Dal 15 al 19 gennaio si è svolto a Davos l’ormai tradizionale appuntamento del World Economic Forum. All’incontro hanno partecipato, come al solito, imprenditori, giornalisti e politici; quest’anno oltre 60 Capi di Stato e quasi 300 ministri.
Il tema che in questo 2024 è stato scelto come linea di fondo delle giornate per le varie iniziative è “Rebuilding trust in the future”, ricostruire la fiducia nel futuro. In una fase di crisi prolungata e mentre i conflitti si fanno sempre più aperti a livello internazionale, non poteva che essere questo l’auspicio.
Il 10 gennaio, in preparazione del Forum, è stata diffusa la 19esima edizione del rapporto sui rischi globali, un’indagine che riassume le percezioni che sul futuro hanno 1500 esperti di diversi settori. Per la maggior parte di essi, da qui a 10 anni vivremo un elevato rischio di catastrofi globali.
Il rapporto dice che la crisi ambientale potrebbe arrivare a un punto di non ritorno, ma la realtà è che ne abbiamo già oltrepassati più di uno. Inoltre, le tensioni per i paesi e le persone a basso e medio reddito sono destinate ad aumentare.
Non sorprende, dunque, che anche la polarizzazione sociale vedrà un netto aumento, anche se la preoccupazione espressa nel report è solo per gli effetti nefasti che avrà sulla “verità”, ovvero sulla disinformazione. Non vengono messi in dubbio l’ingiustizia di un sistema economico iniquo e la rapacità di alcuni grandi compagnie verso i paesi più poveri.
Ovviamente, la grande sfida del futuro è individuata nella frammentazione del mondo in vari blocchi in relazione fra di loro in maniera sempre meno pacifica. La governance guidata dal Nord globale verrà messa in discussione mentre i suoi meccanismi per “gestire” i conflitti hanno mostrato la propria inconsistenza.
Il quadro delineato preliminarmente, seppur evidentemente improntato su di una visione del mondo occidentalocentrica, era comunque piuttosto fedele alla realtà. La discussione che è poi avvenuta a Davos ha palesato, invece, come l’imperialismo euroatlantico e i suoi alleati non siano disposti a fare i conti con un nuovo presente e continueranno a rotolarsi nelle crisi.
È questo che raccontano i vari interventi. Il presidente israeliano Herzog ha parlato di nuovo di una soluzione “a due stati” per la Palestina, quando sono ormai passati trent’anni dagli accordi di Oslo, le colonizzazioni illegali sono continuate e Gaza è oggetto di un genocidio in mondovisione.
Sempre Herzog ha ribadito che serve costruire una forte coalizione contro l’impero del male che avrebbe il baricentro nell’Iran. Ma forse non tutti ricordano che, ad esempio, dall’accordo sul nucleare iraniano sono stati gli Stati Uniti a tirarsi fuori per primi, proprio su pressione di Israele.
Washington e Tel Aviv rafforzano l’ipoteca su qualsiasi ipotesi di stabilità per il Medio Oriente. A ciò si aggiungono le dichiarazioni di Zelenskij su imminenti colloqui di pace... dalla cui preparazione verrebbe tenuta fuori la Russia.
Opzione chiaramente velleitaria, la cui vera motivazione è stata esposta dal presidente ucraino stesso: “vorremmo che il Sud globale fosse presente. Per noi è importante mostrare che il mondo intero è contro l’aggressione russa”.
Obiettivo difficile senza la Cina, la cui delegazione al Forum non ha incontrato Zelenskij, e mentre inglesi e statunitensi bombardano lo Yemen.
Ad ogni modo, la necessità di ripensare gli organismi internazionali in base al peso maggiore assunto dal Sud globale è stato un punto su cui anche il segretario generale dell’ONU, Guterres, ha incentrato le sue riflessioni. Vi è stata addirittura una sessione di discussione intitolata “Scisma Nord-Sud”.
Una nuova stagione di cooperazione internazionale è stata rilanciata anche da Ursula Von der Leyen, ponendo la UE al centro di questo processo. Ma la cooperazione che a Davos hanno in mente è ancora una maschera del colonialismo occidentale, come si evince facilmente dal suo e da altri interventi.
La direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio ha detto che “il rimodellamento delle catene di approvvigionamento è un’opportunità per sostenere la crescita dei Paesi in via di sviluppo in Africa e in Sud America, dove si trovano materiali e minerali critici”. Il Sud globale, in pratica, dovrebbe godere delle briciole lasciate in una divisione internazionale che li vede da sempre semplici fornitori di materie prime, dipendenti dalle economie avanzate.
Che questa volontà di “nuova cooperazione” sia stata pensata quale strumento per rafforzare l’imperialismo euroatlantico contro le economie emergenti lo ha reso evidente anche Christine Lagarde, affermando “abbiamo perseguito troppo l’efficienza a svantaggio della sicurezza” – dell’Occidente, si intende – mentre l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Libia venivano devastati.
La presidente della BCE non ha ovviamente nascosto che il corollario di una tale prospettiva sarà il rimanere alto dei prezzi delle forniture, con pesanti ripercussioni sui settori popolari. La priorità economica che ha espresso, sul lato interno della UE, è stata però quella di completare al più presto... il mercato unico dei capitali.
A farle eco è stato Emmanuel Macron, che è tornato sul tema degli eurobond per finanziare investimenti strategici e migliorare la competitività rispetto agli avversari commerciali. Mentre entra in vigore il nuovo Patto di Stabilità una qualche soluzione alle profonde asimmetrie del mercato unico è rimasta fuori dalla porta, ancora una volta.
L’impianto economico che ci ha portato nella crisi è stato confermato come se nulla fosse, mentre si rincorrono le voci su ulteriori privatizzazioni da parte del governo italiano. Questo quadro trova la sua degna conclusione in un Milei che ha chiamato alla crociata contro il socialismo e il femminismo.
Il vero volto che l’Occidente, ancora una volta, ha mostrato a Davos è insomma quello del neo-eletto presidente argentino. Una mentalità da guerra esterna e guerra interna per mantenere il predominio.
La polarizzazione sociale aumenterà con l’intensificarsi dello sfruttamento e della repressione, mentre senza un’alternativa saremo trascinati sul piano inclinato della guerra globale.
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