster aveva «assolutamente proibito» a Lenin qualsiasi scambio epistolare. La decisione di non comunicare a Lenin «alcunché della vita politica, per non alimentare l’eventualità di una sua agitazione mentale» era stata adottata il 24 dicembre 1922 nel corso dell’incontro di Stalin, Kamenev e Bukharin coi medici.
Del resto anche la sorella di Lenin, Marija Ul’janova, descrive l’episodio dell’alterco Stalin-Krupskaja in modo diverso da Krupskaja e soprattutto lo daterebbe a qualche giorno più tardi. Ne risulta che la “lettera-rimostranza” di Krupskaja a Kamenev sarebbe stata “preconfezionata” quando ancora l’episodio non si era verificato.
Quale sarebbe stato il motivo per anticipare la data del conflitto Stalin-Krupskaja al 22 dicembre? Una possibile risposta è che così si sarebbe potuto legare l’episodio all’inizio del lavoro di Lenin su la “Lettera al Congresso”, in cui la “rozzezza” di Stalin è posta al centro della definizione del suo carattere e del pericolo per il partito costituito dalla sua permanenza nel ruolo di GenSek del CC.
Anche nelle diverse prime varianti di “Cosa dobbiamo fare con la RabKrIn” o “Come dobbiamo riorganizzare la RabKrIn”, datate tra il 9 e il 23 gennaio 1923, è detto che «i membri della CCC devono vigilare affinché nessuna autorità, né del GenSek, né di alcun altro membro del CC possa impedire loro di porre questioni all’OdG….ecc.».
Il fatto è che in nessuna delle varianti custodite negli archivi è detto in quel modo. È detto soltanto «nessuna autorità», mentre le parole «né del GenSek né di alcun altro…ecc» sono comparse solo a inizi anni ’60 nel PSS e da allora gli storici hanno “interpretato” la contraddizione al contrario: cioè che fosse stato Stalin a far togliere quelle parole.
È il caso, tra gli altri, del summenzionato Luciano Canfora (“La storia falsa”) che riprende le “scoperte” fatte (e interpretate) nel 1991 da Jurij Buranov, in piena epoca di “apertura degli archivi”.
Una “apertura” poi esaurientemente illustrata dallo scomparso (prematuramente e misteriosamente) ex Procuratore ed ex deputato del KPRF Viktor Iljukhin, che aveva fatto luce sulle macchinazioni di Aleksandr Jakovlev, con tanto di tecnici specializzati nella creazione di falsi documenti “storici”, carta d’epoca e timbri artefatti, intrufolati poi negli archivi del PCUS, per essere “scoperti” di lì a poco e dati in pasto sia alla stampa occidentale, che alla narrazione neotrotskista del testamento di Lenin (Fotieva agli ordini di Stalin, ad esempio), una versione rispondente non a progressi scientifici, ma ai dettami della “perestrojka”.
A proposito della “Lettera al Congresso”, la segretaria Fotieva riporta nel “Diario”: “scritto” e “dettato” a fine dicembre 1922. Ma dal 15 dicembre Lenin non poteva più usare la mano destra.
Nessuna parola da Segreteria, Krupskaja, o medici, sul lavoro di Lenin nei giorni di fine dicembre, in cui sarebbe apparso il “dettato” definito “Caratteristiche”. La prima volta se ne parla soltanto sul n. 9 del Kommunist del 1956.
Dunque, dove sono i “manoscritti”? Risulta che di alcuni documenti esistono soltanto copie (come nel caso della famosa “lettera ultimatum” di Lenin a Stalin del 5 marzo 1923, dopo l’episodio dell’alterco Krupskaja-Stalin del dicembre precedente), senza nessun originale: vien fuori che nell’Archivio Lenin, il tale o talaltro “articolo” “di Lenin”, o il tale appunto, compare solamente come documento spedito da altri, che lo avevano redatto da una copia avuta dalla segreteria di Lenin.
Quella “lettera ultimatum”, in cui Lenin si sarebbe detto pronto a troncare ogni rapporto con Stalin, se questi non avesse presentato le scuse per la “grubost’ ” (“rozzezza”) mostrata nei confronti della moglie, è stata presentata per decenni quasi come un complemento della “Lettera al Congresso”, avvalorando così le parole di Trotskij: «la lettera di Lenin sulla completa rottura con Stalin… non cadeva da un cielo sereno… Non solo cronologicamente, ma anche politicamente e moralmente, essa tracciava la linea conclusiva sui rapporti di Lenin con Stalin».
Nella storiografia sovietica (e non solo) l’interpretazione di Trotskij è rimasta un assioma per decenni.
Ancora. L’autore delle “Caratteristiche” – chiunque sia – scrive «Stalin, fattosi GenSek… ecc»… «ha concentrato nelle proprie mani... ecc» un grande potere.
Avrebbe potuto davvero Lenin scrivere così – «fattosi» – quando lui stesso si era fatto promotore della elezione di Stalin a GenSek e, soprattutto, quando il CC aveva eletto Stalin a proprio segretario?
