In questi giorni mi chiedo, con una certa ansia: dove sono finiti gli ebrei? Parlo di quelli i cui libri, da ragazzo di 16 o 18 anni, assorbivo più che leggere. Karl Marx, certo, un ebreo apostata ma alla sua origine attribuivo la diversità che lo aveva spinto ad essere quel che era.
E Franz Kafka, Sigmund Freud, e Hannah Arendt, che avevo scoperto qualche anno dopo i clamori sul processo Eichmann, che avevano impressionato il bambino che ero, anche perché avevo visto un documentario sui campi di sterminio impietosamente mostrato al cinema, tra una proiezione e l’altra, e ne avevo ricavato un autentico choc, una delle ragioni per le quali da adolescente decisi che sarei diventato un anarchico, un comunista, insomma un ribelle, uno che cercava una rivoluzione.
E quindi leggevo, certo, Lenin e Gramsci, ma vedevo come gli irregolari e i sovversivi si fossero avvalsi di intelligenze come quelle di Sartre o Benjamin, per esempio.
Amavo gli ebrei. E l’unico che conobbi abbastanza da vicino fu un insegnante girovago che conobbi nel paese clericale nel quale vivevo, si chiamava Augusto Caffaz, era livornese e trotskista e molto gentile, benché a tratti sarcastico, si avvicinò al nostro gruppo di studenti sovversivi e ci raccontò alcune cose utili e suggestive, sul comunismo.
Quindi ora mi chiedo: dove sono finiti gli ebrei?
Per esempio quando la signora Di Segni, presidente delle comunità ebraiche, compare, per presentare il giorno della memoria, dopodomani, di fianco a un sottoministro meloniano che si rifiuta di rispondere alla domanda se consideri “un male assoluto” il fascismo e il nazismo.
La signora Di Segni cita en passant lo “squadrismo dei centri sociali“: da cui si ricava che il vero pericolo, l’antisemitismo minaccioso, è quello di chi protesta contro Israele, come l’altro giorno a Vicenza.
Un “antisemitismo” annunciato ma inesistente, almeno in quella manifestazione: i giornali hanno scritto di “cori antisemiti” senza citarne nemmeno uno. Perché non c’erano.
Prego di leggere quel che ha scritto il sito “Global Project” su Vicenza, non c’è nemmeno l’ombra di astio nei confronti degli ebrei in quanto tali, solo contro l’attuale governo di Israele e il suo comportamento a Gaza, che provoca le proteste dell’Onu e perfino degli alleati di Israele, l’Unione europea e gli Stati Uniti.
Io, che pure ho amato gli ebrei (e li amo tuttora), resto molto turbato quando leggo che gli energumeni, i civili e coloni armati dal governo, per cacciare i contadini palestinesi tagliano i loro ulivi, simboli e mezzo di sopravvivenza.
Cosa c’è di più feroce che tagliare alberi spesso secolari, così densi di storia e senso come gli ulivi? Ah, certo, c’è di peggio, come un carro armato che a Gaza spara, due volte, contro un edificio-rifugio dell’Onu, in cui si trovano decine di palestinesi morti di fame e di paura, e ne ammazza un certo numero.
O la scelta di una parte dei parenti degli ostaggi di Hamas, che bloccano uno dei pochi accessi a Gaza per impedire che entrino cibo, acqua e medicine, e si capisce che questi familiari siano esacerbati, furiosi, ma condannare a morte bambini e madri e vecchi, come fossero loro i carcerieri dei loro cari, vuol dire decidere che i palestinesi vanno puniti tutti insieme, per gli orrori commessi da Hamas il 7 ottobre.
Non mi pare che gli ebrei sopravvissuti all’Olocausto abbiano desiderato punire tutti i tedeschi, per quel che avevano subito, tutte le donne e i bambini biondi.
Hannah Arendt, leggendola, mi è parsa piuttosto diffidente nei confronti dello Stato ebraico, che pure stava punendo esemplarmente un solo tedesco, Eichmann. Perché, benché ebraico, era uno Stato, appunto, e gli Stati, si sa, hanno una loro logica, una loro traiettoria, spandono intorno a sé intolleranza e violenza.
Ed è infatti quel che sta accadendo in Israele, ormai un paese a base etnica, in cui prevalgono i mostri che vogliono deportare tutti gli alieni della loro terra biblica e, se del caso, buttare su Gaza quella bomba atomica che hanno sempre negato di possedere: l’ha detto un ministro, qualche giorno fa.
L’identificazione tra quel che Israele sta facendo a Gaza e la diaspora è un trucco della propaganda: in realtà intellettuali, studenti, comunità ebraiche si ribellano, organizzano boicottaggi e firmano petizioni, occupano università e perfino il Congresso degli Stati Uniti.
Solo che dall’Italia è difficile vederli, tanto soffocante è la narrazione filo-israeliana dei media, della politica e delle stesse comunità ebraiche. Un muro contro muro, le accuse di antisemitismo distribuite con totale cecità, che non può che danneggiare in modo grave gli ebrei, man mano che la macelleria di Gaza si allarga.
E io, che non conto nulla ma che amo gli ebrei, sono molto preoccupato.
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