Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

18/01/2024

Biodiversità come mito, biotecnologie come business

di Guido Salerno Aletta

La schizofrenia non è una malattia, a Bruxelles, ma una ben sperimentata tecnica di governo: basta dare ragione a tutte le proposte più estreme, dagli ecologisti che chiedono il ritorno alla Natura incontaminata alle Multinazionali che continuano a dettare legge con le loro tecnologie in campo agricolo e nella alimentazione sintetica, per vantarsi di essere sempre all'avanguardia.

La prospettiva è di trasformare l'Europa in una sorta di Zoo.

Accanto all'obiettivo della "rinaturalizzazione" del territorio, creando delle vere e proprie isole in cui la Natura tornerà ad essere incontaminata, con le specie naturali libere di riprodursi e la biodiversità ad essere la regola, si pongono limiti sempre più stringenti all'agricoltura, giustificati dalla necessità di combattere l'abuso dei concimi chimici che bruciano il terreno, i diserbanti asserviti alle singole varietà coltivate, i pesticidi che da una parte contrastano gli insetti e gli organismi patogeni e dall'altra annientano gli agenti impollinatori, come le api. Nel settore dell'allevamento, si impongono giuste regole sul benessere animale, con il divieto di gabbie anguste e di metodi strazianti per l'abbattimento dei capi.

Il problema, in fondo, è uno solo: il passaggio che si è avuto dall'agricoltura tradizionale, quella condotta dai piccoli proprietari terrieri, a quella intensiva su base industriale in cui gli ettari ed i capi allevati si contano a migliaia. La maggiore produttività di quest'ultimo sistema ha spinto i piccoli agricoltori ed allevatori ad entrare in concorrenza spietata con le imprese di grandi dimensioni, adottando metodi di sfruttamento ancora più feroci nella coltivazione della terra e di alimentazione degli animali: solo così possono cercare di sopravvivere.

Le conseguenze in campo agricolo sono state devastanti: le tantissime varietà tradizionali sono state abbandonate a favore delle poche sementi sempre più produttive, messe a disposizione dalle multinazionali insieme ai necessari concimi chimici ed ai diserbanti. La Grande Distribuzione Organizzata, che domina il mercato alimentare, ha fatto anch'essa la sua parte: ha bisogno di standard qualitativi elevati, e soprattutto di varietà di frutta e di verdura che non marciscano velocemente tra il momento della raccolta e quello della vendita nei supermercati. A ritroso, questo ha reso necessario abbandonare le tante varietà agricole tradizionali, meno produttive e meno resistenti.

Questi sono i fattori che hanno ridotto la biodiversità in campo agricolo e nell'allevamento, creando un sistema ecologicamente non sostenibile ed economicamente penalizzante per i piccoli operatori. I margini di profitto si sono spostati a favore delle Multinazionali e della Grande Distribuzione.

Qui sta il paradosso di Bruxelles: per contrastare l'innegabile degrado dei terreni dal punto pedologico, l'inquinamento delle acque sotterranee e la riduzione delle varietà coltivate ed allevate, propone di ridurre le aree destinate ad uso agricolo. In pratica, si passa dai Parchi e dalle Riserve naturali alle Aree di Rinaturalizzazione.

La conseguenza di questa decisione è aberrante: voler ridurre il territorio da destinare all'agricoltura, per restituirlo alla Natura incontaminata, significa dover sfruttare maggiormente quello che rimane. Invece di favorire il ritorno all'agricoltura sostenibile e all'allevamento brado, si aumenta il differenziale naturalistico tra le aree protette e le aree coltivate.

Ed è paradossale il capovolgimento della logica secondo cui "Chi inquina, paga!": al consumatore, le carni o le uova da allevamento e da agricoltura biologica devono costare di meno, e non di più, rispetto a quelle che provengono da una filiera produttiva che abusa di mangimi industriali, di concimi chimici, di diserbanti e di pesticidi di ogni sorta.

Non è un caso, a questo punto, che la Food and Drug Administration statunitense abbia già dato la sua autorizzazione alla commercializzazione della carne di pollo prodotta in laboratorio: dopo gli OGM in agricoltura, le Multinazionali puntano a spiantare l'allevamento tradizionale con la carne sintetica. Gli ecologisti sarebbero pure d'accordo: non ci sono solo le deiezioni degli animali che inquinano, ma c'è pure la CO2 che emettono a danneggiare l'ambiente!

In fondo, perché mai le Multinazionali delle biotecnologie si dovrebbero opporre alla strategia di "Rinaturalizzazione" del territorio? È questa scelta, solo apparentemente ecologica, che renderà invece necessarie tecniche produttive sempre più industrializzate ed artificiali mentre danneggia quelle agricole e di allevamento a basso impatto ambientale e che salvaguardano la vera biodiversità in campo alimentare.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento