Ieri Zaia ha dichiarato che la regione Veneto si è mossa per chiedere la ripresa delle trattative col governo su 9 delle 23 materie toccate dall’autonomia differenziata. Per capire a pieno il senso di questa richiesta, e non ridurla semplicemente al particolarismo veneto, bisogna fare un giro un po’ più lungo.
In un articolo uscito il 29 giugno su Contropiano, veniva riportato che, dati della Fondazione Gimbe, la migrazione sanitaria, ovvero lo spostarsi per accedere alle cure, presenta per il Nord un saldo positivo di 4,25 miliardi di euro. Quasi tutta questa somma finisce in Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia.
Stimola subito l’attenzione di chi segue un poco le vicende economiche del nostro paese il fatto che le tre regioni citate sono anche quelle che si sono integrate più strettamente nelle filiere continentali, seppur in posizione subordinata.
Sorge spontaneo dunque interrogarsi su quali prospettive apra la riforma da poco approvata nell’avanzamento della costruzione imperialistica europea. E poiché un suo elemento quasi costitutivo è stato il modello export oriented tedesco, ormai fallito ma tenuto in vita a forza, può essere utile partire da un dato su cui si è da poco soffermato anche Renato Brunetta.
In un articolo uscito il 22 giugno su Il Riformista, il presidente del CNEL ricorda che il 70% delle esportazioni italiane è prodotto nel Nord (dati ISTAT 2022 e 2023). A suo avviso, il Sud consuma le risorse accumulate dal commercio internazionale, che gli arrivano attraverso trasferimenti interni.
Uno schema che proviene direttamente dal miracolo economico, e dimentica tutte le complessità che anche semplicemente si sono accumulate in 60 anni di storia. Come se l’Italia fosse la stessa di quando avevamo l’IRI e la Cassa per il Mezzogiorno.
Uno schema direi da mercantilismo seicentesco, in cui la ricchezza è scritta nelle partite correnti dello stato e ignora i benefici di una equa redistribuzione del reddito. E ignora anche quei 4,25 miliardi di prestazioni sanitarie.
Non possono dunque che suscitare rabbia le parole di Brunetta, il quale afferma che “in generale le aree più produttive del Paese hanno contribuito a finanziare i territori più svantaggiati, ma il divario non è certo diminuito“. Di nuovo, Brunetta dimentica che in parte il divario era stato recuperato, finché c’è stata un po’ di pianificazione industriale pubblica.
Non c’è perciò una parola di critica verso l’evidente fallimento della classe dirigente dell’ultimo trentennio, cosa che dovrebbe seguire logicamente le sue parole.
Classe dirigente di cui ha fatto parte, prima come eurodeputato dal 1999 al 2008, e poi come deputato della Repubblica dal 2008 fino al 2022, ricoprendo per tre anni anche l’incarico di ministro.
Secondo Brunetta, “di fronte ad un Paese spaccato come una mela, non ha senso diagnosticare ricette uniformi sull’intero territorio nazionale“.
Peccato che l’autonomia differenziata non sia un indirizzo di sviluppo ponderato sulla base delle specificità locali, ma sia proprio la rinuncia a implementare una programmazione nazionale per lo sviluppo e la riduzione delle disuguaglianze.
Asimmetrie e distanze che verranno invece allargate dall’autonomia differenziata, nonostante i tanto discussi Livelli Essenziali delle Prestazioni. Tanto più se per definirli verrà usato il criterio della “spesa storica“, che cristallizza le distorsioni attuali.
I LEP, per essere concretamente determinati e garantiti su tutto il territorio nazionale, richiederebbero secondo alcuni parlamentari d’opposizione tra i 50 e i 100 miliardi di spesa aggiuntiva, quasi una ventina secondo le stime più caute.
Qui sorge allora un’altra questione. L’autonomia differenziata è quasi un punto di arrivo di un percorso che ormai ha già largamente devastato le strutture dello Stato per favorire la privato del pubblico in ogni suo servizio.
E allora a cosa serve questa riforma a questa classe dirigente europeista? Ed è davvero attuabile, visti i costi, a meno che non si vogliano creare dei LEP solo di facciata – cosa di certo non escludibile –?
Lo chiede chiaro e tondo Luca Bianco in un articolo su Huffington Post: “come si fa a finanziarli ora che l’Italia deve rispettare il nuovo Patto di Stabilità?” I vincoli di bilancio hanno causato lo smantellamento del pubblico, e ora però impediscono anche l’autonomia differenziata?
Ovviamente no, essendo una riforma completamente inserita nella logica di Bruxelles. Infatti, le materie di “legislazione concorrente” su cui le regioni potranno chiedere autonomia sono 23, ma il Comitato tecnico per l’individuazione dei LEP ha fatto una distinzione tra queste.
14 hanno implicazioni dirette coi LEP (tra cui la tutela della salute), 9 invece no. Queste ultime sono: i rapporti internazionali; il commercio con l’estero; le professioni; la protezione civile; la previdenza complementare; il coordinamento della finanza pubblica; le casse di risparmio regionali; gli enti di credito regionale; l’amministrazione della giustizia di pace.
Le prime due permetteranno accordi ad hoc delle regioni con Bruxelles. Previdenza complementare, coordinamento della finanza pubblica, casse di risparmio ed enti di credito regionali hanno un importante ruolo nella determinazione del quadro in cui si svolge l’attività imprenditoriale.
Che questa possibilità, di spacchettare le 23 materie, sia legalmente ammissibile, è ancora oggetto di dibattito. Persino dentro la maggioranza le opinioni non sono omogenee, ma Zaia ha deciso di forzare la mano, un po’ per rispondere al proprio elettorato, un po’ perché era sin dall’inizio il senso di fondo di questo progetto.
Il tema è che, al più, l’autonomia differenziata porta a compimento un percorso di smantellamento del ruolo dello stato e dei servizi essenziali cominciato con Maastricht e poi accelerato dalla riforma del Titolo V della Costituzione, fatta dal centrosinistra.
Quello che interessa davvero è accelerare sulla costruzione di filiere UE capaci di competere con altri grandi attori globali. Come andrà la mediazione col governo, vista anche la competizione interna tra le varie formazioni, non possiamo ancora saperlo, ma il percorso è quello e, come da sempre nella UE, è vincolato.
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