Altre contraddizioni. Nelle “Caratteristiche” su Georgij Pjatakov (tralasciamo quelle su Bukharin, Zinov’ev, Kamenev, Trotskij) “dettate” il 25 dicembre, egli è definito come troppo infatuato «del metodo amministrativo e del lato amministrativo delle questioni»; ma due giorni dopo, il 27 dicembre, nel “dettato” sul Gosplan, Lenin lo difende dalle critiche di Trotskij, presentandolo quale degno vice del presidente del Gosplan, Gleb Kržižanovskij. E perché nelle “Caratteristiche” non si fa cenno agli altri membri del Politbjuro, come Tomskij, Rykov o Molotov (quest’ultimo, Segretario del CC e candidato al Politbjuro)?
Per Stalin: la caratteristica di «eminente dirigente» sembra scomparire, sommersa dai difetti di “non saper utilizzare con sufficiente cura il suo immenso potere”, che lo renderebbe “pericoloso per il partito”.
Tutto il contrario per Trotskij: insignificanti difetti fanno da sfondo ai suoi lati forti, che si trasformano in un vero e proprio panegirico: «si distingue per le sue eminenti capacità», «una personalità… il più capace individuo… nel CC», il cui «non bolscevismo» «gli può appena essere imputato».
Secondo l’autore della “Lettera al Congresso”, Stalin non ha affatto caratteristiche positive, mentre quelle negative sono foriere di rovina per il partito. Al contrario, in Trotskij si notano caratteristiche estremamente preziose per il partito.
Ne scaturisce dunque che per risolvere il problema del possibile conflitto nel partito, l’unica soluzione è quella di sacrificare, tra i due “eminenti dirigenti”, proprio Stalin. Ma Lenin non ha mai mostrato simili atteggiamenti, né nei confronti di Stalin, né di Trotskij.
Nei “dettati” del 24-25 gennaio sulle “Caratteristiche”, si evidenzia non tanto una opposizione a Stalin, quanto una simpatia per Trotskij: i colpi sono puntati più contro Zinov’ev, Kamenev, Bukharin, Pjatakov, che non contro Stalin.
Il “dettato” del 4 gennaio – “Aggiunta alle caratteristiche” – è invece diretto specificamente contro Stalin e coincide con il commento fatto da Trotskij stesso «il colpo era diretto in principal modo contro Stalin».
Nei confronti del famoso «episodio dell’Ottobre» di Zinov’ev e Kamenev, ne risulta che il «non bolscevismo di Trotskij» sarebbe un peccato veniale se confrontato con quello mortale dei due. Anche qui, dunque, è Trotskij a uscire favorito.
Per quanto riguarda Nikolaj Bukharin, egli avrebbe potuto rappresentare un pericolo per Trotskij solo sul piano ideologico: ed è proprio lì che le “Caratteristiche” vanno a colpire: «non ha mai studiato e, credo, non abbia mai compreso appieno la dialettica».
In realtà, al momento del XII Congresso, nell’aprile 1923, i leader più in vista del Politbjuro avevano messo in evidenza non il pericolo di scissione nel partito (come fatto invece da alcuni critici – “giudici” – del partito) bensì la crescente unità.
Bene o male, né il 24 dicembre 1922 (“Lettera al Congresso”), né il 4 gennaio 1923, né a fine gennaio, a febbraio, marzo o aprile 1923, nei rapporti personali e politici tra Stalin e Trotskij si era verificato alcunché che avrebbe potuto influire sulla stabilità del partito e provocare un pericolo di scissione.
Dunque, il pericolo che l’autore della “Lettera” indica quale più acuto e pericoloso doveva esser maturato soltanto nella seconda metà di aprile 1923, cioè quando Lenin aveva già perso ogni possibilità di attività: ne scaturisce che la “Lettera” non poteva esser apparsa prima del XII Congresso e Lenin non poteva esserne l’autore.
Infine, l’autore della “Lettera” propone di «riflettere sul modo di trasferire» Stalin: ma una tale richiesta era in contraddizione sia con lo statuto del partito, che con la sua pratica di lavoro. Perché mai il Congresso avrebbe dovuto “studiare il modo di trasferire Stalin”?
Il Congresso non avrebbe comunque potuto farlo, dal momento che il CC in carica rimetteva i propri poteri di fronte al Congresso; quest’ultimo avrebbe eletto il nuovo CC che, secondo lo statuto, nella propria seduta plenaria avrebbe scelto la Segreteria e il Segretario generale.
Il Congresso avrebbe semplicemente potuto non eleggere Stalin al CC, oppure eleggere una composizione tale del CC che in alcun modo lo avrebbe poi nominato Segretario generale.
In definitiva, l’ipotesi che emerge in principal modo è che la “Lettera al Congresso” non fosse altro che un documento messo a punto da elementi frazionistici del partito, più o meno legati a Trotskij o a qualche altra frangia d’opposizione; un documento redatto, si potrebbe dire, in maniera nemmeno tanto fine, quasi a rispondere al motto di Friedrich Hölderlin, «Neppure è bene esser troppo saggi».
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento