Il giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese, nel corso di un’intervista andata in onda nel corso della trasmissione di Rai3, In mezz’ora, si è espresso così sul disegno di legge del governo di autonomia differenziata:
“Le regioni che hanno più muscoli nelle gambe correranno, quelle che ne hanno di meno andranno più lentamente ma questo potrà essere uno stimolo per le regioni che vanno più lentamente per esercitare i propri muscoli”.
In altre parole: chi può, fa, chi non può “si alleni i muscoli”, ovvero, basta con la solidarietà nazionale e via al darwinismo regionale. E così il già martoriato e sempre più ignorato Mezzogiorno sprofonderà definitivamente e sarà consegnato, una volta per tutte, a mafia, camorra e ‘ndrangheta.
I 13 miliardi stanziati con la legge di bilancio 2024 per il famigerato “ponte sullo stretto” hanno dato già un segnale netto in questa direzione.
Se sarà approvato definitivamente il disegno di legge sull'“autonomia differenziata” del ministro Calderoli (già passato al Senato il 22 gennaio scorso), grazie alla clausola che l’operazione dovrà essere portata avanti “senza oneri aggiuntivi” per lo Stato (ovvero, a costo zero), ogni Regione dovrà arrangiarsi con i propri fondi con buona pace della Costituzione che – all’articolo 5 – prevede che i diritti sociali (sanità, istruzione, ecc.) debbano essere uguali ed accessibili su tutto il territorio nazionale.
Si tratta dei Livelli Essenziali delle Prestazione (LEP) eppure previsti dall’articolo 117 del novellato titolo V della Costituzione secondo il quale “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
In buona sostanza, con il nuovo titolo V, venne affidata allo Stato e alle regioni la competenza “concorrente” su una lunga serie di materie ma, a condizione che venissero “determinati i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Il ministro leghista per gli Affari regionali Calderoli dice di voler dare attuazione a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione ai sensi del quale – sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata – possono essere attribuite alle regioni a statuto ordinario, che ne facciano richiesta, forme e condizioni particolari di autonomia in 23 materie.
Si va dalla Salute all’Istruzione, dallo Sport all’Ambiente, passando per Energia, Trasporti, Cultura e Commercio Estero. Ed al tal fine, il disegno di legge “Autonomia differenziata” prevede la possibilità, da parte delle stesse regioni, di trattenere il gettito fiscale legato alle erogazioni del servizi per l’utilizzo di quelle risorse sul proprio territorio.
Ma il disegno di Legge Calderoli non ha sciolto il suo nodo principale: le funzioni autonome doverebbero essere attribuite solo dopo aver determinato proprio i LEP, ovvero il livello minimo di servizi da rendere al cittadino in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale.
I fautori della norma sostengono che per evitare squilibri economici fra le regioni che aderiscono all’autonomia e quelle che non lo fanno il disegno di legge introduce “misure perequative”.
Altro che: se il disegno di legge venisse approvato definitivamente, il ruolo delle Regioni, sia ordinarie che autonome (ex art.116 comma 3 Cost.) si ridurrebbe a quello di “agenti regionali” dello smantellamento del SSN e della Privatizzazione della Sanità.
Lo si deduce abbastanza facilmente proprio nella parte del DL Calderoli che riguarda i LEP: l’art. Art. 9 esclude “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”; l’art. 4 comma li vincola nei “limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio”.
Del tutto privo di sostanza, infine, l’emendamento di Fratelli d’Italia che, sempre all’art. 4, inserisce il “vincolo dell’incremento delle risorse sull’intero territorio nazionale”. Quali risorse e come se ne determirebbe l’incremento, non è dato sapere.
E a pagarne le spese sarebbe, innanzitutto, il nostro Servizio Sanitario Nazionale già gravemente eroso da un massiccio processo di privatizzazione e finanziarizzazione.
Ne sono conferma il “combinato disposto” tra la Legge Bilancio 2024, il decreto milleproroghe 2024, e lo stesso DDL n. 615-A Calderoli, così come modificato in Commissione Affari Costituzionali e in Aula in Senato.
La legge di Bilancio 2024, infatti, ha stanziato per il Fondo Sanitario Nazionale circa 131 Miliardi di euro; inferiore di 10 miliardi a fronte dei 141 Mld, stimabili senza incrementi, rispetto all’anno 2022 per effetto dell’inflazione cumulativa pari al 9%.
Con gli stessi criteri la spesa privata diretta sarebbe di 43,5 Mld, ben 3,5 superiore a quella del 2022. In qualsiasi caso è evidente che, nel 2024, il FSN sarà ancor più insufficiente a finanziare il SSN, e non sarà certo la ulteriore sua frammentazione in 21 Servizi Sanitari Regionali a risolvere questo problema.
Eppure, a luglio dell’anno scorso, il gruppo dei “big” chiamati dal governo a far parte del “Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, preliminari per l’Autonomia differenziata”, presieduto proprio da Sabino Cassese e di cui facevano parte Giuliano Amato, Franco Gallo (ex presidente del Consiglio di Stato), Alessandro Pajno e l’ex ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini (ex Pci-Pds-Pd, cui dobbiamo la famigerata legge 59/1997 che fece da battistrada alla catastrofica riforma del titolo V della Costituzione), si era dimesso in blocco dal Comitato in ragione dei dubbi sollevati sui costi legati ai LEP, cioè i livelli essenziali delle prestazioni indispensabili per garantire in tutto il territorio nazionale i «diritti civili e sociali» tutelati dalla Costituzione.
E lo aveva fatto con una lettera aperta in cui era scritto, nero su bianco, che servivano assolutamente dei “correttivi su come impostare e finanziare i Livelli essenziali delle prestazioni”. La risposta, come abbiamo visto, è stata soltanto ed esclusivamente, una risposta di facciata con l’emendamento di Fratelli d’Italia in cui si fa riferimento ad astratti ed indeterminati “criteri equitativi“.
Ecco perché l’endorsement di ieri di Sabino Cassese alla riforma Calderoli ci appare come una inspiegabile giravolta del professore.
Certo, a ben vedere, anche la “riforma costituzionale” voluta da Matteo Renzi e Maria Elena Boschi – poi bocciata dal referedum confermativo del 2015 – aveva incassato il pieno sostegno di Cassese, oltre che dall’altro insigne dinosauro, Giuliano Amato, sopravvissuto a tre Repubbliche.
Insomma, in quanto a condiscendenza nei confronti dei “riformatori” di turno, il professore aveva già evidenziato una spiccata propensione.
In ogni caso, c’è solo da darsi da fare perché questo abominio dell’autonomia differenziata faccia la stessa fine della riforma di revisione della Costituzione “Renzi-Boschi” insieme all’altra porcata del “premierato”.
Il combinato disposto delle due cose sarebbe un vero disastro per un paese già devastato da decenni di malgoverno regionale, da privatizzazioni selvagge e dagli attacchi feroci degli ultimi anni a sanità, istruzione e servizi al cittadino (ovvero, a quel poco che ancora rimane in piedi del nostro Welfare e della prima parte della Costituzione) oltre a spingere verso il pericoloso piano inclinato di un’ulteriore torsione autoritaria ed antidemocratica.
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