Il consiglio affari esteri dell’UE ha dato due giorni fa – lunedì 22 gennaio – una prima luce verde preliminare alla formazione di una missione navale europea nel Mar Rosso, denominata Aspides (scudo), il cui lancio definitivo dovrebbe avvenire il 19 febbraio.
L’operazione è una notevole novità per l’Europa: nonostante il carattere “difensivo” – almeno stando alla retorica d’obbligo (tutte le armi possono essere sia “difensive” che “offensive”) – è la prima volta che viene inviata una missione militare UE di simile importanza in un contesto di guerra e, per di più, in velata alternativa all’operazione Prosperity Guardian di USA e Gran Bretagna, già passate all’attacco in Yemen.
Insomma l’UE prova a lanciare un segnale politico, come scritto nel documento presentato da Italia, Francia e Germania al Consiglio Affari Esteri: “Data la gravità della situazione attuale e i nostri interessi geostrategici, è importante che l’Ue dimostri la sua volontà e le sue capacità di agire come attore di sicurezza globale”.
A spingersi oltre è stato Tajani considerando la missione europea per il Mar Rosso “un passo considerevole verso una vera difesa europea”. Per il ministro degli esteri italiano “Non si può pensare a una politica estera europea se non c’è un sistema di difesa a livello europeo”.
E dunque: “Dobbiamo aver un sistema di difesa europeo che sia competitivo con la Nato: dobbiamo porci come obiettivo finale un esercito europeo, uno strumento di peace keeping europeo che possa essere operativo in tempi molto rapidi”.
La costruzione di questa missione navale e le dichiarazioni di Tajani sull’esercito europeo non cadono nel nulla. In questi stessi giorni a Davos il presidente Francese Macron ha auspicato l’emissione di un debito comune europeo per finanziare investimenti strategici europei, tra cui spicca la difesa.
Le parole del presidente Francese hanno fatto eco al commissario europeo Thierry Breton che ha di recente invitato l’UE a costruire un fondo da 100 miliardi di euro per l’industria militare europea. Tutto questo mentre per marzo sarà presentata la “strategia per l’industria della difesa europea”.
Le classi dirigenti continentali si muovono insomma a difesa del loro “giardino”, minacciato non solo (o non tanto) dal crescere degli interessi non occidentali nel mondo, quanto dalle conseguenze delle scelte Usa, per definizione unilaterali.
Ritrovandosi al centro di un anello di conflitti che circonda e si espande intorno ai suoi confini europei – dal Sahel, da cui i francesi stanno vendendo cacciati, ai conflitti in Libia e Sudan, ai conflitti del Medio Oriente, fino all’Ucraina – ritrovandosi nell’impossibilità di costruire consenso nei paesi del “terzo mondo” e nella necessità di prepararsi allo scontro con le “potenze ostili” (la Russia, con cui si è già di fatto in guerra, e in prospettiva la Cina), per l’UE le esigenze della “difesa” comune sembrano non più rimandabili.
Tanto più se pensiamo che gli Stati Uniti si stanno dimostrando dei partner totalmente inaffidabili.
Si stanno avvicinando le elezioni presidenziali statunitensi, ed un’eventuale vittoria di Trump potrebbe portare non solo alla chiusura dei flussi americani di armi e fondi verso l’Ucraina – che già oggi sono bloccati dal congresso nonostante il pressing dell’amministrazione Biden – ma anche ad una politica basata sull’“America first” che lascerebbe più “sola” l’Europa alle prese con dossier aperti dagli USA.
Inoltre, anche al netto del conflitto politico interno alle classi dirigenti statunitensi, le capacità di produzione di armamenti dell’industria a stelle e strisce sono insufficienti per la guerra contro un nemico “simmetrico” nel teatro ucraino ed ulteriormente appesantiti dall’escalation in Medio Oriente e dagli impegni nell’Indopacifico.
Un po’, dunque, la spinta dei settori più “autonomisti” della borghesia Europea, che da anni aspirano alla creazione di un esercito continentale (temporaneamente accantonato con l’esplosione della guerra in Ucraina), un po’ l’inaffidabilità e la difficoltà degli Stati Uniti nel garantire la difesa dell’egemonia euroatlantica nel mondo, ma soprattutto la necessità di ricorrere allo strumento della guerra per difendere gli interessi dell’imperialismo occidentale contro un mondo che si va ribellando: questi sono i fattori che spingono per una accelerazione della costruzione di una difesa europea.
Tempi e modi di questa costruzione non sono definiti, né si può dare per scontato che avverrà effettivamente, viste le spaccature e le forti contraddizioni interne all’UE ed il sostanziale atteggiamento schizofrenico delle classi dirigenti europee, che da un lato aspirano all’autonomia del proprio polo imperialista, dall’altro – soprattutto da dopo la guerra in Ucraina – sono vincolate e “bisognose” dell’ombrello americano.
Tutto dipende da come si evolverà la dialettica tra l'“anima europea” (gli interessi materiali, ovvio...) e quella “americana” del blocco euroatlantico, che vivono la contraddizione di una sostanziale interdipendenza ma allo stesso tempo una forte competizione tra loro – arrivata fino ad atti di guerra ibrida come il sabotaggio del Nord Stream –.
Quel che resta evidente è invece la tendenza alla guerra delle classi dirigenti occidentali, che stanno correndo al riarmo e alla militarizzazione della nostra società, trascinandoci in un conflitto mondiale a pezzi.
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