Il quotidiano americano lancia pesanti accuse alle autorità di Tel Aviv fin dal titolo dell’articolo pubblicato lunedì 29 gennaio: “Spogliati, picchiati e poi scomparsi. Il trattamento riservato da Israele ai detenuti di Gaza suscita allarme”.
Nel pezzo firmato Mark Landler si parla della sorte delle migliaia di palestinesi incarcerati dalle autorità di Tel Aviv, sottoposti a vessazioni al limite della tortura e viene rivelato che “un ufficio delle Nazioni Unite ha affermato che la carcerazione e il trattamento dei detenuti potrebbero equivalere a tortura. Si stima che migliaia di persone siano state detenute e tenute in condizioni orribili. Alcune sono state liberate indossando solo perizomi”.
I giornalisti del NYT hanno interpellato direttamente i funzionari dell’IDF ma le risposte, ovviamente, sono state evasive, affermando genericamente di detenere persone «sospettate di coinvolgimento in attività terroristiche, e di aver rilasciato successivamente coloro che sono stati scagionati».
C’è un “piccolo” problema, cioè che le procedure utilizzate dall’esercito israeliano per accertare il “coinvolgimento in attività terroristiche” sono eufemisticamente “discutibili”.
La denuncia del quotidiano americano è terribile: “Durante il primo mese di guerra, Israele avvertì coloro che non fuggivano dalle aree sottoposte a ordine di evacuazione che potevano essere considerati partner di un’organizzazione terroristica. Il mese scorso un portavoce del governo di Tel Aviv, Eylon Levy, ha detto che le forze israeliane stavano detenendo uomini in età militare in quelle aree”.
Tutto ciò si traduce, nei sospetti del NYT, che ogni palestinese maggiorenne, nella Striscia di Gaza, possa essere un miliziano presente o futuro, un semplice fiancheggiatore, o persino un innocuo simpatizzante, di Hamas.
Il portavoce della Croce Rossa, Hisham Mhanna, ha denunciato la scomparsa di 4000 palestinesi a Gaza. Si ritiene che almeno 2000 di essi siano stati segretamente incarcerati dall’esercito israeliano. È stato possibile avere qualche conferma della loro esistenza in vita, solo in pochissimi casi.
E così, mentre all’Aia si discute del possibile tentativo di genocidio a Gaza da parte di Israele, e la risposta dell’Occidente supinamente filoisraeliano è l’attacco all’ONU e alla sua organizzazione sul campo, l’UNRWA, si solleva anche la questione della violazione sistematica dei diritti fondamentali dell’uomo.
E su questo punto il New York Times riporta le parole di Francesca Albanese, Relatrice speciale dell’Onu per i Territori palestinesi occupati, che mentre nello zelante e servile sistemata mediatico italiano è trattata alla stregua di ciarlatana, mentre nel resto del mondo viene considerata fonte autorevole, la quale ha affermato che “designare i civili che non sono stati evacuati come complici del terrorismo non solo rappresenta una minaccia di punizione collettiva, ma potrebbe costituire pulizia etnica”.
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