Una quindicina di leader europei si riuniscono oggi a Londra per un vertice sulla guerra in Ucraina e ipotesi sulle garanzie di sicurezza in Europa di fronte ai timori di un abbandono del Vecchio Continente da parte di Washington, timori che si sono accentuati dopo il benservito dato da Trump a Zelensky venerdì alla Casa Bianca.
La composizione dei paesi partecipanti ha prodotto una geometria anomala. Ci sono infatti paesi nella Nato ma non nella UE e non ci sono tutti gli stati dell’Unione Europea.
Alla riunione sono stati invitati i leader di Germania, Francia, Italia, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Spagna, Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca e Romania, oltre al segretario generale della Nato Mark Rutte e ai presidenti della Commissione europea e del Consiglio europeo, Ursula von der Leyen e Antonio Costa.
Irritati i paesi baltici che per la seconda volta vengono tenuti fuori dai vertici europei ristretti sulla guerra in Ucraina. Essendo parte integrante del “partito della guerra”, i baltici hanno molto sopravvalutato in questi anni il loro peso politico e troppo spesso hanno palesato la loro posizione guerrafondaia. Al vertice è stata invitata – significativamente – un paese Nato ma non europeo come la Turchia.
La lista dei paesi UE che partecipa alla riunione configura una sorta di “cooperazione rafforzata” ossia quel meccanismo che consente solo ai paesi che condividono un progetto di prendervi parte e in qualche modo bypassa il problema del voto all’unanimità.
La discussione di oggi a Londra precede di pochi giorni il vertice europeo straordinario sull’Ucraina previsto per il 6 marzo a Bruxelles e nel quale sono già emerse divergenze significative sul come e sul se continuare a sostenere militarmente l’Ucraina.
Secondo quanto diffuso dal governo britannico, le discussioni a Londra si concentreranno sul “rafforzamento della posizione dell’Ucraina oggi, compreso il continuo sostegno militare e l’aumento della pressione economica sulla Russia”.
I partecipanti discuteranno anche “della necessità che l’Europa svolga il suo ruolo nella difesa” e “dei prossimi passi nella pianificazione di forti garanzie di sicurezza” nel continente, di fronte al rischio di ritiro dell’ombrello militare e nucleare degli Stati Uniti.
Londra e Kiev hanno intanto già firmato un contratto di prestito di 2,26 miliardi di sterline (quasi 2,74 miliardi di euro) per sostenere le capacità militari dell’Ucraina, soldi che saranno rimborsati con i profitti generati dai beni russi congelati in Europa.
Il presidente francese Macron si è detto pronto ad “aprire la discussione” su un possibile futuro deterrente nucleare europeo, dopo una richiesta arrivata in tal senso anche dal futuro cancelliere tedesco, Friedrich Merz, il quale ritiene necessario che l’Europa si prepari “allo scenario peggiore” di una Nato abbandonata da Washington.
In un’intervista a diversi giornali francesi, Macron ha detto di sperare che i paesi dell’Unione europea si muovano rapidamente verso “finanziamenti massicci e comuni” che rappresentino “centinaia di miliardi di euro” per costruire una difesa comune. “Credo che oggi sia il momento di un risveglio strategico, perché in tutti i paesi c’è un tumulto, un’incertezza, sul sostegno americano a lungo termine”.
Sempre più in difficoltà sia sul piano internazionale che interno è il governo italiano che fino ad oggi ha tenuto i piedi in due staffe: da una parte il servilismo a Trump dall’altra la subalternità all’Unione Europea.
Una nota di palazzo Chigi ha fatto sapere che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha avuto ieri sera una conversazione telefonica con il presidente statunitense Trump, anche in vista dell’incontro che oggi si tiene a Londra con Zelensky.
Come qualcuno ha giustamente sottolineato, l’Italia non può essere “un ponte” tra Usa e UE perché fa parte di quest’ultima e non è un “paese terzo”. Un ruolo questo che sembra invece voler essere assunto dalla Gran Bretagna.
Ma il nodo di fondo rimane quello se la UE – o parte di essa – intenda proseguire sulla strada del riarmo e obiettivamente dello scontro politico/militare con la Russia o se intende affiancare un negoziato sulla possibile pace in Ucraina, cosa che fino a oggi ha sempre rifiutato e da cui rischia di essere marginalizzata dall’avvento di Trump alla Casa Bianca.
La contraddizione in seno all’Unione Europea è diventata enorme e al momento presenta solo una cosiddetta “alternativa del diavolo”: o implode al suo interno o rompe gli indugi e si proietta come una potenza politico/militare in competizione con tutte le altre, portando il continente europeo di nuovo alla guerra.
Tutti i fattori, direbbe Graham Allison, (1) conducono in questa direzione. E in Italia qualcuno vorrebbe anche scendere in piazza per sostenere questa ipotesi in nome dell’Europa: vanno contrastati apertamente.
Note
(1) Graham Allison: “Destinati alla guerra”, Fazi editore
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