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27/01/2024

Junta golpista di Kiev: terrorismo di stato contro gli ucraini e non solo

Che dietro l’abbattimento del Il-76 russo nei pressi del villaggio di Jablonovo, nella regione russa di Belgorod, possano probabilmente esserci anche lotte interne ai vertici della junta di Kiev, ripicche tra militari e “civili” (nel senso di non militari), una domanda rimane comunque in sospeso: uccidendo deliberatamente 65 propri cittadini (oltre a 9 militari russi, tra equipaggio e sorveglianti), i nazigolpisti contano veramente sulla definitiva assuefazione della popolazione ucraina al credo banderista?

Sono davvero talmente sicuri del proprio potere di controllo sulle coscienze di qualche decina di milioni (le poche decine rimaste, dalla decimazione sancita dal majdan: tra emigrazione in massa e affamamento decretato da FMI e Banca Mondiale) di ucraini, tanto da permettersi qualunque crimine ai danni del “proprio” popolo?

Sono davvero andati a effetto gli insegnamenti impartiti nelle colonie estive, che già una decina d’anni fa i nazisti di Azov organizzavano per bambini e ragazzi, oggi entusiasta materiale di scarto nel tritacarne della guerra? È davvero così facile per i banderisti continuare a inculcare finanche nei più piccoli il “mito” della guerra, così da avere sempre nuova carne a disposizione, quando scarseggiano le armi occidentali?

Certo, a giudicare dal cinismo con cui si accalappiano per strada giovanissimi e anziani, per mandarli al fronte – e a quasi sicuro macello – dopo appena qualche settimana di addestramento, come raccomandato dagli yankee, si è indotti a pensare che i moderni banderisti, semplicemente, se ne infischino di come possano esser giudicati dalla massa degli ucraini e si sentano pienamente appagati (nel significato pecuniario del termine) dal senso di “dovere compiuto” agli ordini dei padrini esterni.

Dopotutto, è tradizione consolidata, almeno dal 2014, che i governi di Kiev vengano decisi sul Potomac: a partire dall’imposizione del fedele banchiere Arsenij Jatsenjuk, deciso d’imperio da Victoria Nuland, alla sua sostituzione, ai ripetuti cambi di ministri, fino alle ultime voci di insoddisfazione americana per l’attuale gabinetto e conseguente prossima sostituzione del primo ministro Denis Šmigal’ con l’ex ministra delle finanze e attuale ambasciatrice in USA, Oksana Markarova.

Ma, nel caso del Il-76, persino oltreoceano hanno preferito non commentare: come si diceva un tempo, “anche là odiano i dilettanti”, del tipo dell’italica carta stampata, che ha diligentemente copiato le assicurazioni golpiste su «non era previsto alcuno scambio di prigionieri», «non si trasportano i prigionieri sugli aerei», «a bordo c’erano solo missili S-300», «gli elenchi dei morti sono falsi», fino al «non si notano tracce di corpi».

Come se davvero qualcuno di quei signori che diffondono la “verità” si sia avventurato in territorio russo, dove l’areo da trasporto è stato abbattuto.

Quei signori si sono posti la questione (certo che se la sono posta! E poi ci hanno sghignazzato sopra) che tali scambi di prigionieri, da sempre, vengono concordati tra le parti nei minimi dettagli? Kiev conosceva in anticipo la rotta del velivolo e l’orario di volo; l’areo volava in relativa sicurezza, dato che non era questo il primo scambio effettuato con velivoli; gli elenchi dei prigionieri da scambiare – nel caso specifico: 192 contro 192 – vengono sempre concordati in anticipo.

E, in ultima istanza: è verosimile che nel 2024 possa effettuarsi un qualunque movimento, di qualsiasi genere (figuriamoci in zona di guerra) senza che centinaia di satelliti di mezzo mondo registrino ogni minimo dettaglio, compresi tipo e bandiera dei missili (“Patriot”, vecchi “S-200D” sovietici, “IRIS-T” tedeschi, o NASAMS norvegesi) che vanno a colpire l’aereo?

Certo, tornando alla domanda iniziale, se davvero i nazigolpisti si sentano le spalle tanto coperte da poter agire alla maniera dei repubblichini mussoliniani, che seminavano stragi in Italia sia come manovalanza nazista, sia in proprio, c’è da dire che le notizie sempre più frequenti di rese di coscritti ucraini ai reparti russi (si parla di oltre diecimila casi solo da metà estate 2023, quando i russi hanno attivato la radiofrequenza 149.200 “Volga”) o resistenze all’arruolamento, con fughe all’estero per sottrarsi alle nuove strategie dei distretti militari e alle norme sulla mobilitazione totale, non lascerebbero grandi speranze alla junta.

Anche all’epoca dell’abbattimento del Boeing malese sui cieli del Donbass (anche in quel caso, la cosiddetta commissione d’indagine internazionale non ha mai voluto prendere in considerazione le prove presentate da Mosca), Petro Porošenko aveva bisogno di respiro al fronte, come oggi Vladimir Zelenskij.

Ma, dieci anni fa, almeno sul fronte interno, la banda golpista poteva sentirsi relativamente sicura, dal momento che dei 294 passeggeri a bordo, la maggior parte erano olandesi, malesi, belgi, australiani, ma non ucraini.

Ma oggi, dopo tutti questi anni, e soprattutto in questa situazione: solo la natura terroristica del regime, indipendentemente dalle divisioni interne tra le bande in guerra tra loro, può portare a bombardare “propri” reparti (come fu nel luglio 2022 coi prigionieri di Azov) infischiandosene della reazione degli ucraini.

A pensarci, dopo i razzi “HIMARS” su Elenovka, la junta era riuscita facilmente a far cadere il silenzio su quella storia: è presumibile che ci riesca anche oggi.

Del resto, la junta ha dimostrato per anni tale natura terroristica colpendo indiscriminatamente i civili del Donbass; l’ha ribadita con la messinscena di Buča e continua a confermarla con il bombardamento sul mercato di Donetsk, su Belgorod e, lo stesso giorno dell’abbattimento del Il-76, su Brjansk.

Il politologo ucraino Vladimir Skačkò ricorda su Ukraina.ru che, secondo la definizione adottata nel 1987 alla Conferenza di Ginevra, il terrorismo di stato si identifica con le «pratiche di uno stato di polizia» dirette contro i propri cittadini, che è esattamente il caso di una junta nazista che da dieci anni pratica persecuzioni squadristiche contro lavoratori, sindacalisti, intellettuali e attivisti di sinistra, organizza assassinii mirati, in casa propria e sul territorio di altri stati.

Ma si obietta che se Mosca dovesse riconoscere l’Ucraina quale “stato terrorista”, automaticamente verrebbe preclusa ogni eventualità di accordi con tale stato e, in generale, si afferma che affibbiare tali etichette a ”destra e a manca”, è pratica comuni dei “valori occidentali”, cui la Russia non dovrebbe adeguarsi. Quindi, difficilmente tale definizione assurgerà a rango ufficiale; anche se rimane come fatto assodato.

Dunque, perché ancora una strage di “propri” militari?

L’ex ufficiale dell’esercito USA, Stanislav Krapivnik (emigrato da Lugansk negli States con la famiglia, nel 1979, all’età di 7 anni, è tornato in Russia nel 2014) dichiara a Ukraina.ru che la cricca di Kiev inculca nei militari «l’idea che i russi siano bestie, che in prigionia li tortureranno. Invece, quando i prigionieri tornano a casa, raccontano tutto il contrario e ciò mina il morale dell’esercito ucraino».

Inoltre, dice ancora Krapivnik, la maggior parte dei prigionieri ucraini preferisce non tornare a casa, perché, a meno che il militare non sia ridotto molto male, verrà rimandato al fronte; a questo si aggiunge il fatto che si sono verificati molti casi in cui i prigionieri ucraini hanno chiesto la cittadinanza russa.

E, in generale, su Kiev incide non poco la carenza di armi. L’Occidente, afferma Krapivnik, non farà nulla che possa sguarnire i propri arsenali solo per armare l’Ucraina: a ovest si stanno preparando per una guerra in grande stile con la Russia e l’obiettivo attuale è quello di assicurarsi che l’Ucraina resista sul campo di battaglia il più a lungo possibile, consumando la minore quantità possibile di risorse occidentali, fungendo da carne da cannone e spargendo quanto più sangue russo possibile.

La strage di Jablonovo avviene a ridosso delle più gigantesche manovre NATO dalla fine della Guerra Fredda – “Steadfast Defender 2024” – col coinvolgimento di 90.000 uomini, direttamente ai confini tra Polonia e Ucraina.

Le conseguenze sono difficilmente prevedibili, anche se gli obiettivi sono oltremodo evidenti.

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